Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799
« Tutte le volte che in quest’opera si parla di “nome”, di “opinione”, di “grado”, s’intende sempre di quel grado, di quella opinione, di quel nome che influiscono sul popolo, che è il grande, il solo agente delle rivoluzioni e delle controrivoluzioni. »
(V. Cuoco – Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799)
Il Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799 fu scritto da Vincenzo Cuoco durante l’esilio a Parigi e pubblicato a Milano in forma anonima nel 1801.
L’opera narra gli eventi occorsi a Napoli tra il dicembre del 1798 (fuga di re Ferdinando I di Borbone in Sicilia) e la caduta della Repubblica Partenopea, comprese le rappresaglie che ne seguirono la fine.
Il saggio conobbe un vasto successo (fu presto tradotto anche in tedesco) e andò abbastanza rapidamente esaurito, tanto da spingere l’autore – anche per scoraggiare i tentativi di ristampa abusiva – a porre mano ad una nuova edizione ampliata, che vide la luce nel 1806. Nel 1807 il saggio fu tradotto anche in Francese (quasi contemporaneamente ad analoga traduzione del “Platone in Italia”).
Accanto alla dimensione puramente storiografica, attraverso la quale vengono ripercorsi gli eventi che condussero alla nascita e alla rapida fine dell’effimero esperimento repubblicano (inquadrati nel contesto dell’invasione francese), l’opera si propone come un commento storico e mira a delineare una lettura critica della vicenda rivoluzionaria.
Il racconto degli accadimenti viene proposto sotto forma di indagine rigorosa dei fatti ed investe l’esposizione dei principi teorici che mossero gli artefici della rivoluzione napoletana.
Senza indulgere in enfasi e retorica, viene in tal modo offerto al lettore uno spaccato della vivace ed avanzata cultura filosofica e politica d’inizio secolo nella capitale del Sud d’Italia (all’epoca in Europa seconda solo a Parigi per estensione), ove gli insegnamenti di Mario Pagano (1748-1799), di Antonio Genovesi, di Gaetano Filangieri (1752-1788), e di Giambattista Vico confluiscono a filtrare ed aggiornare la lettura sempre valida de Il Principe di Niccolò Machiavelli.
« I Francesi furono costretti a dedurre i princìpi loro dalla più astrusa metafisica, e caddero nell’errore nel qual cadono per l’ordinario gli uomini che seguono idee soverchiamente astratte, che è quello di confonder le proprie idee con le leggi della natura. »
(V. Cuoco – Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799)
Poste a confronto la Rivoluzione francese e quella partenopea, Vincenzo Cuoco indaga le ragioni del fallimento di quest’ultima e ne individua con lucidità e senza pregiudizi le cause: ispirata e poi di fatto imposta dagli stranieri, la rivoluzione coinvolge a Napoli solo una élite molto limitata numericamente (e largamente impreparata alla difficile arte del governo), senza penetrare nella coscienza popolare e senza tenere in alcun conto delle peculiarità, tradizioni, necessità reali ed aspirazioni più autentiche che caratterizzavano le genti napoletane:
« …Se mai la repubblica si fosse fondata da noi medesimi; se la costituzione, diretta dalle idee eterne della giustizia, si fosse fondata sui bisogni e sugli usi del popolo; se un’autorità, che il popolo credeva legittima e nazionale, invece di parlargli un astruso linguaggio che esso non intendeva, gli avesse procurato de’ beni reali, e liberato lo avesse da que’ mali che soffriva; forse… noi non piangeremmo ora sui miseri avanzi di una patria desolata e degna di una sorte migliore. »
(V. Cuoco – Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799)
Se da un lato, secondo Cuoco, il governo rivoluzionario cadde vittima -prima di tutto- della sua stessa imperizia tecnico-politica, dall’altro l’esperimento era votato in partenza al fallimento in quanto mirava ad applicare ciecamente il modello della Rivoluzione francese (oggi diremmo: esportare la democrazia), tal quale, senza minimamente preoccuparsi di adattarlo alla realtà napoletana e alle sue peculiarità.
D’altra parte, osserva Cuoco con spirito squisitamente moderno e rara acutezza, si pretendeva che il popolo aderisse ciecamente ad una rivoluzione della quale non poteva capire né i valori, né le ragioni: «Il vostro Claudio è fuggito, Messalina trema»… Era obbligato il popolo a saper la storia romana per conoscere la sua felicità?.
La Rivoluzione fu dunque imposta al popolo, piuttosto che proposta o sorta dalle sue istanze più autentiche e profonde, determinando pertanto una profonda ed insanabile frattura tra gli intellettuali che la guidarono e la popolazione che se ne sentì sostanzialmente estranea e che spontaneamente seppe riconoscerla per quel che certo essa era a livello geopolitico: un regime imposto dall’interesse di una potenza straniera.
L’acuta e onesta critica di Cuoco – sempre sostenuto nella sua opera da un raro attaccamento al realismo e da una logica incalzante – nel condannare la cieca fiducia delle élite in teorie generali che non tengono nel giusto conto la storia e la cultura più profonde e vere dei popoli, individua dunque già all’alba del XIX secolo nella frattura tra classi dirigenti e istanze popolari quello che sarà forse il più grave dramma dell’intera avventura risorgimentale italiana e che tanto dovrà pesare sulla storia dell’Italia unita, sino a i giorni nostri.