No, non siamo su “Scherzi a parte”. Siamo sintonizzati sulla serie “Sud, buone notizie”. Sì è vero, l’Italia è attraversata da venti divisivi, la polemica antimeridionalista sfiora (e talvolta sconfina) nella contrapposizione a muso duro. E il clima pre-elettorale non aiuta a ragionare mantenendo la giusta lucidità. Ha provato a farlo Marco Zigon, neo cavaliere. Industriale con stabilimenti in provincia di Caserta, presidi nei mercati mondiali dell’energia, capo di un Gruppo che esporta l’80 per cento del fatturato, il giorno dopo il Referendum per l’autonomia di Zaia e Maroni, rompe gli indugi.Prende carta e penna e scrive al direttore del Gazzettino Veneto: “Cari colleghi, scommettete sul Sud”. Lo fa un po’ con lo spirito di chi lancia un messaggio nella bottiglia o nell’etere. Ma il racconto è efficace. La narrazione è quella giusta. Ricorda che la sua famiglia viene dal Veneto. E in Campania ancora investe, come di recente con il piano di investimenti che ha posizionato i due stabilimenti di Marcianise e Pignataro sui blocchi di Industria 4.0. “Al Sud siete benvenuti – dice – qui farete come ha fatto la mia famiglia e come continuo a fare io. Magari anche meglio, perché le opportunità sono tante, più stimolanti e promettenti che mai…”.
Rispondeil giorno dopo il presidente di Confindustria di Venezia Rovigo. Vincenzo Marinese ha una storia analoga a quella di Zigon, solo che la sua direzione va a Sud (la Sicilia è la sua terra d’origine) verso il Veneto, dove si stabilisce venti anni fa. E dove lavora tutt’oggi. Imprenditore anch’egli, risponde a Zigon con pari serietà e compostezza. Sarà un caso, ma non c’è dubbio che la vicenda rappresenta un “Paese reale”che non solo è molto più avanti non della politica, ma anche di quello specchio deformante che si chiama Facebook, dove gli italiani per lo più si azzuffano o si prendono a dita negli occhi a colpi di tastiera.
Certo poi aiuta a dialogare il fatto che nel Sud non c’è solo la crescita del Pil (per la prima volta in recupero, dopo i lunghi anni di crisi(. E non c’è solo una regione – la Campania – che nel 2016 porta a casa il risultato straordinario di un aumento di Pil superiore alla media italiana. Non ci sono solo gli incentivi fiscali concepiti ad hoc dal Governo per chi assume al Sud. E non ci sono solo le Zes, nuova frontiera dello sviluppo meridionale incardinato nel sistema portuale e logistico.
UNITI NELLA COMPETIZIONE
I destini del Sud e del Nord sono intrecciati, invece, da sempre. Dal punto di vista del risultato economico, è stato calcolato (da Srm – Studi e ricerche sul Mezzogiorno) che 100 euro investiti al Sud generano un “effetto dispersione” sul Centro Nord pari a 40,9 euro. Invece la stessa somma impiegata nei territori centro-settentrionali dà origine a una ricaduta di soli 4,7 euro a beneficio del Mezzogiorno. Gli stessi vertici della Lega devono essersene accorti, quando hanno rinunciato a battere la grancassa della secessione preferendole il flauto dolce del federalismo e della devolution. “Ognuno padrone a casa propria”, dicevano gli uomini in camicia verde. Salvo poi rendersi conto che la casa propria è… l’Italia.
STORIE PARALLELE
Le storie di lavoro e d’impresa del Sud e del Nord sono spesso intrecciate a doppio filo. Lo dimostra lo scambio epistolare avvenuto tra domenica 29 e lunedì 30 ottobre. Un colloquio a distanza, ospitato dalle colonne del Gazzettino Veneto.
Il primo a scrivere, Zigon,non ha remore a stigmatizzare le contraddizioni del Mezzogiorno: “Non va negata la responsabilità di una certa classe dirigente – spiega nella sua lettera aperta – meridionale, ma qui si può fare impesa e dare un contributo alla crescita dell’intero Paese”. Gli risponde Marinese, la cui esperienza è inversa, dal punto di vista geografico. Ma non sono divergenti le conclusioni: “Sono contrario – ribatte il presidente veneto – a qualsiasi forma separatista, l’Italia è unica e unita, e come Italiani ci dobbiamo prendere la responsabilità di risolvere i problemi che da troppi anni ostacolano la nostra rande capacità, forse unica al mondo, di intraprendere”.
Ecco, se una lezione si può trarre da questo episodio illuminante, è il seguente. Se la politica fosse capace di ascoltare e condividere lo spirito del Paese che si impegna, che produce, crea ricchezza e lavoro – invece di annaspare nella morta Gora dell’autoreferenzialità – l’Italia secondo campione industriale su scala europea diventerebbe di sicuro un “fuoriclasse” della competitività mondiale. E, come si dice spesso in gergo sportivo, “non ce ne sarebbe per nessuno…”.