Il sistema tributario del regno delle Due Sicilie non era oppressivo, lo divenne dopo l’unità per finanziare la crescita del nord. Esisteva un esiguo numero di imposte ed anche il tasso percentuale era molto basso; l’imposta principale che garantiva all’erario un gettito pari ad un terzo dell’entrate complessive, sul continente era quella fondiaria, mentre quella più importante in Sicilia era  quella della macinazione dei cereali seguita da quella fondiaria. La ricchezza mobiliare era quasi esente da imposte perché secondo le teorie economiche di allora ben evidenziate da Voltaire ne “L’uomo dai quaranta scudi”, la terra era considerata l’unica ricchezza ed essendo questa già tassata con l’imposta fondiaria, al fine di evitare ingiustizie, su tutto il resto erano fissate tasse lievissime, specie quelle sugli affari e sui trasferimenti di proprietà, mentre le successioni per mortis causa non erano soggette ad imposte alcune. Questo sistema recava notevoli vantaggi alla borghesia mercantilistica specialmente a danno  dei poveri agricoltori considerati “i detentori unici della ricchezza nazionale”. Con le disposizioni di legge del 30.11.1824 e del 15.12.1825 fu consentito l’esportazione dei prodotti nazionali stabilendo anche dazi protettivi nella misura del 3% sulle merci non lavorate e del 30% su quelle lavorate inasprendo ulteriormente le aliquote per quei beni che più da vicino facevano concorrenza a quelli napoletani. Fu poi diminuito il dazio sul tabacco e sull’olio d’oliva ed il diritto di bollo sul commercio con l’estero.