Maria d’Enghien, contessa di Lecce a 17 anni, sposa prima di Raimondo Orsini del Balzo, principe di Taranto e poi di Ladislao I d’Angiò, madre di quattro figli, combattente agguerrita, mecenate di bellezza, avveduta amministratrice del suo amatissimo feudo.
Maria visse per oltre venti anni all’ombra del primo marito Raimondello, che possedeva feudi in Campania e in Irpinia e una vasta signoria in Puglia da Brindisi a Barletta in un territorio che ebbe in quegli anni un notevole sviluppo culturale grazie alla realizzazione di stupende opere d’arte come la fastosa Basilica di S. Caterina a Galatina e la raffinata Guglia di Soleto.
La morte improvvisa di Raimondello, lasciò Maria con quattro figli piccoli a fronteggiare Ladislao I di Napoli, che ambiva alla conquista delle terre di Puglia. La donna nascose la morte del marito per proseguire la ribellione contro Ladislao, lasciò Lecce con i figli e andò a Taranto, che considerava una città più sicura e da cui era più facile ricevere aiuti via mare. Organizzò la preparazione all’assedio che Taranto avrebbe subito in maniera avveduta: assoldò truppe mercenarie e strinse contatti diplomatici con gli avversari di Ladislao.
Iniziato l’assedio di Taranto, Maria perse il sostegno delle truppe e acquisì la consapevolezza che difficilmente avrebbe potuto resistere.
Per questo, ricevuta la proposta di un matrimonio pacificatore proprio da re Ladislao, Maria accettò e avviò le trattative che portarono al suo matrimonio.
Ladislao Re di Napoli non era un una persona di cui fidarsi: le sue due precedenti consorti avevano avuto un destino infelice e misterioso, per questo, ad uno dei cavalieri che le sconsigliava il matrimonio, dato che il re avrebbe potuto ucciderla, l’intrepida contessa salentina rispose che non se ne curava “Chè Se Moro, Moro Regina”.
I feudi in possesso di Maria furono inclusi nel Demanio della Corona e negli anni seguenti, sino alla morte di Ladislao, risiedette a Castelnuovo, senza grande influenza sulla politica del marito.
Molti hanno ipotizzato la vita in solitudine di quegli anni, invece fu il periodo in cui il suo ingegno si rafforzò, visse i divertimenti e seppe cogliere le stimolanti novità culturali della vita di corte, intessé relazioni con scienziati e intellettuali. Di tutto questo Maria fece tesoro portando poi la sua esperienza come un ricco valore a cui attingere al suo ritorno a Lecce.
Nel 1414 Ladislao morì e sua sorella Giovanna II fece imprigionare Maria, temendola come rivale per il regno.
Il 15 agosto 1415, un nuovo colpo di scena salvò Maria d’Enghien grazie all’arrivo di Giacomo di Borbone, futuro marito di Giovanna, perché la figlia di Maria, Caterina, grazie ad una iniziativa di Giacomo, sposò uno dei cavalieri al suo seguito.
Una volta liberata Maria tornò nella sua amata Lecce.
Non ancora cinquantenne, la contessa, riprese in mano la sua vita e tutto quello che negli anni a Napoli aveva imparato e si occupò per oltre trent’anni del feudo di cui era sempre stata contessa, con una attenzione alla qualità della vita dei suoi abitanti che oggi si lega ad un concetto moderno di Sviluppo Sostenibile.
Nel 1445 emanò gli “Statuta et capitula florentissimae civitatis Litii”, esempio di equilibrata gestione di una città di cui amministrò persino la pulizia, le norme in caso di incendi, il comportamento decoroso e rispettoso di persone e beni. Durante il trentennio di Maria D’Enghien ebbero larga diffusione le arti della tessitura, della oreficeria e della scultura. Stabilì rapporti commerciali con la Repubblica Veneta per l’importazione di tessuti e fece restaurare il molo di S. Cataldo, utilizzato dai mercanti veneti e poi anche da commercianti genovesi, fiorentini, greci ed albanesi. Il latino venne utilizzato sempre meno a favore di una nuova lingua, il volgare leccese usato dalla contessa nelle lettere scritte ai suoi parenti. Infine promosse l’Arte, conoscendo bene il valore evocativo che hanno architettura e pittura sulla storia di un committente e di una civiltà. Fu promotrice del culto latino mentre tutto il resto del “tacco” dell’Italia era ancora fortemente legato al culto Greco Cristiano. Dato che da Roma si voleva imporre il culto latino, Maria ne divenne promotrice ed un centro grande come Lecce rafforzò la presenza della Chiesa di Roma nel Sud Italia. Il Salento diventò il nuovo centro del mondo costituendosi come cerniera, punto di incontro fra mondi differenti.
Maria morì a Lecce il 9 maggio 1446.
Non siamo abituati a parlare di donne nel Medioevo, un’epoca in cui la donna è monaca di clausura mediamente oppure è in casa a contemplare la grandezza di Dio.
Fu sposa di Raimondello del Balzo, un uomo decisamente particolare, che si recò in pellegrinaggio sul Sinai per andare ad omaggiare il corpo mummificato di Santa Caterina d’Alessandria e, si narra, che le avesse spezzato un dito, una reliquia intorno alla quale fu costruita una bellissima basilica a Galatina.
Morto Raimondello, Maria dovette affrontare l’invasione del Re di Napoli ed in seguito rischiò di essere uccisa da sua cognata. Allontanatasi da Napoli tornò a governare Lecce, ma soprattutto si occupò dell’opera che aveva iniziato suo marito, la basilica di Santa Caterina. La Basilica è un capolavoro eccezionale per la pittura, completamente affrescata, non c’è centimetro delle sue pareti e soffitti che non sia stato dipinto da un gruppo di artisti quasi completamente anonimi, promossi tutti da Maria. La vitalità degli affreschi non ha nulla da invidiare a quello che all’inizio del Quattrocento si stava cominciato a dipingere a Firenze e di cui conosciamo oggi tutte le caratteristiche, ma a Lecce e soltanto in questo luogo si fa un’esperienza molto simile grazie a questa contessa. La donna commissionò il ciclo mariologico, come omaggio alla Vergine di cui portava il nome. Numerose sono le scene dipinte e numerosissimi personaggi: ognuno con la propria espressione, abito e carattere e svolgendo la propria attività. Si ipotizza che ci sia anche il ritratto di Maria, in quanto committente. La sua espressione dice moltissimo della sua personalità: è l’unico personaggio che non partecipa alle scene, ma guarda e osserva da lontano. Rappresenta il canone di bellezza di quel periodo: bionda, con il volto ovale e la carnagione chiara. E’ rappresentata come una donna sicura fiera e bellissima.
Il lato misterioso di Maria d’Enghien, si trova nella sua personalità, complessa, eclettica, coraggiosa che diventa richiamo per scoprire ed apprezzare la sua storia e quella del suo regno.