Il cammino della legge elettorale riparte dalla Camera, come sollecitati odal neosegretario del Pd Matteo Renzi. In mattinata Pd, M5S e Sel battono il primo colpo a Palazzo Madama, in serata i presidenti dei due rami del Parlamento, in un incontro a Montecitorio, confermano l’orientamento. Pietro Grasso e Laura Boldrini – si legge nel comunicato congiunto – “hanno preso atto della sussistenza di una maggioranza numerica di senatori e deputati (alla Camera anche il Gruppo Fratelli d’Italia) favorevoli al superamento del principio della priorità temporale, in forza del quale l’iter sarebbe dovuto proseguire al Senato”. Al contempo, però, Grasso e Boldrini hanno “convenuto sull’esigenza, anche ai fini di un’equilibrata condivisione dell’impegno riformatore, che il Senato abbia la priorità nell’esame dei progetti di legge di riforma costituzionale già presentati e preannunciati, in particolare quelli concernenti il superamento del bicameralismo paritario e per l’avvio di un più moderno ed efficiente bicameralismo differenziato”. Percorso che – sottolineano la seconda e la terza carica dello Stato – “richiede evidentemente una conseguente e chiara assunzione di responsabilità da parte dei gruppi politici di entrambi i rami del Parlamento”.
Grasso e Boldrini “si sono infine impegnati a vigilare affinché le due Commissioni affari costituzionali procedano parallelamente con costante e reciproca attenzione sui rispettivi lavori, al fine di assicurare un più spedito e proficuo svolgimento dell’iter delle riforme che interesserà il prosieguo della legislatura”. Qualche ore prima aveva creato immediate polemiche il parere espresso dalla commissione Affari costituzionali del Senato, che ha dato il via libera al trasferimento dell’iter della riforma elettorale dalla Camera. A favore si sono espressi Pd, M5S e Sel, mentre hanno votato contro FI, Ncd, Lega, Sc, Per l’Italia, Autonomisti e Gal.
Dure critiche sono venute subito dal senatore leghista Roberto Calderoli: “E’ nata una nuova maggioranza formata da Pd, Sel e M5S cioè i partiti che fino a oggi hanno prodotto il rinvio della riforma. Ma tanto non combineranno nulla perché quando tornerà al Senato la riforma non ha i numeri per essere approvata. E’ solo una presa in giro”. Altrettanto duro Pier Ferdinando Casini: “Un conto è abolire il Senato, ipotesi più che praticabile e per molti anche condivisibile, un conto è avallare un vero e proprio scippo della Camera ai danni del Senato esercitato sulla base di una decisione trasversale che contraddice precedenti deliberazioni e intendimenti concordati. Se il buon giorno di vede dal mattino, si sta preparando una fase di prepotenza che non promette nulla di buono e in cui ciascuno si assumerà le proprie responsabilità”, è il monito di Casini. A far discutere è anche l’avvertimento di Gaetano Quagliariello, ministro delle Riforme costituzionali ed esponente del Nuovo centrodestra, che dice a Sky Tg 24: “Nei prossimi 15 giorni”, al più tardi “subito dopo la Befana”, la maggioranza deve trovare un accordo su legge elettorale, riforma del bicameralismo e riduzione del numero dei parlamentari “o va in crisi”.
Parole rintuzzate dal renziano Roberto Giachetti, secondo il quale Ncd non si è accorto che “l’Italia ha cambiato verso”, nonché da Forza Italia, che giudica inconsistenti gli “aut aut” di Alfano. Il senatore renziano Andrea Marcucci rilancia: “Il Pd vuole fare in fretta. Se il nuovo testo viene approvato dai partiti della maggioranza è un bene, ma se in Aula dovessero formarsi altre convergenze non è certo un peccato”. Parole precedute da un’esternazione dello stesso Renzi, che alla Stampa ha espresso il timore “che Angelino Alfano voglia perder tempo e menare il can per l’aia. Io con lui parlerò, figurarsi, ma non mi lascerò incantare e nemmeno rallentare: ho una mia exit strategy, un canale aperto anche con Berlusconi e Grillo, che la riforma adesso la vogliono davvero. E se il Nuovo centrodestra divaga, vuol dire che lavoreremo con qualcun altro”. Laconico il giudizio di Maurizio Gasparri (FI): “Si è ben capito chi detta l’agenda nel governo e nella maggioranza: Matteo Renzi. Il Ncd non conta nulla nella definizione delle priorità”.