“Milano si è riappropriata del ruolo di capitale morale del Paese, mentre Roma sta dimostrando di non avere quegli anticorpi di cui ha bisogno e che tutti auspichiamo possa avere in vista del Giubileo che aprirà i battenti il prossimo 8 dicembre”. Lo ha detto il presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, ricevendo dalle mani del sindaco di Milano il sigillo della città. Non sia mai detta l’ultima parola soprattutto perché il termine corruzione nel nostro Paese sembra essere un’espressione senza fine. Anzi, in alcuni casi, si sa quando comincia ma non quando finisce. Una cosa però è storicamente acclarata: con Milano, nei fatti, si fa riferimento a Tangentopoli, quando Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, fu colto in flagranza, mentre cercava di gettare nello sciacquone svariate banconote prova indiscutibile della tangente (sette milioni da una impresa di pulizie). Era il febbraio del 1992. Da quell’istante un’ombra immensa avvolse la “capitale morale”, che sino ad allora s’era sentita al di sopra di ogni sospetto. Sempre da una analisi puramente storica non possiamo dimenticare Sindona, il Banco che peraltro si chiamava Ambrosiano, Guido Calvi, Cefis e la Montedison e mille altri rivoli corruttivi indici inconfutabili di una moralità che si andava dissolvendo di giorno in giorno fino ad oggi. Nel girone infernale dei corrotti e dei corruttori ci sono personaggi sempre più importanti, sempre più considerati, ai vertici delle amministrazioni pubbliche, a capo dei partiti, al comando di importanti aziende milanesi. L’intreccio tra politica, imprenditoria, corruzione e mafia non riguarda certo imprese del Sud. Non dimentichiamoci che Mario Chiesa è stato arrestato di nuovo nel marzo 2009. Fino ad oggi quindi Milano non è stata affatto immune da ritorni di fiamma, perché i corruttori, malgrado le tante manette, non si sono mai dati per vinti (anzi, hanno fatto tesoro dell’esperienza passata per sottrarsi alle indagini odierne). La corruzione non è affatto diminuita anzi è notevolmente aumentata, è il male endemico di un Paese che ha smarrito lo spirito di rinnovamento morale per coltivare il malaffare. Ancora protagonista è proprio Milano. Così una tangente dietro l’altra si arriva al malaffare della sanità lombarda (il fiore all’occhiello di Roberto Formigoni alla presidenza della Regione), alla compravendita dei voti (con la ‘ndrangheta a garantire l’elezione di più di un consigliere regionale o comunale), al risanamento dei suoli vedasi Rogoredo dove agì indisturbato un milionario con la passione per le auto extralusso e il cuore dentro Comunione e Liberazione), con l’arresto di esponenti della politica transitati da un partito all’altro ai piani alti delle istituzioni regionali, fino all’ultima stazione della via crucis, cioè all’Esposizione internazionale del 2015. Expo, che nacque, non dimentichiamolo, sotto la stella splendente della lotta alle infiltrazioni mafiose. E’ proprio a Milano che la ndrangheta specializzata nell’edilizia e in particolare nel movimento terra e nell’occultamento dei rifiuti tossici, gestisce finanziarie, cantieri edili, ristoranti e pizzerie, mercati generali della frutta e del pesce, centri commerciali.
A mio modestissimo parere Milano e la Lombardia avrebbero dovuto metter mano ad una poderosa macchina bellica per fermare la malavita e la corruzione molto tempo fa. Ci furono invece solo piccole barriere che il partito del malaffare scavalcò senza problemi. Le mafie e la corruzione sentono l’odore dei soldi ed Expo 2015 era una occasione ghiottissima. Non è un caso che sono cominciati di nuovo gli arresti e tra gli arrestati sono ricomparsi quasi per magia vecchie conoscenze, riemerse dalla prima Tangentopoli, come Gianstefano Frigerio e Primo Greganti. Ai due si aggiungono personaggi ai vertici dell’erigendo Expo, direttori dei lavori, funzionari, e politici qualche notorietà. L’allegra brigata, secondo l’accusa, avrebbe creato un sistema di favori e clientele per spartirsi i ricavi derivanti dagli appalti per la realizzazione di diverse opere (non solo legate a Expo). I pubblici ministeri scrivono che gli accusati avrebbero lavorato come una sorta di “consorteria” per creare legami e contatti tra alcuni personaggi politici ed imprenditori. Il sistema era costruito in modo tale da offrire ai funzionari pubblici che venivano coinvolti la possibilità di ottenere promozioni, avanzamenti di carriera e denaro in cambio di favori per le aziende interessate a ottenere gli appalti, a danno dei concorrenti. Questa sarebbe la Milano “capitale morale” d’Italia dove si corrompe senza badare a spese? D’altra parte i “remunerati” erano fior di dirigenti, manager e tecnici lautamente ricompensati per i loro servigi. Nei quasi due anni di indagini, le persone per le quali sono stati disposti gli arresti sono state intercettate e filmate mentre svolgevano le loro attività ritenute illecite.
La documentazione a noi nota, mostra la consegna di buste contenenti decine di migliaia di euro, in qualche caso cinquantamila euro, soldi in cambio di favori in proporzione. Mi pare sia andata così a Milano o sbaglio? Ovviamente in Italia, in Lombardia e a Roma, come in ogni altra città e regione le cose non stanno certamente in maniera diversa. A Milano a mio parere resta ancora molto ma molto da fare come dimostrano le tante inchieste intorno a Expo e non solo. Non per fare l’avvocato difensore di Roma ma non dimentichiamoci che la capitale è quasi dieci volte Milano con tutti i problemi e le criticità di una grande metropoli. Io concluderei affermando senza timore di smentita che né Milano né Roma in questo particolare momento storico possono essere capitali morali d’Italia, anzi, in entrambe le città, ma in tutto il resto della Nazione, occorre lavorare seriamente e non a chiacchiere contro la corruzione, il malaffare e le crescenti infiltrazioni mafiose. Occorrono fatti concreti e non proclami inutili e spesso dannosi se poi non attuati!