Ma come, i napoletani di Liverpool, i terroni dei mari del nord festeggiano uno scudetto che mancava da trent’ anni, fottendosene del distanziamento sociale e degli augusti protocolli anti covid? Loro, i sudditi dell’algida Regina d’ Inghilterra? Se non lo avevate capito osservando gli spalti di Anfield Road quando giocano quelli del Liverpool lo avete almeno afferrato adesso? Cioè che cosa, in certe città, per certe comunità, per certa gente significa una squadra di calcio? Dalle “puritane” nebbie nordiche alla supposta sregolatezza mediterranea? E non storcete il naso, non fate quella faccia schifata. Dovreste essere contenti che c’è qualche istanza di vita, qua e là, che ancora “straborda”, che non si fa fottere dalla paura sacrosanta che tutti abbiamo, che nonostante il rischio risaputo e acclarato non può fare a meno di esplodere. Perché, come la vita, procede, non si ferma alle prigioni legalizzate, anche se sono necessarie. Dovreste immaginare che queste cose sono, oggi più che mai, un antidoto spontaneo, “incorreggibile”, alla grigia normalizzazione coatta che è diventata la nostra quotidianità, da qualunque parte essa provenga. Ora da un lock down sanitario di massa, domani da una dittatura senza eserciti, dal volto umano, legittimista e solidale (anche se sarebbe meglio dire maschera). Oppure da una post democrazia autoritaria, di tipo orwelliano, fatta di prigioni e deportazioni indolori, per un composto, civile popolo anestetizzato nell’anima. Urge assolutamente un gemellaggio Liverpool – Napoli.

di Barty Costanzo