Roma, Torino e Napoli sono accomunate dal record delle tasse locali più alte. Mentre Venezia, altra ex capitale, è tra le città che non infieriscono sul contribuente. Le giunte regionali e comunali delle prime tre città sono quelli che chiedono di più ai propri cittadini. Diffìcile sostenere che ci sia una
relazione diretta con il livello dei servizi, soprattutto se si considera che in testa a tutte le classifiche della pressione fiscale si piazza il Lazio.
Il fisco locale è finito negli ultimi giorni sotto i riflettori del Consiglio nazionale dei commercialisti e di Unimpresa. Un’emergenza (è noto che la pressione fiscale negli ultimi anni sia aumentata soprattutto a causa di addizionali, aliquote della patrimoniale sugli immobili e imposta regionale sulle imprese) che il prossimo governo non potrà ignorare.
Dalla Mappa del fìsco locale stilata dal Centro studi di Unimpresa emerge che Roma, Torino, Napoli, Genova, Bologna, Ancona e Campobasso sono le città «più tassate» d’Italia. Tre dei quattro tributi locali presi in considerazione dall’unione delle piccole imprese in queste città sono ai livelli massimi. Nel dettaglio Roma guadagna lo scettro del fìsco più pesante grazie a tre aliquote: il 4,82% di Irap, il 4,23% di addizionali Irpef, l’1,06% di Imu. Torino con il 4,13% di addizionali Irpef, 1,06% di Imu e lo 0,33% di Tasi. A Napoli si paga il 4,97% di Irap, l’1,,06% di Imu e lo 0,33% di Tasi.
Nella parte intermedia, cioè tra le città che applicano due aliquote record, ci sono Firenze per Flmu all’ 1,06% e la Tasi allo 0,33%, Palermo per l’Irap al 4,82% e l’Imu all11,06%, Perugia per rimu all’ 1,06% e la Tasi allo 0,33%.
Tra le città che se la cavano meglio c’è Milano con un solo punto per l’Imu all’1,06%.