di LAURA BERCIOUX
Al Quirinale la nomina di Grande Ufficiale Al Merito della Repubblica Italiana consegnata dalle mani di Napolitano alla professoressa Maria Falcone, sorella del magistrato Giovanni Falcone, il giudice che con Paolo Borsellino ha lottato duramente contro la mafia. Un percorso, dopo la strage, che la sorella del grande magistrato, ha voluto fare con la Fondazione che si occupa soprattutto di giovani, di legalità oltre a portare avanti il pensiero del giudice che diede un colpo massiccio a Cosa Nostra, cambiando il volto della Sicilia con il maxi-processo e il suo metodo investigativo. L’Aula Bunker non è solo il luogo delle pene inferte ai criminali, è anche il simbolo di una lotta seria alla mafia. E così, dopo 22 anni di attività con la Fondazione Giovanni e Francesca Falcone, lunedì il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano Le ha conferito un importante riconoscimento.
Quali sono state le sue sensazioni?
“Beh è un po’ come i bambini, come quando ottengono un premio per aver fatto bene un compito. Un riconoscimento per avere fatto un lavoro con tutto il cuore e con tutta l’intenzione di ottenere il meglio”.
Le nuove generazioni e la criminalità: che cosa si può fare per sviluppare nuovi modelli culturali?
“La Fondazione, in tutti questi anni, ha cercato di dare ai giovani dei valori. Se si hanno dei valori poi le scelte sono conseguenti. Credo che tutto quello che facciamo sono il frutto della nostra educazione e quindi delle cose in cui crediamo. Quello che abbiamo fatto è dare ai giovani i valori nei quali, per esempio, Giovanni Falcone ha creduto e per i quali è morto. Cioè per i valori della giustizia, della legalità e soprattutto per i valori che sono insiti nella democrazia e nella libertà. Se uno ha una cultura del genere, ha la base essenziale per non sbagliare nelle proprie scelte. Le scelte sono sempre individuali e sono sempre influenzate dall’educazione. Purtroppo ci sono nella nostra città, come in tutte le città del mondo, posti dove questi principi, questi valori non arrivano e quindi chiaramente i ragazzi possono anche fare e fanno purtroppo delle scelte che vanno contro la legalità. E’ solo la legalità che ci può aiutare in questo campo”.
La violenza giovanile riporta alle cronache storie maledette: Ciro, Davide e poi Vincenzo, attaccato dal branco e vittima di un gesto terribile.
“Sono cose atroci. Io metto tutto nel conto della scarsa educazione personale. Chi, con una buona e solida educazione, avrebbe fatto il gesto che ha fatto quel ragazzo? Che poi non è un ragazzo, perché a 24 anni sei un uomo. Poi ci sono i gesti di follia individuale e collettiva… però in linea di massima chi è educato ed ha determinati principi, nella vita si comporterà in una determinata maniera”.
La Sicilia di Falcone e quella di oggi: che cosa è cambiato nella lotta contro la mafia?
“Purtroppo adesso, con tutti i problemi della crisi, forse non è più una priorità in senso assoluto. La mancanza del lavoro e la recessione porta la gente a distrarsi. La mafia con questa crisi, ha creato nuove possibilità nuove forme di crimine, un tema che abbiamo affrontato quest’anno con la Fondazione. C’è sempre una grande attenzione nella lotta alla criminalità, i vari magistrati svolgono la loro attività. I tempi sono cambiati perché adesso di mafia possiamo parlarne, possiamo dire che si è combattuta. Abbiamo ottenuto molte vittorie dai tempi del maxi-processo fino ad oggi. La mentalità della società è cambiata. Purtroppo la mafia esiste ancora anche se ha ricevuto grossi colpi. E non bisogna pensare di aver vinto, perché potrebbe risorgere anche più forte di prima. La mafia, diceva sempre Giovanni, si combatte su tre fronti: il fronte giudiziario, il fronte economico, il fronte lavorativo: bisogna dare lavoro alle giovani leve ed educarli ai veri valori”.
C’è una frase dedicata a Giovanni Falcone che l’ha colpita?
“Ce ne sono tante. C’è un’ultima frase che ho ricevuto in un bigliettino qualche giorno fa, e chi scriveva paragonava mio fratello all’eroe americano che salva tutti: In America c’è Spiderman, a Palermo ci sei tu!”.