“Moody’s rivede la stima del Pil 2014 italiano da +0,5% a -0,1%: un quadro che, oltre a mettere a rischio il 3% sul deficit-Pil, ‘renderà più difficili le riforme’. Più ottimista l’Ocse: l’Italia ha di fronte una fase positiva”. Così il SOLE 24 ORE sintetizza la giornata di ieri, dominata dall’analisi dell’agenzia di rating. “(…) Bastano poche parole all’agenzia di rating Moody’s per prevedere quello che tanti temono: anche nel 2014 l’Italia potrebbe non crescere. (…) L’analisi di Moody’s arriva dopo altre revisioni al ribasso delle stime sul Pil. (…) Ma Moody’s è la prima a prevedere il segno meno per il Paese anche quest’anno. Per di più il suo monito arriva dopo che, negli ultimi 10 giorni, altri economisti internazionali hanno mostrato freddezza sull’Italia. (…) Il debito pubblico, secondo l’agenzia di rating, arriverà a toccare il 136,4% del Pil quest’anno, per poi calare al 135,8% nel 2015. Questo produrrà una serie di conseguenze. Innanzitutto minerà la politica di consolidamento fiscale del Governo, dato che è tutt’ora basata su una stima di crescita dello 0,8%. Per di più ‘complicherà l’implementazione dell’agenda di riforme di Renzi’: l’Italia, come dimostra l’indice dell’Ocse sulla reattività alle riforme, è stato il Paese del Sud Europa meno veloce a progredire. (…) E la vicenda di Carlo Cottarelli, il commissario per la spending review che recentemente ha denunciato il fatto che il Parlamento vuole usare i risparmi da lui indicati per nuove spese piuttosto che per tagliare le tasse, secondo Moody’s è emblematica: ‘Dimostra il vento contrario che soffia sulla capacità dell’Italia di realizzare tagli strutturali alla spesa, a causa delle pressioni politiche’. Insomma: Moody’s mette il dito in tante piaghe dell’Italia. Le sue previsioni possono essere giuste o sbagliate, ma quello che conta è altro: l’opinione internazionale sull’Italia sta cambiando. L’idea di un Paese immobile torna a prevalere tra gli osservatori (…)”.
“Possibile – chiede LA STAMPA – che l’agenda di Renzi, pur ricca di cose fatte o in cantiere, abbia deluso così rapidamente gli osservatori internazionali? A giudicare dalle reazioni dei mercati – almeno quelle di breve periodo – la risposta è no. Ieri Milano ha chiuso a 1,39 per cento, in scia con le altre Borse europee. Lo spread tra il Btp e il Bund si è assestato a 172,9 punti base, al di sotto dei 180 punti di venerdì scorso, così come stabili sono i rendimenti dei Btp. Quel che fa impressione il rapidissimo mutare del sentimento – il cosiddetto mood – attorno alla reale possibilità del nuovo governo italiano di cambiare il corso delle cose. Le ragioni di questo cambio repentino sono molte, dallo scontro con l’Europa sulla flessibilità di bilancio alla reazione (sottovalutata dal governo) alla prossima uscita di scena del commissario alla spesa Carlo Cottarelli. Le sue critiche – fa notare Moody’s – ‘hanno rivelato le difficoltà nel rendere permanenti le riduzioni di spese di fronte alla pressione politica’. Così come non sono passate inosservate le risposte piccate del premier a Draghi e alla Commissione europea, ieri costretta a rispondere che ‘l’attuazione delle riforme spetta all’Italia’, e che da quelle ‘discendono crescita e occupazione’. L’autunno ci dirà se il sentimento volgerà o meno di nuovo al bello: dipenderà dalla qualità della legge di Stabilità, dei promessi tagli alla spesa, delle riforme in cantiere come quella del mercato del lavoro, tuttora inattuata”.
Secondo LA REPUBBLICA “si profila uno scontro tra Roma e Bruxelles. Già, perché pur restando sotto la soglia del 3%, senza sforzi aggiuntivi l’Italia comunque non manterrebbe gli impegni presi con l’Europa rischiando una procedura per deficit che manderebbe in tilt i rapporti con i vertici dell’Unione. (…) Non faccia dunque illudere la frase con la quale ieri un portavoce della Commissione uscente, quella guidata da Barroso, ha chiuso la polemica sulle riforme: ‘È con le riforme strutturali che si creano le condizioni per crescita e occupazione, ma la loro realizzazione è una questione che riguarda l’Italia’. Nessun appeasement, la battaglia deve ancora iniziare. (…) Tutto gira intorno alle nuove regole Ue: non basta essere sotto il 3%, bisogna ridurre il deficit strutturale (depurato dal ciclo economico) in modo da abbattere il debito (…)”.
Spiega IL SOLE 24 ORE: “Dopo la gelata abbattutasi sul Pil nel secondo trimestre dell’anno (…), la strategia del governo, da mettere in campo subito dopo la pausa estiva, passa attraverso due strade obbligate: l’accelerazione delle riforme, la contemporanea trattativa con Bruxelles (da avviare subito ma con risultati attesi non prima di novembre) per far scattare dal 2015 le ‘clausole attenuanti’ previste dal Fiscal compact in presenza di una prolungata fase recessiva. (…) Siamo dunque a un passo dal limite massimo oltre il quale scatterebbe la procedura d’infrazione, e con l’ulteriore contrazione del Pil pare compromesso anche il percorso di riduzione dal deficit strutturale (depurato dagli effetti del ciclo e dalle una tantum) così come richiesto da Bruxelles (…). Si tratta ora di ridiscutere quel passaggio delle otto raccomandazioni rivolte al nostro paese, in cui si invita il governo a mettere in atto ‘sforzi aggiuntivi’ già quest’anno così da colmare lo scarto tra la riduzione del deficit strutturale chiesta dalla Commissione (0,7%) e quella prevista dal governo (0,1%). (…) Ecco perché la partita che il governo si appresta a giocare prevede questa duplice linea di azione: provare ad accelerare, per quanto possibile, sul piano delle riforme (dal mercato del lavoro al fisco), nell’aspettativa che nel medio periodo vi sia l’effetto atteso in termini di incremento del Pil potenziale. Su questa base, si dovrebbero dal 2015 poter sfruttare margini temporali meno stringenti (anche sul fronte del rientro dal debito) (…)”.