Vincenzo Musacchio*

La presenza di cittadini cinesi in Italia, specie in Toscana e in Lombardia, avviene verso la prima metà degli anni ottanta. In origine, i loro membri si dedicano ad attività commerciali lecite, come la gestione di ristoranti tipici o d’imprese artigianali nel settore manifatturiero e tessile. Gli insediamenti che nascono sono, tuttavia, dei microcosmi scollegati dalla società autoctona. Le indagini svolte dalla magistratura requirente e dalle forze di polizia, confermano l’esistenza di nuclei dominati dall’omertà, resi ancor più impenetrabili dalle difficoltà della lingua. Nei rarissimi casi in cui si è riuscito a penetrare il muro del silenzio, si sono scoperti fenomeni criminali interessati alla gestione della vita di quegli ambienti attraverso: sequestri di persona, estorsioni, prostituzione, gioco d’azzardo, sempre rivolte a propri connazionali. In tempi più recenti si è aggiunto lo sfruttamento della prostituzione aperto anche a una clientela esterna all’ambito etnico di riferimento. Questa situazione d’isolamento socio-culturale rappresenta terreno fertile, in concomitanza con le successive ondate migratorie, per l’inserimento delle realtà criminali organizzate esistenti in madrepatria. L’emigrazione verso l’Italia aumenta quando nei primi anni novanta Deng Xiaoping lancia una nuova politica di apertura del mercato: ciò determina la chiusura delle grandi industrie di Stato, che lascia senza lavoro un numero considerevole di persone.

Gli impianti, ormai obsoleti, si trovano soprattutto nelle province settentrionali, nella regione corrispondente all’ex Manciuria. La ristrutturazione decisa da Pechino provoca, così, nuovi flussi migratori, composti prevalentemente dagli operai licenziati, non giovanissimi, tra i trenta e i cinquanta anni. Allo stesso modo, l’arrivo dal nord-est di donne prive di qualsiasi prospettiva di vita contribuisce alla crescita della prostituzione cinese. Il destino di quasi tutti i nuovi arrivati è quello della clandestinità. Queste hanno diretto le proprie attività illecite esclusivamente nei confronti della comunità cinese, compresi i familiari rimasti in patria, attraverso la gestione dell’immigrazione clandestina, lo sfruttamento del lavoro nero, il gioco d’azzardo, i sequestri di persona e le estorsioni.  Rispetto al mercato degli ingressi illegali, i gruppi cinesi si presentano come vere e proprie “organizzazioni etniche”, in grado di gestire l’intero percorso migratorio grazie a una stretta coordinazione tra le diverse figure coinvolte. I capi delle organizzazioni risiedono in Cina (le cd. Triadi) e si appoggiano a referenti dislocati nei Paesi di destinazione dei migranti. Il viaggio prevede l’accompagnamento fino a destinazione tramite un membro dell’organizzazione cui è demandato il compito di controllare il rispetto dell’accordo e il conseguente saldo del trasporto da parte dei parenti al referente in patria, una volta che il soggetto sia giunto a destinazione. Nell’ambito di questo mercato esistono anche altre tipologie di operatori. Esistono associazioni di medio livello che operano su tratte intermedie del percorso, solitamente nel passaggio fra uno Stato e l’altro e organizzazioni scarsamente strutturate costituite da addetti al trasporto dei migranti da un territorio di confine all’altro. Le prime si contraddistinguono per la conoscenza specialistica delle rotte, dei trasporti da utilizzare, e del territorio in cui si trovano a operare. Un esempio è dato dagli scafisti albanesi che fin dai primi anni novanta si sono dedicati al traffico di migranti lungo il tratto di mare che separa l’Albania dalle coste pugliesi.

Nel giro di un decennio si è passati da attività occasionali all’organizzazione sistematica di viaggi, che ha consentito a tale formazione di diventare un’agenzia di servizi a disposizione di altri trafficanti. Coinvolti in queste attività criminali, sono anche i trafficanti turchi artefici degli sbarchi sulle coste calabresi. I capi risiedono in Turchia e hanno rappresentanti disseminati in diverse località preposte al reclutamento dei migranti, dispongono di referenti in Italia, spesso connazionali regolarmente presenti da anni, il cui compito consiste nel guidare da terra l’arrivo delle imbarcazioni e segnalare la presenza eventuale di forze dell’ordine. I clandestini, sempre accompagnati da guide dette “teste di cobra”, viaggiano muniti di passaporti falsi e, giunti a destinazione, sono affidati al gruppo criminale operante sul territorio. In Occidente l’appellativo “testa di cobra” ha un significato dispregiativo: sono boss criminali, che sfruttano la disperazione dei diseredati mandandoli a lavorare nel fondo dell’inferno in qualche luogo abbandonato da Dio e dagli uomini. Le “teste di cobra” non sono riferibili alle Triadi, le organizzazioni criminali originarie di Hong Kong, che praticano il classico racket mafioso di protezione e di estorsione nonché il traffico di beni illegali. Semmai sono una sorta di agenzia di viaggio che include nel pacchetto anche l’ingresso illegale in un altro paese. Sono contrabbandieri, non trafficanti. Generalmente non si occupano di trovare lavoro ai clandestini nel paese di destinazione: li fanno arrivare, e lì si devono arrangiare da soli. Le vittime del traffico di manodopera, invece, sono rapite o raggirate dai trafficanti in accordo con i datori di lavoro, che intendono schiavizzare e costringere con la forza le persone a lavorare.

Sono pochi cinesi forzati ad accettare contratti di lavoro all’estero, la loro, spesso, è una scelta spontanea. Le ricchezze derivanti dalla consumazione dei reati sono sistematicamente investite nei settori produttivi in cui la comunità è già inserita, giungendo a inquinare le realtà economico commerciali esistenti sul territorio. Le associazioni criminali cinesi in Italia replicano il modello della ’ndrangheta: si costituiscono su base familiare o plurifamiliare, fondandosi sul concetto di “guanxi”, cioè sul senso di appartenenza a un gruppo che, oltre e indipendentemente dai legami di sangue, esprime l’idea della famiglia economica allargata che ruota intorno a interessi comuni: la gestione di un ristorante, di un magazzino di stoccaggio, di una sala giochi legale o clandestina, di una società di trasporti o di qualsiasi altra attività che generi profitti, leciti o illeciti. Le inchieste condotte in varie parti d’Italia hanno evidenziato come le mafie cinesi hanno investito sull’acquisto, sempre in contanti, d’immobili privati e attività commerciali spesso a prezzi fuori mercato e spesso in condizioni di perdita rispetto alle gestioni precedenti. Nonostante la particolare chiusura manifestata dagli ambienti illeciti cinesi, gli studi e le ricerche sul tema hanno fatto emergere l’esistenza d’intrecci criminali in zone ad alta densità mafiosa sintomo della natura reticolare, mobile e prettamente affaristica della criminalità organizzata operante in Italia. Le zone più interessate sono: la Campania (abbigliamento, componentistica, beni di largo consumo), Toscana, Lazio e Marche (pelletteria e sartoria), Nord-Ovest e Nord-Est (componentistica, informatica ed orologeria). La criminalità organizzata cinese collabora con le associazioni di stampo mafioso italiane, con le quali sviluppa sinergie per la distribuzione e la vendita dei beni. Proprio dal nostro Paese parte ogni ramificazione di quest’organizzazione mafiosa e si espande in tutta l’Europa. Prova di quanto affermato è nell’arresto di Zhang Naizhong, il capo dei capi della mafia cinese in Italia.  Il boss era al vertice di una vera e propria organizzazione criminale di stampo mafioso con base operativa a Prato (in Toscana) ed operante in varie città d’Italia e d’Europa.

*giurista e presidente dell’Osservatorio Antimafia del Molise