Claudio D’Aquino
Le riflessioni di Antonio Napoli si confermano sempre lucidissime e stimolanti, siano esse affidate alle colonne del Corriere del Mezzogiorno o alla testata online Il Sussidiario. In particolare quando riguardano la sua città d’origine, che è la mia, mentre quella di adozione è ormai da anni vive Milano. Siamo entrambi partenopei di Fuorigrotta, in quel quartiere abbiamo speso l’adolescenza e ci siamo conosciuti.
A Napoli essere del Vomero o di Chiaia o del Vasto o, appunto, di Fuorigrotta, fa la differenza. Differenza di sfumature, intendiamoci. Anzi, di prospettive. Il quartiere di Fuorigrotta, nato in realtà nel ventennio sotto la spinta della costruzione della Mostra delle Terre d’Oltremare, è separato dal resto della città da un doppio tunnel, che anche fisicamente sanciscono un legame di “cordone” e, insieme, una certa distanza. Insomma è un po’ come guardare la città “vera” – il fazzoletto di territorio corrispondente al centro antico che si estende – dall’alto di una balconata di teatro.
L’ultimo articolo di Antonio parla di Noemi, la bimba ferita a Napoli da un killer della camorra. Il titolo non rende del tutto giustizia all’articolo perché indugia su un aspetto che non risponde del tutto allo spirito con cui la città ha reagito al ferimento di Noemi, la bimba che versa in condizioni critiche all’Ospedale Santobono. “Gomorra ha successo, le manifestazioni anticamorra no”, si legge sul Sussidiario, che poi aggiunge un sommario ancora più caustico: “Napoli è ritornata in prima pagina con il suo volto peggiore, la violenza criminale consumata senza riguardo per gli innocenti”.
Il racconto della realtà è il fondamentale obiettivo del giornalismo, ne è quasi la ragion d’essere. Ma il racconto è proprio lo spazio di intersezione che lega il giornalismo a un altro genere di scrittura, la narrazione letteraria con i suoi topoi e le sue enfasi, e persino i suoi tic. Leggere Napoli come un prolungamento della sceneggiatura di Gomorra? Ci può stare, scontando però una certa parzialità e un certo limite della visuale. Perché tutto può essere adoperato nel tentativo di raccontare Napoli, tranne che la divisione manichea in buoni e cattivi, i borghesi illuminati e il popolo, gli intellettuali nipoti della Repubblica partenopea e i lazzari di oggi, che da guappi si sono trasformati in criminali senza scrupoli.
Mettere il dito nella piaga è cosa buona e giusta, l’indignazione dinanzi a fatti così gravi non è mai troppa. Ma c’è anche un’altra realtà da raccontare, un’altra verità da testimoniare…
Lo espresse bene Caravaggio, ed è ragione della sua grandezza e attualità, che preferì descriverla coi chiaroscuri. “Si può discutere all’infinito – scrive Antonio Napoli – se la Napoli che racconta Gomorra esista davvero sia una finzione che danneggia l’immagine della città…”. Né l’una né l’altra, caro Antonio. Una terza Napoli si è manifestata proprio per effetto del ferimento di Noemi e sembra pronta a scendere in campo.
Una terza Napoli formata non solo dai pochi o molti che hanno preso parte alle manifestazioni che hanno fatto seguito all’episodio cruento, all’insegna di “Prima le persone” e di “DisarmiAmo Napoli”, quasi dei flash mob. C’è anche un ampio moto di sdegno di una maggioranza, oramai non tanto silenziosa, che ha percepito la differenza, ha compreso che in piazza Nazionale non è avvenuto un agguato “qualunque”, non di un episodio di ordinaria brutalità si è trattato per cui, proprio dal fondo suppurato di una comunità avvezza a convivere con abuso e sopruso, è sorto un sommovimento emotivo, una reazione diffusa al graffio avvertito nella carne, uno scatto degli umori che segnala lo scoccare una scintilla etica e dei costumi. E questa scintilla ha un nome e cognome: Antonio Piccirillo.
Chi è? Non un pentito della camorra che si dissocia come tanti. E nemmeno una persona che prende le distanze dal clan di appartenenza scegliendo di fare una vita appartata, come Nunzio Giugliano, ucciso nel 2005. Antonio Piccirillo ha fatto outing rispetto alle scelte del padre pubblicamente. Si è spogliato dei panni di famiglia proprio in piazza, come Francesco d’Assisi. E senza esitare ha gridato in piazza – poche o molte che fossero le persone presenti al sit-in – il più netto ed inequivocabile degli slogan: “La camorra è una montagna di merda”. Ha ventitrè anni, Antonio, ed è già una icona della “terza Napoli”. E soggiunge al cronista Fulvio Bufi che lo intervista: “Chi fa soffrire i propri figli condannandoli a una vita di sofferenze non serve a niente, nemmeno come genitore”.
Racconta che fa volontariato con Pietro Ioia, Antonio Piccirillo. Che per lui ha svolto evidentemente il ruolo di “testimone soccorrevole”, diventando la guida o il maestro che non ha mai avuto. Ioia è un ex narcotrafficante – spiega Bufi – che dopo aver scontato vent’anni di carcere fa fondato un’associazione che aiuta i ragazzi provenienti da famiglie disagiate a inserirsi nel mondo del lavoro. “Lui mi ha dato la spinta – afferma Piccirillo – a tirare fuori quello che ho dentro… Essere figlio di un camorrista significa non vivere bene, e io sono stanco di non vivere bene…
La terza Napoli è quella che si ottiene dalla intersezione di due insiemi, i borghesi e i lazzari che, come dice Raffaele La Capria, a Napoli si guardano in cagnesco e si tengono a debita distanza, temendosi l’un l’altro, fin dalle tragiche vicende della Repubblica partenopea. E’ la Napoli che sui social ha fatto rimbalzare la preghiera – laica o cattolica poco importa – affinché sia possibile che la vita della piccola Noemi non si spezzi. Una invocazione rimbalzata da profilo a profilo in Facebook quasi come una voce che passa di balcone in balcone, da vicolo a vicolo, come nella città immaginata da Domenico Rea. Che era scrittore e giornalista senza confondere mai i piani. E a proposito di articoli su Napoli ebbe a scrivere:
“Per noi resta il fatto che ovunque troviamo quattro righe su Napoli, prostituzione, furto, arrangiamento e compromesso sono i punti di forza. Ma il sentimento tragico della vita, spogliato e nudo, che qui regna su tutto, come la violenza di vivere almeno una volta, perché una volta si vive, rimangono forze oscure. La brama di vivere, che ossessiona questa gente di fondo pagano, oppressa dalla miseria, ha fatto sembrare il napoletano un uomo incontinente… il napoletano non insiste nel male, perché il suo ideale è un mondo semplice e buono che raramente riesce a realizzare. E’ un essere umano che nelle più violente furie conserva, più che un filo di ragione, un’illuminazione di bene”.
Ps: Intanto si apprende che “Noemi respira meglio” grazie a un lieve miglioramento del polmone sinistro. Rimossi i coaguli di sangue dai bronchi, i medici sperano di poterla estubare il prima possibile. La nota Ansa ha un punto attacco molto “vero”: La città prega per Noemi, si riaccende la speranza…