Alessandro Corti
Non siamo un Paese per imprenditori. Lo dicono le classifiche che ci vedono agli ultimi posti fra le nazioni dove è più facile creare un’azienda. E lo dicono anche i 4 e i 7 mesi necessari, rispettivamente, per avere l’allaccio della luce o la licenza edilizia. Tempi incompatibili con qualsiasi progetto di investimento. L’Italia, insomma, ha un clamoroso problema: è un paese troppo lento, frenato dal quel magma della nostra burocrazia che nel corso del tempo si è stratificato, è cresciuto, fino a diventare un mostro che brucia circa il 2% del nostro Pil, più o meno 31 miliardi. Un conto salatissimo: 7mila euro all’anno per ogni azienda. Una stangata che, negli ultimi dieci anni, solo per citare l’ultimo bollettino di guerra diffuso ieri, ha fatto chiudere i battenti a centomila imprese agricole.
A guidare questo “mostro” c’è tutta una nomenclatura, persino più potente dei singoli ministri, che controlla l’intera macchina dello Stato, potere esecutivo compreso. Un esempio? Basta ricordare il decreto cresci-Italia, varato in pompa magna dal precedente governo, un insieme di misure che avrebbe dovuto innescare la fase dello sviluppo dopo gli anni della recessione. Un pacchetto che, a distanza di due anni, non è entrato ancora a regime perché mancano all’appello decine di regolamenti e decreti attuativi. Da questo punto di vista, l’idea di trasferire la Ragioneria dello Stato da Via Venti Settembre a Palazzo Chigi, collocandola alle dirette dipendenze della Cabina di Regia che dovrebbe guidare la politica economica del governo Renzi, forse non è del tutto sbagliata. E’ un modo per evitare diarchie nella guida di un Paese, per eliminare almeno uno degli strati che frenano l’attuazione delle leggi e per limitare, di fatto, i poteri di un pezzo importante della burocrazia italiana.
Ma attenti a non lasciarsi prendere dai facili entusiasmi. La Ragioneria, fra i suoi compiti principali, ha quello di vigilare sulle reali coperture finanziarie dei provvedimenti. Un terreno dove è davvero difficile fare giochini, dal momento che i nostri conti sono sottoposti al vaglio di un’altra super-burocrazia, quella europea dell’Eurostat, che non ammette sconti.
Forse, più che per spostamenti di sede, bisognerebbe agire per sottrazioni, cancellando interi pezzi della nomenclatura e procedendo speditamente sulla strada delle semplificazioni. Se avessimo realizzato, ad esempio, i progetti varati fra il 2008 e il 2010 proprio in questo settore, i costi della burocrazia italiana sarebbero calati in maniera drastica. Ma sarebbe stato come chiedere a un tacchino di presentarsi spontaneamente al pranzo di Natale.
fonte: L’Arena