di SIMONA D’ALBORA
Campanilismo bello, addò sì ghiuto? Si chiedeva in una delle sue poesie Raffaele Viviani pensando a Napoli e alla Campania, una terra che più che madre diventa matrigna per i suoi figli. Quei figli che in qualche modo dovrebbero renderla orgogliosa. Eppure sembra proprio che alla fine le tante personalità che sono nate o sono legate a Napoli vengono quasi dimenticate. La Campania ha dato i natali a ben tre presidenti della Repubblica: Enrico De Nicola, Giovanni Leone e Giorgio Napolitano, ma ha dato anche i natali a grandi artisti che ora sono morti e ai quali non ha saputo rendere l’onore giusto: Eduardo Scarpetta, Raffaele Viviani, Enrico Caruso, Titina, Eduardo e Peppino De Filippo, Totò, Nino Taranto, Sergio Bruni, Roberto Murolo, Luisa Conte, Pupella Maggio, Riccardo Pazzaglia, Annibale Rucello, Massimo Troisi, Mario Merola, Concetta Barra, Vittorio Mezzogiorno, Pino Daniele e Francesco Rosi, per ricordarne solo alcuni e ne ha adottati molti altri che per prima l’hanno adottata: Mia Martini, Vittorio De Sica, Nanni Loy, Regina Bianchi, Giacomo Leopardi ed esempio per citarne qualcuno sapendo già di fare un torto a molti altri. Chi nasce a Napoli, non può che trasformare la sua arte, mescolarla con la sua storia e renderla universale, una dote che i grandi artisti napoletani hanno saputo sapientemente regalare al loro pubblico. Ma cosa rimane di loro in città? Molto poco, per qualcuno c’è l’intitolazione di qualche strada o di qualche scuola. Persino il teatro che Eduardo De Filippo si impegnò a ricostruire con i suoi guadagni, frutto del suo lavoro si chiama San Ferdinando. Così come è paradossale che esiste un museo della canzone napoletana persino a Tokio e non a Napoli.
Chi ha raccontato Napoli, napoletano o meno, attraverso la sua arte rendendole il giusto onore e facendosi catturare dalla sua vera natura non è mai stato ringraziato abbastanza e a loro dovrebbe essere riconosciuto l’averla amata fino ad averla regalata a tutti. Ma per quei figli che sono figliastri e che con la loro terra in alcuni casi hanno avuto un rapporto odio-amore, come solo un grande amore può essere, oggi c’è ben poco, forse la toponomastica ha regalato loro una collocazione, ma il loro patrimonio non viene riproposto o ricordato come dovrebbe essere, non basta una strada o una scuola elementare. Ci vuole molto di più, ci vogliono luoghi adatti a rendere un’arte immortale, musei, scuole, laboratori, mostre, teatri, luoghi fisici dove il loro nome non sia solo un indirizzo o un’intitolazione, ma risuoni nel mondo per ricordare la loro grandezza. E così accade che ci si scervelli affinché a Pino Daniele venga intitolata una strada o un aeroporto e non affinché a Napoli nasca una scuola di canto attraverso la quale rilanciare i nostri giovani talenti e soprattutto ricordare la storia della musica napoletana. E così accade che a 20 anni dalla sua realizzazione il museo di Totò è ancora chiuso, con un danno incalcolabile per la città. Sarà un destino avverso o siamo vittime di un’assenza di campanilismo, come diceva un altro dimenticato, Raffaele Viviani?