La disparità e l’assenza di un riequilibrio fra Nord e Sud si accentua e si intensifica durante l’età giolittiana, nei primi anni del 900. Paradossalmente sono proprio gli anni dove forse, per la prima volta, con le legislazioni speciali (Basilicata, Napoli, Calabria…) si cercava di trovare una strada verso politiche differenziate fra Nord e Sud.
Eppure, proprio in quel periodo, a segnare una differenza enorme fra Nord e Sud era la libertà di sciopero. Tutelata nel settentrione, negata nel Sud. Basta guardare alle reiterate disposizioni governative, spesso firmate personalmente da Giolitti, che definivano associazioni a delinquere le leghe contadine e indicavano gli articoli 146,154, 248 del codice penale per procedere rapidamente agli arresti e alle imputazioni giudiziarie. In questo senso un filo di continuità legava le lotte sociali nel Mezzogiorno giolittiano con il vasto movimento di braccianti, mezzadri, coltivatori scesi in lotta nella Sicilia del 1S93 e colpiti dalla repressione crispina.
“L’analfabetismo ancora di massa, il disfacimento del tessuto sociale nelle vastissime aree di emigrazione, la riduzione della politica a rapporti clientelari, il rifiuto viscerale delle classi dominanti meridionali di aprire canali di comunicazione con le masse lavoratrici connotavano il quadro in cui si esprimeva, in scoppi improvvisi e incontrollati sanzionati dai ricorrenti ‘eccidi proletari’, il ribellismo delle masse subalterne meridionali”, scrive Barbagallo.
Come attesterà anche il relatore per le Puglie dell’Inchiesta parlamentare del 1909-10 Enrico Presutti: «Vi è in fondo nei proprietari la convinzione che i contadini non sono uomini come loro. Il comm. Dalmazzo, ispettore generale al ministero dell’Interno, mandato a Cerignola a comporre lo sciopero del maggio scorso, ebbe a dirmi di aver letto sul viso dei rappresentanti dei proprietari la meraviglia per la uguaglianza del trattamento formale, che esso faceva ai proprietari ed ai contadini, facendo sedere gli uni e gli altri accanto a sé».