Se i fiori dell’inquietudine affiorano come ninfe di Renoir a pelo d’acqua – sulla pelle e sul volto -, nulla si può fare per dissimulare questo tratto psicologico, nulla nemmeno per tenerlo a distanza come l’ospite sgradito venuto a passeggiare a piedi sporchi nell’anima. Nulla, se fa parte di te. L’attore è tra gli esseri umani colui che meglio di ogni altro fa di questa “anomalia” un’arma a doppio taglio. La prende dalla parte del manico e la utilizza come spada o fioretto. Così Noemi Maria Cognigni, giunta alle soglie di un nuovo cortometraggio con il portato emozionale della giovane donna immersa fino alle ginocchia nel suo tempo, il fondo limaccioso della complessità. Spinte e controspinte – umori e codice sociale, turbamenti esistenziali e tassonomica normazione di quanto si presumo giusto, appropriato, adeguato – abitano il suo – e il nostro – mondo interiore. Il suo corpo parla di noi. E’ un gancio che ci prende come grappino d’arrembaggio e ci scaglia nelle contraddizioni del vivere d’oggi. Sembra infatti che non ci sia mestiere più prossimo che quello di attore, alla intramontabile massima latina che recita: “Homo sum, humaninihila me alienum puto…”.
E così il profilo umano e artistico di Noemi, tanto incline a rappresentare le ambivalenze della odierna condizione umana, altalenante tra la piena luce della ragione e l’elogio dell’ombra, ne fa l’interprete ideale di ogni vissuto femminile condotto per dritto e per rovescio, un camminare lungo il filo di un trapezio senza rete di protezione. Filo che discrimina luce e tenebre, perfetta incarnazione della radice caravaggesca confitta nella pelle di Napoli. Inclinazione che le consente di prendere le sembianze di Arianna, una ragazza affetta da disturbo border line di personalità. Film scritto e diretto da Giuseppe Di Salvatore, che si è avvalso della consulenza scientifica di Luigi Intoccia, Erika Brasini, Anna Lardone e Angela Gelardi, per manifestare il vissuto di una “vita al limite”, quella di una donna squassata dalla devastante instabilità nelle relazioni interpersonali, nell’immagine di sé – identità – comportamento. “Un trauma infantile – è il commento del regista, suffragato dai suoi consulenti – la istrada alla paura del rifiuto, al timore di abbandono, a rabbia e irritabilità estreme. Un contorto groviglio di atteggiamenti incomprensibili e inaccettabili per gli altri, disarmati dinanzi alla discontinuità e futilità del suo comportamento”.
Il film esprime efficacemente il vuoto pneumatico che sottende il vissuto di Arianna con una incalzante alternanza conquiste che consistono in fugaci e algide relazioni erotiche, ammassate come indumenti desiderati e subito dismessi di uno shopping compulsivo. Il quotidiano della protagonista consiste nel passaggio dal cellulare al tablet, in un perenne digitare convulso, rapido di dita quanto superficiale nelle emozioni: un insistere senza posa nel tentativo illusorio di cavare dal virtuale un antidoto alla disperazione. Arianna chatta con uno, poi con un altro, talvolta con due e più in parallelo, come la falena che sfida il fuoco della candela, restando sempre – alla fine della vicenda – con le ali bruciate.
Alcuni flashback ci riportano alla bambina che fu. Perché patologie del genere sono costantemente il frutto – dicono gli specialisti – del senso di colpa e della disistima precocemente installata, come malefico vaccino somministrato in età infantile, nella psiche del soggetto…
Passare a questo punto la penna ad Alice Miller, la psicoterapeuta che ha fatto dell’indagine sulla realtà infantile devastata da educazione violenta, repressiva o anaffettiva una ragione di vita, è cosa buona e giusta. Nessuno “sa far male a se stessa pur di non far male agli altri” quanto la donna. L’effetto distorto della “pedagogia nera”, ossia l’educazione basata sul principio che il bambino va inquadrato subito nel solco del senso di colpa, genera mostri. Come del resto l’idea precocemente acquisita che, per essere parte del mondo dei grandi che sa essere spietato oltre ogni dire, “è meglio essere cattivi”. Arianna è a suo modo un peana al risveglio necessario del bambino inascoltato, svilito, dileggiato.
E’ una appello al “bambino presente in noi, al quale non si dà retta neppure nello studio dell’analista”. Per fortuna la dimensione artistica – sotto forma di fiaba, poesia, teatro, cinema ben temperato – viene in soccorso, proponendoci messaggi più o meno cifrati, più o meno intellegibili, nel sublimine della pellicola. Stavolta con Arianna uno sguardo sulla realtà della prima infanzia, forse l’ultimo mondo umano che attende di essere esplorato e compreso, affinché l’incontro con lo spessore dell’Altro divenga finalmente un viaggio ben armato ed equipaggiato di bussola e sestante.