di SIMONA D’ALBORA
Fa tristezza pensare che di Bagnoli, uno dei quartieri napoletani con un’anima e una personalità così forte, non sia rimasto niente, a parte una colmata . Una colmata che divide e che è li, pesante come un macigno, simbolo della colmata di promesse di prospettive e di rilanci mancati, simbolo di 20 anni di mala politica che non ha saputo gestire e prevedere un futuro dopo la dismissione industriale.
Tralasciando le vicende giudiziarie conseguenza di scelte scellerate o di mancanza di scelte precise, quella colmata è diventata simbolo della discordia tra chi denuncia la presenza di veleni tossici al suo interno e chi sostiene che sia composta da materiali inerti e quindi non pericolosi per la salute. Da alcune foto ritrovate negli archivi dell’ex Italsider, dal giornalista Ciro Crescentini, la colmata sarebbe composta da detriti prodotti dalle demolizioni degli edifici presenti in Via Coroglio e dalla loppa, sottoprodotto dell’altoforno.
“La colmata non è pericolosa – dichiara Aurelia del Vecchio, ex lavoratrice dell’Italsider di Bagnoli, e autrice del libro, Un luogo preciso esistito per davvero, nel quale narra la vita di Bagnoli e dell’Italsider attraverso la sua esperienza personale – così come il vero problema di Bagnoli non è mai stato l’Italsider. Anche Gino Di Francia, memoria storica della fabbrica e di Bagnoli, che si fida solo di quello che ha visto e della sua esperienza, sostiene che la colmata è composta da tufo, loppa e cemento. Sì, sono state trovate tracce di arsenico ma la stessa relazione del Commissariato di Governo per la Bonifica sostiene che provengono dalle falde termali attorno alla colmata. Ma i veleni trovati in superficie e che provengono probabilmente da scarichi, non sono riusciti a penetrare perché la loppa ha fatto da repellente “
Come nasce la colmata?
“La colmata nasce dalla necessità di un sito dove depositare materiali, è composta da loppa e tufo e dal cemento proveniente dagli edifici demoliti a via Coroglio all’epoca dell’ampliamento della fabbrica nel 1962. È una montagna di materiale”
Ma chi ha interesse a dire che la colmata è pericolosa?
“Inizia tutto quando l’Italsider è stata dismessa, anzi qualche anno prima, nell’89, col disegno di Prodi, De Mita e Fracanzani, di privatizzare tutto e alla fine è stato demolito solo Bagnoli , quasi a voler togliere ogni alibi di modernità alla siderurgia pubblica che di lì a poco sarebbe stata privatizzata. Il fondamentalismo ambientalista dell’ex ministro Pecoraro Scanio, seguito dalle associazioni hanno contribuito a rafforzare questa idea sbagliata che la colmata fosse tossica. Poi basta vedere le scelte per la destinazione d’uso della colmata per capire l’incongruenza: l’intenzione, nel 2007 era quella di farne una banchina nel porto di Napoli o a Piombino. Adesso tu rimuovi una colmata perché la reputi pericolosa per i cittadini e vai a metterla da un’altra parte della città o in Toscana?”
Però nell’area occidentale della città, secondo alcuni studi, c’è una più alta incidenza di tumori
“È naturale che sia così, era l’area dove premevano le industre, ma su Bagnoli c’è moltissima ignoranza, come sulla pericolosità dell’Italsider. La storia parla di altro, stiamo parlando di un’industria all’avanguardia che produceva acciaio non amianto, e lo produceva rispettando rigidamente tutto il ciclo di produzione, dall’inizio fino allo smaltimento, piuttosto interroghiamoci sulla presenza di altre fabbriche, come l’Eternit, ad esempio, o la Federconsorzi, che si trovava dove oggi c’è Città della Scienza e che produceva veleni come acido fosforico, solfato di rame e fertilizzanti fosfatici. O la Cementir che ora è di Caltagirone, e non si capisce perché, nonostante le molte ordinanze della Asl e del sindaco non lo si costringa a bonificare.”
Cosa ne è stata dell’Italsider e cosa ne sarà di Bagnoli?
“Bagnoli e l’Italsider sono state usate come arma di .lotta politica, dai tempi del Caf, ed è uno dei motivi per cui ad oggi ci troviamo in questa situazione. Venti anni fa avevamo una situazione che funzionava e poi è stata demolita, nonostante l’enorme produzione di coils che ora siamo costretti a comprare all’estero . La classe politica non ha avuto alcuna capacità e volontà progettuale per Bagnoli, a parte idee mai realizzate, perché alla fine ognuno diceva la sua sul suo futuro e non si è realizzato nulla. La risposta la troviamo in questo controsenso: 1200 miliardi di lire li hanno spesi e non si è fatto e non si farà niente per Bagnoli. Bagnoli non è solo un problema ambientale, è un problema economico e di occupazione. La vera colpa è aver pensato solo al problema ambientale e non all’aspetto economico. Questa esperienza fallimentare ha dimostrato che è venuta meno la cultura del lavoro e quando viene meno questa cultura viene meno tutto, a partire dalla dignità. È il simbolo di una città come Napoli, plebea, ingovernabile e carente della cultura del lavoro e può diventare metafora di un’Italia che non ha un progetto e non si sa dove stia andando.”
Lei ha lavorato all’Italsider dal 1971 a 1996, poi la cassa integrazione, come ha reagito?
“In questi anni abbiamo cercato di recuperare la memoria della fabbrica, abbiamo costruito un archivio che si trova nell’Istituto campano della Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea, lo abbiamo fatto per annullare quella volontà di distruggere la memoria del luogo. Nell’archivio sono conservate fotografie, memorie, schede dei lavoratori, da non confondere con l’archivio che vogliono portare a Roma.”
Cosa rendeva l’Italsider un’industria diversa dalle altre?
“Un processo di evoluzione, nel dopoguerra fino agli anni ‘60 ovviamente la situazione era completamente diversa, mio suocero era iscritto alla Fiom e al PCI, veniva e guardato con diffidenza e tenuto d’occhio e una volta che prese un giorno di ferie, fu seguito, e la sua giornata descritta dettagliatamente in un rapporto. Venivano messi in atto anche tentativi di screditare chi era iscritto al sindacato o al PCI.
Ma la vita dell’Italsider si intreccia in maniera meravigliosa con la vita di Bagnoli, negli anni ’50 la fabbrica fu occupata per 50 giorni perché erano stati licenziati come lavativi alcuni operai, in realtà i licenziamenti erano avvenuti per motivi politici, ma si giustificavano queste ingiustizie in altro modo e allora si diceva che erano lavativi. Comunque ci fu una grossa mobilitazione dei commercianti per portare da mangiare agli occupanti della fabbrica. Un momento veramente straordinario. Credo che nel cambiamento delle cose sia stata dirompente l’azione di un grande imprenditore moderno per i suoi tempi: Adriano Olivetti. A poco a poco, la dirigenza della fabbrica si è dovuta adeguare e ha iniziato a instaurare un rapporto più civile con gli operai. Gli anni terribili della disuguaglianza erano alle spalle, si iniziò a pensare alla sicurezza degli operai, a modernizzare la fabbrica e a rendere controllata tutta la lavorazione dell’acciaio. Insomma verso il ’68 si aprirono degli spiragli per i lavoratori”.
Il rapporto tra l’Italsider e Bagnoli era molto stretto, poi cosa è successo?
“Bisogna pensare che Bagnoli è un quartiere nato per volontà del conte Giusso, che l’aveva progettato in maniera elegante e razionale. Aveva una vocazione turistica, ma anche con l’arrivo dell’Italsider, prima Ilva la convivenza era meravigliosa fino al dopoguerra. Quando è iniziata, la speculazione edilizia che ha cementificato anche le terme, sono state abbattute ville bellissime. Comunque negli anni della guerra la fabbrica ha conosciuto varie vicissitudini, fu distrutta dai tedeschi in ritirata. Gli alleati volevano chiudere la produzione, ma gli operai in pochi giorni, rubando anche gli attrezzi agli americani per ricostruirla, rimisero in piedi la fabbrica.”
Lei ha scritto un libro. Un luogo preciso esistito per davvero, dove racconta la storia della fabbrica
“In realtà, ho cercato di raccontarne la storia attraverso la mia esperienza, attraverso le vibrazioni che l’Italsider emanava, io credo, e lo racconto anche nel libro, che esista uno spirito della fabbrica ed è molto vendicativo, ed è forse quello spirito che ora si agita ancora”.
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