Caro Carlo Lottieri, una viva preghiera: riscriva il pezzo pubblicato a sua firma sul Giornale del 18 settembre scorso. Sì, proprio quello che si intitola “Così gli aiuti hanno ucciso il Sud”. Perché? Glielo diciamo subito. Se ha la pazienza di leggerci…

Le politiche per il Sud hanno fallito – lei dice – “perché si basavano su incentivi con effetti a breve durata e, in molti casi, solo redistributivi”. Poi aggiunge che “l’aiuto è un farmaco nelle intenzioni di chi lo somministra, ma può funzionare come un veleno per chi lo riceve”. Avverte: “…l’aiuto pubblico distorce l’utilizzo delle risorse umane, che si dirigono dove vi sono i finanziamenti…”. E via dicendo.

Tutte le argomentazioni che adduce, anche quelle ricavate dal libro che cita (“Morire di aiuti”), possiamo anche prenderle per buone.Ammesso e non concesso. Ma abbia la compiacenza di spiegarci: per quale motivo esse riguarderebbero solo il Mezzogiorno e non qualsiasi lembo del globo terracqueo? Forse che le imprese virtuose del Nord, quando da qualche parte scovano un incentivo, lo prendono a fucilate?

Atteso che nel Mezzogiorno gli aiuti hanno potuto determinare l’intreccio perverso, via via più stretto, tra politica ed economia, favorendo la formazione del consenso mediante l’abile gestione della diffusa spinta assistenzialiste, eccetera eccetera… Ma perché vuol farci credere che l’incentivo è cosa buona e giusta se utilizzato al Nord, e viceversa si rivela sostanza tossica se speso nel Mezzogiorno? Se esso, come afferma citando Hayek, altera in maniera distorsiva le dinamiche di mercato, se favorisce un effetto dumping rispetto alle aziende e i territori non beneficiati, per quale arcano questo effetto dopante si scatenerebbe “solo” al Sud?

In un altro passaggio del pezzo ravvisa che gli aiuti in area meridionale hanno determinato una redistribuzione territoriale protratta per decenni, la quale risulta “molto costosa per i contribuenti settentrionali…”.

Come come? Costosa per i contribuenti settentrionali? Ma scusi tanto: se le risorse sono frutto dell’imposizione fiscale, vuol dire che ad esse contribuiscono tutti i cittadini, secondo la propria capacità reddituale. O no?

Detto altrimenti, se quella forma di redistribuzione risulta molto costosa, il peso non grava solo sulla tasca dei settentrionali, ma di tutti coloro che mettono mani alla tasca: in quota parte, anche i contribuenti del Sud. O no?

Lei afferma che gli imprenditori lombardi e veneti sono stati spinti a delocalizzare in Romania o Bulgaria, in anni più recenti, perché nel Sud vige un “sistema di regole” non premiante: contratti nazionali uniformi, una tassazione pensata per aree più ricche e “salari pubblici troppo elevati in rapporto a costo della vita”. Vuole dire che investirebbero volentieri al Sud qualora si tornasse alle gabbie salariali?

Ancora: vuol farci credere che l’imprenditore lombardo e veneto non va nei Paesi dell’Est perché trova “gli sghei”, ma perché lì si può misurare regole più efficaci, una burocrazia più efficiente, un sistema di regole premiante?

Prendiamo ad esempio Ilfov, Bucarest, Constanta, Cluj e Bihor, regioni agevolate della Romania: qui si registra il più altro assorbimento dei fondi europei, a fondo perduto, nell’esercizio finanziario 2014-2020. Milioni di euro. E un regime di agevolazione che Puglia e Basilicata se lo possono solo sognare.

Caro Lottieri, restiamo d’accordo così. Il pezzo lo riscriva. E ci aggiunga una postilla riguardante l’imponente numero di aziende – a lei l’onore di dire quali e quante – venute giù dal Nord al solo scopo di “estrarre incentivi”nel territorio meridionale, quando c’erano, per poi chiudere un giorno dopo il loro esaurirsi. Aziende di Stato entrate in crisi, imprese private che hanno ristrutturato, società che hanno superato la selezione “naturale” della competizione globalizzata: quanta flessibilità e resilienza dei distretti e delle filiere del Nord è stata possibile passando per soccorrevole ricorso all’incentivo delle “cattedrali nel deserto”, utilizzate come fugace camera di compensazione?

Ancora: quali campioni dell’industria hanno messo in campo iniziative produttive nell’esclusivo scopo di succhiare risorse a portata di mano?

Diciamola tutta. Il mordi e fuggi nel Sud precede di non moltola ricerca dei paradisi fiscali e Stati canaglia (Olanda e Lussemburgo in primis) di celebrati campioni del quarto capitalismo. Non le risulta?

Allora le giro le parole di Fulvio Coltorti, già direttore dell’Area Studi di Mediobanca. “La Fiat degli Agnelli – afferma sul Foglio- funge da battistrada: essa beneficia dell’aiuto dello Stato americano (dopo aver ben pompato quello nel Mezzogiorno, Ndr), acquisisce la Chrysler barattando le tecnologie motoristiche sviluppate negli stabilimenti italiani (e meridionali pure, Ndr)… per diventare una società di diritto olandese”. Le risulta?

E siccome al peggio non c’è limite, il resto viene dalla più recente inclinazione del capitalismo italiano  -e cioè settentrionale – a “preferire le operazioni finanziarie in alternativa ai progetti reali”, con l’obiettivo di “realizzare plusvalenze invece che rischiare su un nuovo progetto”. “Tutto è accaduto – conclude Conforti – in assenza di una politica industriale che fosse diversa dalle richieste opportunistiche dei grandi industriali sostenuti dai loro media…”. Che, può star sicuro caro Lottieri, mai furono meridionali.

Con i più cordiali saluti.

Claudio D’Aquino