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Il tasso di disoccupazione ufficiale rileva una realtà in parte alterata, si legge nell’ultimo rapporto della Svimez. La zona grigia del mercato del lavoro continua ad ampliarsi per effetto in particolare dei disoccupati impliciti, di coloro cioè che non hanno effettuato azioni di ricerca nei sei mesi precedenti l’indagine. Considerando questa componente, il tasso di disoccupazione effettivo nel Centro-Nord sfonderebbe la soglia del 13% (ufficiale: 9,1%) e al Sud passerebbe dal 19,7% al 31,5 %.

Il dramma giovanile e femminile

Per le nuove generazioni del Mezzogiorno continuano a essere sbarrate le porte d’accesso al lavoro, la durata della disoccupazione si è allungata, così come la transizione scuola-lavoro. Al dualismo territoriale si unisce insomma anche quello generazionale: dal 2008 al 2013 sono andati persi in Italia 1 milione e 800mila posti di lavoro fra gli under 34, mentre per gli over 35 nello stesso periodo l’aumento è stato di oltre 800mila unità. Il tasso di disoccupazione degli under 35 è salito nel Mezzogiorno nel 2013 al 35,7%. Peggiora poi il processo di transizione scuola-lavoro: i giovani residenti al Sud lasciano la scuola nello stesso anno dei loro coetanei del Centro-Nord, ma entrano nel mercato del lavoro sette anni dopo di loro. In relazione ai tipi di contratto, la flessibilità sembra funzionare più per trovare posti di lavoro precari e poco formativi piuttosto che favorire il recupero del gap esperienziale.

Si inizia a credere che studiare non paghi più, alimentando così una spirale di impoverimento del capitale umano, determinata da emigrazione, lunga permanenza in uno stato di disoccupazione e scoraggiamento a investire nella formazione avanzata. Non ci si iscrive quindi più all’Università: i tassi di passaggio dalla scuola superiore all’istruzione terziaria nell’anno scolastico 2012-2013 sono scesi al 51,7% al Sud e al 58,8% al Centro-Nord, riportando il Paese ben al di sotto dei livelli di dieci anni fa.

Le donne del Sud tornano al lavoro, ma restano segregate in basse qualifiche

Se gli uomini  perdono il posto di lavoro perché concentrati in quei settori più colpiti dalla crisi negli ultimi anni, quali il bancario/finanziario, il manifatturiero e quello delle costruzioni, le donne rientrano, o entrano per la prima volta, nel mercato del lavoro, ma andando a ricoprire posizioni poco qualificate. Non a caso dal 2008 al 2013 le professioni qualificate femminili sono scese dell’11,7%, mentre sono aumentati del 15% i posti di lavoro nelle professioni poco qualificate; e le giovani donne italiane con livelli medio-alti di istruzione fanno fatica a trovare un’occupazione non precaria. Resta quindi nei fatti una segregazione di genere e di settore. Le donne che scelgono il part time, circa il 30% del totale nelle due ripartizioni, non lo fa per scelta: al Sud addirittura il 75% dei part time femminili è involontario.