Antonio Troise
L’insediamento ufficiale è previsto per lunedì prossimo, quando Trump diventerà a tutti gli effetti
Presidente degli Stati Uniti. Ma la sua ombra ingombrante già si profila sull’economia mondiale, tanto che
le principali istituzioni economiche, a partire dal Fondo Monetario Internazionale, stanno rivedendo al
ribasso le stime di crescita. La grande paura, naturalmente, riguarda i nuovi dazi che il nuovo inquilino della
Casa Bianca minaccia un giorno sì e l’altro pure, in nome dello slogan “America first”. Ma a condizionare la
crescita mondiale potrebbero concorrere altri due elementi: la stretta sull’immigrazione e la deregulation
del mercato finanziario, che rischia di rendere i mercati internazionali più vulnerabili, aprendo nuove brecce
a favore della speculazione. Un mix micidiale che potrebbe avere due conseguenze immediate: da un lato
alimentare una nuova fiammata inflazionistica e, dall’altro, deprimere le economie che si trovano dall’altra
parte dell’Oceano.
Non c’è dubbio, infatti, che gli effetti del “neo-protezionismo” di Trump saranno meno pesanti su
un’economia come quella statunitense, che può sempre contare sulle dimensioni del proprio mercato
interno e sulla sua tradizionale flessibilità. Non a caso, l’economia Usa continuerà a crescere a un ritmo del
2,7% nel 2025 e del 2,6% l’anno successivo, quasi il triplo rispetto a quanto potrebbe registrare l’Europa,
destinata invece all’ennesima battuta d’arresto. Secondo il Fmi, infatti, il Vecchio Continente quest’anno
non supererà l’1% di crescita, con una revisione al ribasso di almeno due decimali. E le conseguenze
saranno ancora più pesanti per l’Italia, dove, a fronte di una previsione governativa dell’1,2%,
probabilmente l’asticella si fermerà allo 0,7%, poco sotto lo 0,8% messo nero su bianco dalla Banca d’Italia.
In ogni caso, siamo tornati alla “sindrome dello zero virgola”, dalla quale il Paese sembrava uscito dopo le
ottime performance seguite ai lockdown del Covid.
Al di là dei numeri, un fatto è certo: nei prossimi mesi bisognerà fare i conti non solo con le decisioni di
Trump ma anche con i nuovi equilibri geopolitici che, inevitabilmente, discenderanno dalla strategia della
Casa Bianca. Per questo, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha fatto bene a tenere ferma la
barra del bilancio pubblico sulla rotta del rigore. Di questi tempi, non possiamo permetterci salti nel vuoto.
Tuttavia, non si possono puntare tutte le carte solo sul risanamento dei conti. Proprio ieri, da Confindustria,
è arrivato l’ennesimo allarme sui costi dell’energia, che continuano a gravare come un macigno sulla nostra
industria. Così come i ritardi accumulati sul fronte delle riforme – da quella della giustizia civile alla
burocrazia – non vanno certo nella direzione della crescita. Ma, prima di ogni altra cosa, toccherà all’Europa
dare la propria risposta alla politica di Trump, mettendo al centro della sua strategia una nuova politica
industriale che fermi il declino della nostra manifattura e rilanci il ruolo del continente nella governance
globale.
