Falliscono gli assalti in corsa alla riforma elettorale, che si accinge a superare indenne il traguardo di Montecitorio, in attesa di affrontare le insidie di Palazzo Madama. All’indomani del clamoroso stop alle quote per le donne, l’aula della Camera ha dato l’ok all’impianto della riforma elettorale targato Renzi-Berlusconi. Ma non sono mancati i momenti di suspense per la maggioranza trasversale, soprattutto nelle conte sul voto di preferenza e poi sulla doppia preferenza di genere, prove superate rispettivamente con 35 e 20 voti di differenza. Più ampio il margine con cui l’assemblea in mattinata ha approvato a scrutinio segreto – 315 i sì, 237 i no, una cinquantina i voti sfuggiti alla maggioranza allargata per l’occasione a Forza Italia – l’emendamento della commissione Affari costituzionali di Montecitorio che introduce le nuove soglie per i partiti e le coalizioni. A seguito del sì all’emendamento, potranno accedere alla ripartizione dei seggi le liste coalizzate che abbiano superato l’asticella del 4,5 per cento. Per le liste non coalizzate la soglia sarà dell’8 per cento. Per le coalizioni l’asticella sarà fissata al 12 per cento. L’accesso al premio di maggioranza del 15 per cento richiede alla coalizione vincente il superamento del 37 per cento.
La tensione è cresciuta nel primo pomeriggio, quando la Camera ha respinto con 299 sì, 264 no e un astenuto l’emendamento a prima firma La Russa, volto a introdurre il voto di preferenza. Un tentativo reiterato con maggiore chances di riuscita nel tardo pomeriggio. In votazione, la doppia preferenza di genere proposta da Gregorio Gitti e altri deputati del gruppo Per l’Italia. Su 575 presenti e 574 votanti, i no sono stati 297, i sì 277. Esortando a votare a favore dell’emendamento, Gitti ha avvisato che sarebbe stata l’ultima occasione per affrontare la questione delle quote per le donne, perché “il Senato non cambierà nulla”. A favore dell’emendamento si è subito espresso, il Movimento 5 Stelle, mentre Ignazio La Russa (Fratelli d’Italia) ha addirittura aggiunto la sua firma al testo. Per Massimo Parisi (Forza Italia) il testo dell’emendamento, “così come formulato, è incostituzionale”. Anche il renziano del Pd Matteo Richetti – dopo avere reso omaggio “al coraggio e alla generosità di Pier Luigi Bersani”, che con le sue scelte ha consentito al gruppo Pd di essere composto da un’ampia componente di donne – ha riconosciuto possibili errori del suo partito sulla questione quote rosa ma sottolineando al contempo che nell’emendamento Gitti “siamo un po’ oltre il rischio di incostituzionalità”. Rimproveri al Pd sono giunti dalle file di Sel: Giorgio Airaudo ha chiesto ai democrat di dire “basta con la doppia verità”, per esempio su primarie e quote rosa. Insistenti le richieste del M5S alle deputate Pd: “Votate sì all’emendamento”. A nome delle donne Pd, Valentina Paris ha avvisato: “Non permetteremo a nessuno di caricare sulle spalle del nostro gruppo il peso di un accordo che possa saltare. Voterò secondo le indicazioni del gruppo”, dunque senza cedere “alle strumentalità”. Rosy Bindi, invece, ha annunciato il suo sì, spiegando: “Noi donne del Pd non siamo qui per la generosità di nessuno. Dobbiamo far valere l’importanza di questa regola democratica per tutto il paese”. Dicendo sì all’emendamento è “molto più possibile evitare che ci sia l’incostituzionalità della discriminazione di genere”, ha rimarcato la presidente dell’Antimafia. La democrat Ileana Argentin, invece, a dispetto delle sue precedenti posizioni, ha annunciato che avrebbe votato contro perché non vuole “essere strumentalizzata da nessuno”. Per motivazioni simili il deputato Pd Walter Verini ha esortato a respingere l’emendamento e a diffidare dall’”opacità e strumentalità” con cui alcuni gruppi dell’opposizione si sono schierati nella circostanza. Infine, per il capogruppo Pd Roberto Speranza le questioni al centro dell’emendamento sono “assolutamente aperte”, ma “siamo all’inizio di un percorso per fare le riforme”, e il treno non si può bloccare ora: “Non si cancellano gli errori di ieri con altri e più gravi errori”.
Un dibattito lacerante al termine del quale il gruppo ha tenuto nel complesso sulla linea del no. Ma palesando ampie lacerazioni al suo interno. Che non sarebbe stata una giornata facile per il Pd, era parso chiaro fin dall’incontro svoltosi di primo mattino al Nazareno, dove il premier e leader democrat Matteo Renzi ha convocato i deputati. “Chi non vota lo dica e lo spieghi fuori”, ha detto Renzi nel difendere l’accordo da lui stipulato con Forza Italia sulla legge elettorale. “Vi chiedo di chiudere oggi la votazione sull’Italicum come da accordi che abbiamo fatto e come deciso dalla direzione del partito”, l’appello del segretario e premier. “Se ci saranno le condizioni per discutere al Senato di parità di genere, riapriremo la discussione”, ha assicurato Renzi, anche perché sull’argomento “il Pd è avanti non indietro”. Quindi una riflessione sull’affossamento delle quote rosa: “Sarebbe positivo – ha affermato – che si accelerasse la riforma del regolamento della Camera e che si limitasse il ricorso al voto segreto”. Infine la stoccata. “Non posso accettare che mentre il governo sta preparando 10 miliardi di euro per le famiglie italiane il problema sia il Pd. Se c’è spazio dentro la Camera si migliora. Ma non posso accettare che questa legge sia definita anticostituzionale”. Il premier ha inoltre ribadito le prossime mosse dell’esecutivo. “Per la prima volta domani mettiamo in tasca agli italiani una significativa quantità di denari” ed “entro quindici giorni sarà formalizzato un atto parlamentare su Senato e Titolo V”. Ad aprile “saremo pronti con la riforma della Pubblica amministrazione, a maggio attueremo la delega sulla riforma fiscale, a giugno ci sarà un pacchetto di riforme sulla giustizia”. E comunque, ha concluso Renzi, “la settimana prossima, forse il 19 o il 25, un momento di approfondimento sulle questioni che restano in discussione al Senato se non dopo momento di confronto ampio nel Pd, con senatori e deputati”. L’intervento del premier è stato contestato nel corso dell’assemblea da Rosy Bindi. “Il Pd è stato ferito dai 100 voti che sono mancati per far passare la norma antidiscriminatoria – le parole dell’ex ministro della Salute -. Noi abbiamo un’idea diversa della democrazia di un uomo solo che fa le cose buone. E se oggi abbiamo un segretario e un premier che crede alla parità, domani potrebbe non essere così”.
Il doppio messaggio al corpo del partito – da un lato linea dura alla Camera, dall’altro disponibilità a esaminare le questoni aperte nel corso dell’esame al Senato – è stato reiterato, nel pomeriggio, dal portavoce della segreteria Lorenzo Guerini. “Il passaggio odierno sulla legge elettorale è una tappa fondamentale nel percorso di riforme che stiamo realizzando in Parlamento: ci siamo arrivati attraverso un lavoro serio e con il contributo fondamentale dei gruppi parlamentari ad iniziare da quello del Partito Democratico. E necessario ora chiudere bene, con il voto di oggi, l’iter alla Camera dei Deputati. Poi inizieremo il percorso al Senato: lì affronteremo ciò che il Senato riterrà utile ulteriormente approfondire”, ha puntualizzato il portavoce della segreteria Pd.
“Da parte nostra – ha assicurato Guerini – sottolineiamo che sarà un impegno prioritario, nell’ambito del confronto che svilupperemo con i soggetti dell’accordo, riprendere il tema della parità di genere, questione su cui c’è stato un grande lavoro di numerose colleghe del Pd”. Poi, con la certezza che erano stati superati gli scogli più prominenti, Guerini ha sancito: “L’accordo ha tenuto anche con il buon lavoro del gruppo del Pd pur con qualche difficoltà su qualche emendamento impegnativo. Il primo passo è vicino, ora andiamo verso il secondo con il passaggio della riforma al Senato”. A creare ferite tra i democrat anche il caso del voto sulle primarie. L’aula della Camera ha respinto l’emendamento a prima firma Meloni volto a introdurre l’obbligo delle primarie per la scelta dei candidati. A favore del’emendamento, presentato dal lettiano Marco Meloni e altri deputati Pd, si è pronunciato in aula anche Stefano Fassina. Mentre il segretario d’aula Ettore Rosato, pur riconoscendo l’’importanza delle primarie, ha esortato a votare no.
C’è poi il caso delle norme cosiddette “salva-Lega” (quelle volte a consentire a un partito forte sul territorio di accedere alla ripartizione dei seggi anche in caso di mancato superamento dello sbarramento nazionale. In vista del passaggio del testo al Senato, il capogruppo di Forza Italia alla Camera, Renato Brunetta, ha anticipato che a Palazzo Madama potrebbero essere recuperate le misure “salva-Lega” accantonate a Montecitorio. Ma Lorenzo Guerini, portavoce della segreteria nazionale del Partito democratico, ha replicato categorico: “Le parole di Salvini tolgono ogni dubbio sul salva-Lega. Il Pd, e lo dico anche al collega Brunetta, al riguardo non ne ha. Ora che perfino il segretario della Lega lo rigetta, figurarsi se possiamo farcene un cruccio noi”. Il tema è riemerso in aula a Montecitorio quando Fabio Rampelli ha insinuato il dubbio che la Lega potesse dire no alle preferenze, salvando governo e maggioranza, per essere ricambiata a Palazzo Madama con l’introduzione di regole a suo vantaggio. Illazione smentita seccamente dal capogruppo leghista