Maestro,
mentre Le scrivo mi trovo virtualmente in quella Napoli che fu città solare di Isabella d’Aragona. Da qui era salpata coi suoi sogni di sposa il 30 dicembre del 1488, alla volta di Genova, per raggiungere Gian Galeazzo a Tortona il 25 gennaio. A Napoli era tornata vedova e infelice da Milano nel febbraio del 1500, dopo la caduta di Ludovico il Moro, e qui venne sepolta nel 1524.
A Napoli – “terra di mezzo” emblematica del cambio d’epoca che ci travolge- il caso o il destino ha fatto arrivare il Suo leggendario cartiglio, cifrato nel “Ritratto di Luca Pacioli con allievo” conservato a Capodimonte…Purtroppo la maggior parte dei napoletani non ne ha avuto informazione.
Lei Maestro ha corso un rischio mortale nel dipingere quella bizzarra scritta “IACO.BAR.VIGEN/NIS P.1495”, piccola e in una zona poco in vista del quadro. Il potere allora aveva licenza di uccidere alla luce del giorno mentre – sprovvisto di microspie ultratecnologiche e archivi digitali – per il controllo si serviva di efficienti spie in carne ed ossa. Il suo messaggio cifrato è passato sotto gli occhi ignari e ammirati del committente Ludovico il Moro (bersaglio della sua denuncia), ha superato le linee nemiche della cerchia ducale, non intercettato dagli scagnozzi del duca né dall’occhio scaltro di Galeazzo Sanseverino – l’allievo – da Lei ritratto con il vistoso guanto verde (come l’arsenico verde di Parigi) che fascia la sua mano sinistra, nascosta in parte dietro la schiena di frate Luca.
La sua testimonianza ha superato le frontiere dello spaziotempo. Raccoglierla è stato come strappare all’oceano del tempo il testamento spirituale dell’abitatore di un universo parallelo. La “virtuale bottiglia” col messaggio ermetico era giunta intatta e ben custodita entro il dipinto approdato al museo di Capodimonte, e il“codice alfabetico” dell’iscrizione era portatore di un intreccio di storie e di un segreto, nero come la mosca dipinta sul cartiglio.
L’iscrizione, genialmente “ programmata” per i posteri, cifra la testimonianza di un delitto già resa da vari storici a Lei contemporanei e sussurrata dai cortigiani, dal popolo milanese e nelle corti della penisola: l’avvelenamento di un giovane innocente che ben conosceva, il duca Gian Galeazzo Sforza fatto sopprimere dal potente zio Ludovico il Moro. Quella scritta “programmata” inoltre è in grado di veicolare informazioni su trame di vite e storie vere, coincidenti con testimonianze e documenti storici. Le lettere che la formano generano un diario datato 1495, ove Lei ha testimoniato, in nitide istantanee, i ricordi dei membri della famiglia Sforza e dei luoghi di Vigevano, e vicende note della corte occorse dopo la morte di Gian Galeazzo. Vi ricorrono episodi che “fotografano” i volti dei membri degli Sforza e i loro caratteri personali indicandoli per nome, la rivalità tra Isabella e Beatrice, il sodalizio complice del Moro con il genero Galeazzo Sanseverino, il ritratto della enigmatica Bianca (La Gioconda) a Lei commissionato dal Sanseverino per le nozze…
Le centinaia di frasi latine, decifrate dall’iscrizione inserendo la parola-chiave “musca” (la mosca del cartiglio), suonano come oracoli dal Rinascimento. Concise come telegrammi, pungenti, dolenti, argute o lapidarie, tutte includono il Suo nome: VINCI (sul modello di alcuni poeti greci nei distici epigrammatici). Sono “poemi dell’attimo”, che – come dicevano i Latini – hanno “un fulmine alla fine”. Come gli epigrammi racchiudono momenti documentati della storia vissuta, mentre paiono venire da isole di memoria e lontananze senza tempo.
Conformemente all’antico spirito greco, i suoi “epigrammi cifrati” concorrono a fissare il ricordo poetico di una vita. Nell’iscrizione ha criptato, tra altre, frasi quali MISER AGNUS ABACO –VINCI P.1495// ABACE SIS AGNORUM – VINCI P.1495// SIGNUM ERAS ABACO-VINCI P.1495// AGE, SORS IN ABACUM…(Lo sventurato agnello tramite l’abaco– VINCI P.1495 ; O abaco che tu sia dalla parte degli agnelli – VINCI P.1495; Tu eri un segno per mezzo dell’abaco – VINCI P.1495; Orsù, il destino secondo l’abaco – VINCI P.1495 …)… Il suo ”abaco alfabetico” testimonia del destino sacrificale di Gian Galeazzo (l’”immacolato agnello” come viene soprannominato dal Corio), posto al centro dell’intreccio di storie che ne emerge, ma al tempo stesso si fa portatore di una “parabola cosmica”.
E tuttavia la storia esemplare che ci consegna, in questo tempo della serialità e fungibilità globale in cui l’”agnello” percorre la via crucis del laboratorio col marchio di un numero, la chiameranno forse con arido neologismo “cold case” o forse la ignoreranno. Qui il flusso mediatico annienta e genera a ritmi incessanti nuove storie nella consumazione spettacolista e nella cancellazione della memoria. Nel dominio delle immagini falsificate che si sostituiscono alla realtà e la dissolvono, perfino Lei, autore di capolavori e geniale inventore , che in arte mirava a riflettere e svelare nel profondo la realtà , si ritrova – da creatore – ridotto a creatura, a prodotto confezionato col “codice a barre”…
La memoria chiusa nel suo cartiglio viene alla luce in questo presente, in cui le merci e le memorie artificiali hanno sradicato e mutato le forme universali dell’immaginario. La storia umana e la metafora cosmica che ci consegna nel Suo diario in codice non può più essere compresa nei mondi delle realtà virtuali e del sogno frantumato.
Infine il Suo messaggio è nella chiavetta USB che ho in mano, decifrato in centinaia di frasi. Ciascuna porta il sigillo (la sua firma): VINCI, imperativo singolare di vincere e infinito passivo del verbo.
Imperativo assoluto e infinito passivo del verbo che faccio mio, perché non ho saputo né potuto consegnare il suo messaggio. Ogni porta a cui ho bussato si è chiusa brutalmente o è rimasta sbarrata. Mi sento in trappola in una trama soffocante simile ai suoi nodi vinciani, dove, ad ogni passo, snodi sottendono lacci, e sentieri si intrecciano per chiudersi in una morsa al centro. Questo neolabirinto, che ha perso il filo del mito, non è metafora liberatrice, ma ha l’incombenza di un incubo iperreale.
E dentro quell’incubo sto correndo, poiché l’estrema speranza è di arrivare viva a Napoli: devo far sapere ai suoi abitanti che la città custodisce un tesoro. E’ loro diritto. Ma c’è ragione di temere che il Suo segreto, ora decifrato nel file che stringo in mano, venga censurato e rigettato nell’invisibile.
…Allora mi fermo stremata ai piedi di un muro di gomma, lungo come la muraglia cinese… So che la città è dall’altra parte; sento la folla di Napoli vociare nel suo inconfondibile dialetto.
Ma non mi è possibile oltrepassare quel muro.
Post scriptum: Le quattro frasi citate nell’articolo, riportanti la firma VINCI , al pari delle altre 400 circa, sono formate con le identiche lettere della frase del cartiglio IACOBARVIGENNIS P.1495+MUSCA