Ha preso carta e calamaio, si sarebbe detto qualche anno fa, ed ha scritto a Roberto Napoletano, direttore del “Quotidiano del Sud”. Per affermare la sua opinione di commercialista prestato alle istituzioni: prima difensore civico del Comune di Napoli, poi assessore al Bilancio e vice sindaco del Comune di Frattamaggiore. Una missiva per sostenere che le Regioni sono nate nel 1970 e che a distanza di quasi cinquant’anni “sarebbe ora che ricevessero una procedura di revisione”. Parla Giuseppe Pedersoli. Il Sudonline lo ha intervistato.
Dottor Pedersoli, perché è convinto che si debba fare il tagliano all’istituto delle Regioni?
Si fa un gran parlare di tagli al numero dei Parlamentari all’insegna della sacrosanta lotta agli sprechi. Ma si tratta di bruscolini al confronto degli sperperi di risorse pubbliche per alimentare le Regioni e il loro sistema di partecipate. Come se lo Stato italiano potesse tenere ancora in piedi la parcellizzazione del suo territorio in un puzzle di venti tasselli, nessuno abbastanza grande e strutturata per essere al passo della competizione economica globale.
Tanti pezzi non fanno un insieme più grande?
No perché ciascuna Regione cammina per conto suo. Se si unisce ad altre, come succede più spesso al Nord, è per contrapporti a Roma ladrona o al Mezzogiorno delle mafie.
Ed è quanto ha mandato a dire ai giornali del Nord attraverso il quotidiano di Roberto Napoletano?
Certo, mi pare che abbia assunto una posizione molto coraggiosa nel ruolo che si è ritagliato di controcanto a testate come Libero e La Verità, che da qualche tempo hanno cominciato a piangere a causa del fatto che ci sono troppi meridionali nella compagine del governo Conte 2.
Piangere? Ma scusi i piagnoni-vittimisti non eravamo noi del Sud?
Anche fannulloni, non se lo dimentichi. Oltre che facilmente indotti dal familismo amorale alla sregolatezza e al tribalismo di matrice mafiosa. Uno storytelling che parte da molto lontano, ma che ha ampliato le basi del proprio consenso negli ultimi venti anni.
I venti anni di assoluta solitudine delle ragioni del Sud sui giornali nazionali, vuole dire?
I quali la raccontano sempre in maniera differente. Sia chiaro, non banalizzo il tema degli sprechi di cui sono responsabili le classi dirigenti del Sud. Ma mi irrita – ed irrita tanti come me – che ci sia sempre una Regione meridionale al centro della polemica. Perché spende troppo, perché ha troppi forestali, perché ha il sistema sanitario locale in mano alla politica.
Non è così?
Il Quotidiano del Sud sta portando avanti una campagna di verità, ossia una contro informazione radicale e a 360 gradi. E confesso che sono rimasto francamente colpito in particolare dalla prima pagina di quel giornale di venerdì 4 ottobre. Una intera prima pagina in cui, sotto il titolo “Vergognatevi” a caratteri cubitali.
In cui si riferisce dell’incredibile “esborso di denaro pubblico sprecato per far funzionare i baracconi delle Regioni”.
Si ma si parla delle Regioni del Nord, ecco la novità. Dati alla mano, si dimostra che il vero assistenzialismo vero risiede nel Nord: Piemonte e Veneto, pur con un milione di abitanti in meno della Campania, spendono da 5 a 2 volte e mezzo in più della Regione più chiacchierata, assieme alla Calabria,anzitutto per inefficienza del suo sistema sanitario.
Da questo poi passa a sostenere che dopo cinquant’anni dalla sua introduzione, è necessario che l’istituto delle Regioni venga sottoposto a un check up serio per rilevare le sue patologiee indicare una terapia d’urto.
E’ arrivato il momento di effettuare il “tagliando” alla macchina delle Regioni, che in Italia sono troppo numerose e sovente di dimensioni Lilliput, vasi di coccio al cospetto della competizione economica globale.
E quindi cita l’esempio francese. Che cosa ci insegna?
La Francia ha dato vita a una nuova mappa istituzionale a tredici regioni, da ventidue. Una riforma spinta da François Hollande, per avere in Franciaregioni di “dimensione europea”, ossia in grado diessere motori dello sviluppo economico.
Solo tredici regioni e parliamo di un territorio, quello francese, che è il doppio del nostro. E l’Italia?
Il nostro invece da un decennio è impantanato del federalismo che culmina ultimamente con la richiesta di autonomia su un cumulo deleghe, dalla scuola alla sanità.
Tutto deriva dalla modifica del Titolo V della Costituzione che passò nel 2001. Al governo c’era D’Alema.
Che pensò di lanciare unsegnale alla Lega di Bossi puntando a separarla da Berlusconi.
Mentre invece?
Invece, ripeto, il problema sono le Regioni e il loro spesso opaco sistema di partecipate. Alle Regioni nessuno pretende quello che si chiede alle imprese, ed anche con una certa insistenza: ossia di accorparsi e fondersi, come è successo in Francia,con l’obiettivo indispensabile di crescere portandosi alla dimensione di cluster sempre più robusti e strutturati. Così abbiamo ereditato un sistema farraginoso derivante dalle prime forme di concessione di forme di autonomia legislativa, ossia il federalismo all’acqua di rosa del 2001.
La slavina dura ancora.Anzi è diventata una rovinosa valanga.
Sì dopo gli accordi intrapresi tra Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna con il governo Gentiloni, tornare indietro sarà più difficile. Certamente traumatico. Ma si sa, noi italiani siamo molto bravi a complicarci la vita.