di MONICA CAPO
“Ci sono molti modi di uccidere. Si può infilare a qualcuno un coltello nel ventre, togliergli il pane, non guarirlo da una malattia, ficcarlo in una casa inabitabile, massacrarlo di lavoro, spingerlo al suicidio, farlo andare in guerra, eccetera. Solo pochi di questi modi sono proibiti nel nostro stato.” Lo affermava Bertold Brecht ma lo gridano, a voce alta, le tragiche “vicende” di Federico Aldrovandi, Aldo Bianzino, Stefano Cucchi, Luciano Isidro Diaz, Michele Ferrulli, Carlo Giuliani, Stefano Gugliotta, Franco Mastrogiovanni, Riccardo Rasman, Paolo Scaroni, Giuseppe Uva. Presumibilmente vittime di abusi, da parte delle forze dell’ordine in un paese che, nonostante la convenzione Onu firmata 25 anni fa, non ha ancora introdotto nel proprio ordinamento il reato di tortura.
Non c’è solo il caso Cucchi che, nelle ultime settimane, ha conquistato le prime pagine dei giornali dopo la sentenza che mandato tutti assolti gli imputati. Il 7 novembre, a Salerno, inizierà il processo d’appello anche per il caso Mastrogiovanni, contro la sentenza n. 825/2012, emessa il 30 ottobre 2012, dal Giudice monocratico Dott.ssa Elisabetta Garzo, nella quale furono condannati a pene che vanno dai due ai quattro anni sei medici del reparto di Psichiatria dell’Ospedale “San Luca” di Vallo della Lucania e furono, invece, assolti 12 infermieri dello stesso reparto accusati della morte dell’insegnante libertario Francesco Mastrogiovanni.
Francesco (scomparso il 4 agosto 2009, a 58 anni) era stato condotto nel reparto psichiatrico contro la sua volontà dopo essere stato prelevato con la forza dai carabinieri presso il campeggio di Marina Piccola (Comune di San Mauro Cilento) dove si trovava in vacanza.
Fu scritto nel provvedimento di Tso (Trattamento sanitario obbligatorio), che si trattava di «noto anarchico», personaggio «pericoloso socialmente, intollerante ai carabinieri» ma in realtà il decesso fu l’epilogo di una sconcertante sequenza di gravissimi abusi infatti gli venne, da subito, applicata una “contenzione” molto invasiva “in palese violazione delle più elementari norme riconosciute dalle linee guida nazionali e internazionali esistenti”in materia; venne poi alimentato con soluzioni di fisiologica e di glucosio per via endovenosa e non gli venne praticata alcuna cura per alleviare le sofferenze legate allo strofinio delle fascette di contenzione. Le sue condizioni cliniche non furono quindi adeguatamente monitorate tanto che i sanitari si accorsero del suo decesso dopo quasi 6 ore.
A questo si aggiunga che la contenzione non fu annotata in cartella clinica né nel registro delle contenzioni e nemmeno fu comunicata ai familiari, cui venne impedito di fare visita al parente. Per tutte queste ragioni, il Tribunale di Vallo della Lucania aveva condannato il primario e altri cinque medici per il delitto di sequestro di persona, realizzato mediante contenzione meccanica al letto di degenza in assenza di qualsiasi giustificazione sanitaria e per aver cagionato la morte del paziente e per falso ideologico per aver redatto una cartella clinica falsa. Gli infermieri imputati erano stati, invece, come già ricordato, tutti assolti.
Tuttavia il procuratore e il pm di Vallo della Lucania hanno impugnato la sentenza di primo grado configurando il reato di omicidio preterintenzionale, ma su questo saranno i magistrati di Appello a pronunciarsi.
Intanto, “per evitare vergognose sentenze, come quella che assolve tutti per la morte di Stefano Cucchi, e gli ancor più vergognosi diti alzati contro la dignità delle persone e il dolore di familiari ed amici e a simbolo di una giustizia negata e tradita, affinché non accadano MAI PIU’ simili atroci morte ma anche simili atroci sentenze”, il Comitato Verità e Giustizia per Francesco Mastrogiovanni invita tutti/e alla prima udienza del processo di 2° Grado.
Noi ci chiediamo invece se non sarebbe il caso di rendere illegale qualsiasi forma e pratica di contenzione fisica all’interno dei reparti di psichiatria (e in tutte le altre strutture socio-sanitarie), configurando tali azioni fra le pratiche di tortura.
E chiediamo che il Ministero della Salute, gli Assessorati Regionali alla Sanità, le Asp e le Aziende Ospedaliere, ciascuno per la sua competenza, intervengano in via immediata in tutti i reparti psichiatrici attivi con l’installazione di sistemi di videosorveglianza a tutela di quanti vengono ricoverati presso tali strutture.
Resta fermo che, come ha spiegato Tullia Conte, ideatrice dello spettacolo di danza popolare “San tarantella”, dedicato a Mastrogiovanni, “che uno solo (Franco) ha pagato con la vita le falle di un sistema sociale, di gruppo di individui, che non ha saputo come relazionarsi rispetto ad una diversità”.