Il libro “Mezzogiorno in progress? Non siamo meridionalisti” promosso dall’Osservatorio di Economia e Finanza di Bari, presieduto da Salvatore Matarrese, curato da Antonio Corvino e Francesco Saverio Coppola, è una opera corale che ha visto nella sua elaborazione la partecipazione di 60 autori. Il volume, edito dalla casa editrice Rubbettino. Il libro è stato già presentato presso il Parlamento Europeo il 5 febbraio 2020.
Il volume vuole essere uno stimolo e un richiamo per il Mezzogiorno. Economisti, sociologi, imprenditori, intellettuali e rappresentanti della società meridionale mettono a disposizione di quanti sono chiamati a decidere nelle sedi istituzionali elementi di riflessione e sollecitazione per una conoscenza più ampia e approfondita del Mezzogiorno, delle sue opportunità e delle sue prospettive.
La speranza degli autori e dell’Osservatorio di Economia e Finanza è che questo lavoro, realizzato a più mani possa travalicare i confini dell’impegno letterario per divenire uno strumento utile di conoscenza, di approfondimento e di coinvolgimento, in vista dell’auspicabile obiettivo per ogni italiano di dare al Mezzogiorno quella centralità che è indispensabile affinché diventi per il Paese una grande opportunità di sviluppo e crescita. alle giovani generazioni e a tutti i meridionali il sogno di un Sud protagonista della propria storia… nonostante tutto
Si tratta di un’opera assai ampia che costituisce un mosaico del Mezzogiorno osservato nelle sue diverse sfaccettature. il volume contiene informazioni e stimoli che possono convogliare sempre più l’attenzione dei policy makers sui temi trattati, al fine di individuare politiche più efficaci per il Mezzogiorno. Il Sud può risollevarsi in una visione europea di coesione territoriale visto che ad oggi in ambito nazionale ha avuto poca attenzione. Ai cittadini meridionali l’impegno a non arrendersi mai. Divario e arretratezza non sono più i termini giusti per descrivere il Mezzogiorno, rispetto al quale vanno esaltate le eccellenze cercando di superare i divari con i territori più sviluppati.
Lo sviluppo economico e sociale di un territorio presuppone il superamento di egoismi territoriali che sono la prima causa della decadenza delle nazioni; l’Italia ha bisogno di ritrovare l’unitarietà economica e sociale per competere nel mondo.
La diffidenza, l’intolleranza e il crescente sovranismo devono essere affrontate attraverso la riduzione delle disuguaglianze di ogni tipo incontrate quotidianamente da cittadini europei. La lotta contro tali disparità, il mantenimento di condizioni di vita dignitose, e il rispetto dei diritti richiedono un’azione coordinata a più livelli, caratteristica della politica di coesione che non deve servire solo per cogliere le opportunità connesse ai cambiamenti tecnologici o climatici, ma deve anche consentire agli enti locali e regionali di creare opportunità per i loro cittadini.
La ricerca scientifica è chiave di volta e punto di partenza per costruire interventi utili a colmare il gap tra Mezzogiorno e resto del Paese, nell’interesse, soprattutto, del Paese stesso. La ricerca e la formazione presentano già esempi di assoluta eccellenza, a fronte di finanziamenti inadeguati; bisogna lavorare ulteriormente sul trasferimento della conoscenza. Università , centri e infrastrutture di ricerca sono i presidi da cui ripartire. In Italia le diseguaglianze territoriali e sociali sono ulteriormente aumentate con la crisi finanziaria del 2007. Una crisi che ha aggravato il dualismo all’interno del nostro Paese e che ha fatto esplodere la persistenza di una questione “sociale” dimenticata. L’attenzione rivolta, anche dalla politica di coesione, al rilancio del mercato e della competitività, senza tenere conto di come esso impatti sulle fasce più disagiate e vulnerabili, ha prodotto un doppio paradosso. Da un lato, l’economia meridionale stenta a crescere, nonostante i Fondi Strutturali, e dall’altro la mancata integrazione tra politiche per lo sviluppo e politiche sociali, ha finito per generare un effetto perverso, con le condizioni di vita delle popolazioni meridionali che peggiorano. In prospettiva, le politiche per lo sviluppo vanno ancorate al superamento della disoccupazione, della discriminazione di genere e della povertà, soprattutto minorile. Occorre dunque ripensare le finalità economiche rimettendo al centro i bisogni umani e sociali che devono soddisfare.
Per parlare di Mezzogiorno bisogna partire dai ventuno milioni di abitanti e i sei milioni circa di occupati. Il rapporto 1 a 4 mostra quanto grandi debbano essere gli sforzi per superare questo gap. L’unica strada per consentire all’Italia di rimanere tra i grandi d’Europa è trovare vie alternative che consentano di evitare al Mezzogiorno lo spopolamento, l’abbandono delle campagne, e dei territori in generale
Il Mezzogiorno cantiere in progress?! Un cantiere sì, ma cantiere nazionale, europeo e mediterraneo. Il Mezzogiorno, la grande scommessa della nazione, deve tornare a crescere e ritrovare lo spirito di un’azione corale che ridia senso e direzione allo sviluppo dell’intero Paese. Tocca al Mezzogiorno, mettendo anche in discussione i suoi equilibri ed i suoi strumenti di programmazione e di governance, decidere del suo futuro. Lo Stato deve fare la sua parte. Per intero. Sul versante delle nuove frontiere dell’innovazione, della dotazione infrastrutturale, logistica e degli investimenti produttivi. Le scelte devono spingere il Mezzogiorno verso il centro delle relazioni internazionali e non bloccarlo ai margini del Mediterraneo. Ma la volontà e la capacità del Mezzogiorno, il suo orgoglio, sono dei must irrinunciabili”