‘Ndrangheta Spa: solo il 23% delle entrate viene dalla Calabria

Sempre diritto verso su, poi giri a sinistra. E’ al centro-Nord, più precisamente nel Nord-Ovest, che trovi il core business della ‘ndrangheta Spa. Una potenza di fuoco che fa girare ogni anno qualcosa come 3,5 miliardi, quasi il doppio di Cosa Nostra. Nel tempo ha spostato il baricentro dei suoi affari lontano dalla Calabria, che rappresenta ormai quasi una quota residuale dei suoi “ricavi”: poco più del 23%. A rivelare la nuova geografia del business della ‘ndrangheta è la Banca d’Italia che, in un report pubblicato da qualche settimana, ha fatto i conti in tasca ai clan calabresi. I risultati che emergono dalla ricerca “Gli effetti reali della ‘ndrangheta: le evidenze a livello aziendale”, realizzata da tre ricercatori di Palazzo Koch (Litterio Mirenda, Sauro Mocetti e Lucia Rizzica), sono clamorosi. Per i tre esperti, ben il 77% delle entrate della ‘ndrangheta sono attualmente prodotte in aree diverse dalla regione di origine dell’organizzazione. Da questo punto di vista, le altre due organizzazioni criminali esaminate nello studio, la siciliana Cosa Nostra e la camorra napoletana, sono molto più radicate sui rispettivi territori, dove ricavano oltre il 60% dei proventi. A differenza di altre organizzazioni criminali, dopo l’espansione al di fuori dei suoi confini originali, la ‘ndrangheta inoltre tende a ricreare la propria struttura e il proprio ambiente, costruendo una stretta rete criminale secondo un processo spiegato dai sociologi in termini di colonizzazione o trapianto.

L’espansione al di fuori della Calabria comincia negli anni ’80, quando, secondo i rapporti messi a punto dalla Commissione Antimafia, la ‘ndrangheta ha iniziato a investire nel Nord Italia i proventi delle sue attività illegali. “La penetrazione nelle regioni settentrionali – si legge nel report – seguì i modelli migratori successivi alla seconda guerra mondiale quando centinaia di migliaia di calabresi si insediarono nel Nord più ricco e dinamico”. Inoltre, l’applicazione della legge sui pentiti ha costretto la delocalizzazione di alcuni membri della ‘ndrangheta nelle regioni del Centro e del Nord, “nel tentativo (infruttuoso) – scrivono ancora i ricercatori – di interrompere i loro legami con le associazioni criminali della loro patria. Negli anni ‘90, infine, “la mafia calabrese iniziò a costruire rapporti commerciali con i cartelli della droga sudamericani, trasformando così la ‘ndrangheta in un’organizzazione veramente globale. Oggi, infatti, si ritiene che i mafiosi calabresi controllino la maggior parte del traffico di droga transatlantico che alimenta il mercato europeo”. Non a caso, secondo Europol (2013), i clan calabresi sono attualmente tra i gruppi di criminalità organizzata più ricchi e potenti a livello mondiale.

Il numero di clan ‘ndrangheta operanti nel Centro e nel Nord, secondo il rapporto di Palazzo Koch, ammonta a circa 250 famiglie, un numero significativamente più grande di quello dei clan Cosa Nostra o Camorra che operano in quelle aree. Ciò conferma la forte propensione della ‘ndrangheta ad esportare la sua attività al di fuori della sua area di origine e la sua frammentazione in numerosi piccoli clan a base familiare. L’infiltrazione si verifica principalmente attraverso l’acquisizione delle azioni della società e, in misura minore, attraverso l’ingresso di un membro del clan nel consiglio di amministrazione. Secondo i modelli statistici alla base dello studio di Bankitalia, è più probabile che la ‘ndrangheta entri nel settore delle costruzioni (19%) seguito dal settore immobiliare (15%) e dal commercio all’ingrosso e al dettaglio (11%). Tuttavia, le imprese legate ai clan sono, inoltre, particolarmente sovra-rappresentate nel settore dei servizi pubblici (che è caratterizzato dalla presenza di aziende che operano in stretta relazione con la Pubblica Amministrazione) e in quello dei servizi finanziari (ad es. servizi di trasferimento di denaro); al contrario, la ‘ndrangheta è sottorappresentata in agricoltura e nel settore manifatturiero.