Lo Stato perde il pelo ma non il vizio. L’emendamento alla legge di stabilità che punisce i Comuni che vogliono frenare il gioco d’azzardo è emblematico di un paese che si è trasformato in un vero e proprio casinò a cielo aperto, dove lo Stato biscazziere incassa, ogni anno, fra i 9 e i 10 miliardi di euro. Altrettanti vanno a finire nei bilanci del piccolo club di concessionari che gestiscono slot machine e gioco on line. E a rimetterci sono solo gli italiani, che in media, spendono ogni anno 1500 euro a testa per inseguire il sogno di diventare milionari. Un sogno che, nell’era della recessione, è diventato sempre più allettante. Non a caso, il fatturato dell’industria del gioco non si è mai fermato, raggiungendo nel 2012 quota 80 miliardi di euro. Siamo il primo mercato in Europa e il terzo a livello mondiale.
Con questi numeri alle spalle, non è difficile immaginare la potenza di fuoco della lobbye che difende i giganti del settore. Interessi che, per molti aspetti, coincidono con quelli di uno Stato alla costante e perenne caccia di risorse fiscali per far quadre i conti pubblici. Un matrimonio perverso che, di fatto, ha consentito alle società che gestiscono le slot di incassare importanti risultati in Parlamento. Uno per tutti: la riduzione della maxi-sanzione decisa dalla Corte dei Conti per le concessionarie del gioco d’azzardo. Da 98 miliardi è calata, di botto, fino a 2,5 miliardi. Per poi ridursi a 600 milioni (peraltro già contestati).
Ora, la storia si ripete. Poco importa se, con un ordine del giorno, l’esecutivo e la maggioranza hanno cercato di trovare un riparo ad una situazione paradossale. C’è da scommettere (è il caso di dire) che saranno pochi i Comuni ad adottare misure contro il gioco d’azzardo se poi dovranno rispondere, di tasca propria, dei minori incassi dell’erario. In tempi di vacche magre e di bilanci asfittici, è davvero troppo chiedere ai sindaci ulteriori sacrifici sia pure in nome del buon senso comune.
Ma c’è di più. Lo Stato (e i contribuenti) in questa partita ci perdono non solo da un punto di vista “etico” ma anche più strettamente contabile. E’ vero che ogni anno l’erario incassa una “vincita” consistente dalle partite allo slot che gli italiani perdono. Ma è anche vero che, prima o poi, bisognerà fare i conti con le patologie connesse al gioco d’azzardo. E, i costi della ludopatia, si scaricheranno preso sul sistema sanitario. Forse, è davvero il caso di pensare ad una riforma del settore che metta davvero fine ad una liberalizzazione senza regole che ha fatto solo il gioco dei colossi del settore e delle lobbyes che li difendono in Parlamento.
Antonio Troise
fonte: L’Arena, Giornale di Vicenza, Giornale di Brescia