Antonio Troise

Ci risiamo. Avevamo quasi rimosso il ricordo della più grave crisi finanziaria dal dopoguerra ed ecco che, sui mercati, tornano nuvoloni carichi di incertezze e di tensioni. Ieri, le Borse europee hanno bruciato quasi 160 miliardi di euro. Il giorno prima, Wall Street aveva registrato il calo più forte da sei anni a questa parte. Ma non basta. Perchè dietro le quinte, si intravedono nuove bolle speculative pronte ad esplodere con clamore. Basta dare un’occhiata al crollo delle quotazioni dei famigerati “bitcoin”, per far suonare più di un campanello di allarme. Eppure, nessuna autorità finanziaria, fino ad oggi, si è mai preoccupata dell’impennata dei valori della “moneta digitale”, con incrementi che, in alcuni mesi, hanno sfiorato il 1000%. Evidentemente, la storia più o meno recente delle bolle speculative ha insegnato poco o niente ai regolatori.

Ma che cosa sta succedendo sui mercati? Ad accendere la miccia, ancora una volta, sono gli Stati Uniti, dove l’economia ha da tempo ripreso a correre. Risultato: stanno correndo anche i salari con il conseguente rischio di una ripresa dell’inflazione. Un pericolo reso ancora più concreto dalle inevitabili pressioni sull’economia che saranno esercitate dalla riforma fiscale di Trump. Tutto questo potrebbe spingere la Fed a tirare il freno e a chiudere i rubinetti di quella liquidità che fino ad oggi ha letteralmente inondato i mercati di dollari.

E l’Europa? Prima di tutto, nel mondo globalizzato quello che avviene sul mercato americano ha un effetto a catena su tutte le altre piazze mondiali. E’ vero che nel Vecchio Continente la ripresa economica è arrivata tardi e non è clamorosa. Ma c’è un’eccezione, la Germania. Qui, da qualche mese a questa parte, non solo la disoccupazione è ai minimi storici ma i sindacati hanno cominciato a battere i pugni sul tavolo e a chiedere aumenti salariali. Un trend che potrebbe spingere verso l’alto l’inflazione e spingere i “falchi” della Bundsesbank ad entrare in rotta di collisione con la Bce di Mario Draghi, imponendo un netto cambio di strategia. Basta con il “bazooka” del Quantitative Easing e dell’acquisto di titoli pubblici e avvio di una nuova stretta monetaria. Uno scenario che penalizzerebbe i Paesi con il debito pubblico più alto e dove la ripresa è ancora incerta. Il riferimento, pienamente voluto, è all’Italia, che non solo deve fare i conti con i problemi dell’economia, ma anche con la campagna elettorale dagli esiti più incerti da vent’anni a questa parte. E c’è anche chi teme che il nostro Paese possa fare da detonatore, dopo il 4 marzo, di una nuova crisi finanziaria internazionale. La grande speculazione ha già aperto il dossier. Tutti i partiti, nessuno escluso, sono avvertiti.