Economia e Finanza
Ciclo economico. Si confermano le previsioni “piattiste” sulla crescita del Pil di quest’anno mentre la manovra rischia i 50 miliardi. Ieri l’Upb, l’autorità indipendente sui conti pubblici, ha emesso il suo verdetto d’estate stimando una crescita per il 2019 dello 0,1 per cento, una previsione sulla quale sono allineati tutti i centri studi, dalla Banca d’Italia alla Commissione Ue all’Fmi; solo il governo si tiene un po’ più in alto ma, realisticamente, non va sopra lo 0,2 per cento. Stiamo indietro, un quadro di “stagnazione”, viene definito, che non promette nulla di buono: basti pensare che secondo le più recenti stime estive della Commissione l’area dell’euro, seppure in difficoltà, dovrebbe crescere dell’1,2 per cento e non può consolarci la compagnia della Germania che, afflitta dai problemi del settore dell’auto, quest’anno farà un inedito 0,5 per cento. Gli occhi sono tutti puntati all’autunno con l’ipoteca della prima sortita della presidente della Commissione Ursula von der Leyen che ha ricordato che l’Italia sarà oggetto di attento monitoraggio. Da mesi si discute del rischio di una recessione globale. La più prolungata ripresa Usa del dopoguerra (oltre 120 mesi) ha trainato il ciclo mondiale, ma sta cominciando a perdere forza propulsiva. L’inversione della curva dei rendimenti dei titoli di stato statunitensi (tassi a breve più alti di quelli a lungo) storicamente anticipa le recessioni.
Inps. Ci sono voluti quasi quattro mesi (tanto è passato dalla nomina del presidente Pasquale Tridico), ma Cinquestelle e Lega hanno trovato l’accordo sulla composizione del nuovo consiglio d’amministrazione dell’Inps. Con il Carroccio che punta alla poltrona di direttore generale anche per limitare l’attivismo del padre del reddito, che ha già delineato la riorganizzazione dell’istituto. La fumata bianca sarebbe arrivata a inizio settimana, dopo un vertice tra il sottosegretario al Lavoro, il leghista Claudio Durigon, e quello alle Autonomie e agli affari regionali, Stefano Buffagni, che è soprattutto il plenipotenziario per le nomine dei pentastellati. Per il partito di via Bellerio dovrebbero entrare Adriano Morrone, che sarà vicepresidente e ha il placet dello stesso Tridico, e Raffaele Fortuna, capo segreteria di Durigon in via Veneto. A completare la squadra Rosario De Luca, presidente della Fondazione Studi dei consulenti, e un rappresentante nominato dalle opposizioni. Se il posto toccherà al Pd, il Nazareno avrebbe scelto l’ex parlamentare Luisa Gnecchi.
Politica Interna
Governo. Il governo naviga a vista. Di Maio (5 Stelle) esclude la crisi. Salvini (Lega) ammorbidisce i toni verso l’alleato ma aggiunge che il problema sono i ministri grillini che dicono troppi no. Nel mirino, Danilo Toninelli (Infrastrutture) ed ElisabettaTrenta (Difesa). Una dichiarazione che qualcuno interpreta come segnale di un possibile rimpasto, subito smentito dal premier Conte: «Non mi è arrivata nessuna richiesta di rimpasto. Sono soddisfatto della mia squadra». Dal canto suo, Di Maio getta acqua sul fuoco: «Escludo che possa esserci una crisi, dobbiamo realizzare riforme importanti». Ribatte Salvini: «Di Maio? Ci vedremo sicuramente, ma a colpi di no l’Italia non può andare avanti». Ma anche i Cinque Stelle mettono nel mirino due ministri: Marco Bussetti, Istruzione, e Gian Marco Centinaio, Agricoltura, pur dicendo che non risponderanno più alle accuse infondate della Lega. E che loro le infrastrutture le vogliono e non le bloccano, ma soprattutto «non favoriamo gli amici degli amici». Sui mercati però rispunta il nervosismo. Piazza Affari chiude in rosso (-2%), mentre lo spread risale a 192 punti base dai 187 della chiusura di giovedì.
Autonomia. Autonomia regionale differenziata, un passo avanti e due indietro. A giudicare dall’ira mostrata dai governatori leghisti Luca Zaia (Veneto) e Attilio Fontana (Lombardia) — all’esito dell’ennesimo vertice a Palazzo Chigi con Conte e Di Maio ma senza Salvini — i passi indietro sarebbero quasi tre se si tiene conto che il M55 ieri ha portato a casa il mantenimento del controllo statale sulle assunzioni degli insegnanti, riuscendo poi a rinviare anche ogni decisione sul nodo finanziario che poi è il punto cruciale: ovvero le tasse incamerate dalla regioni ricche (Nord e Centro) che oggi vengono versate in parte come extra-gettito in un fondo perequativo capace di alimentare le regioni povere (Sud e Isole). E non caso la ministra leghista per gli Affari regionali, Erika Stefani, ha tuonato: «L’autonomia funziona se c’è quella finanziaria. Non accetteremo nessun compromesso. Chi riesce a garantire servizi efficienti riuscendo a risparmiare dovrà gestire come meglio crede queste risorse». Dopo aver accettato di cancellare la regionalizzazione della scuola, la Lega fissa ora la sua nuova linea del Piave su cui non accetta ulteriori cedimenti: il mantenimento del generoso sistema di finanziamento delle nuove competenze che verrebbero riconosciute a Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Capitolo sul quale non c’è ancora l’accordo con i Cinque Stelle e su cui resta più di un dubbio da parte del Tesoro.
Politica Estera
Iran. Lo Stretto di Hormuz è una frontiera di guerra, oggi di sicuro è il confine più caldo del mondo. Non soltanto perché oltre ad essere una linea di divisione “politica” è anche una arteria, un oleodotto marino attraverso cui passa il 90 per cento del petrolio prodotto nel Golfo. Ovvero il 20 per cento della produzione che quotidianamente viene messa in movimento per il pianeta. Ma anche perché lo Stretto è il punto di contatto/non contatto più vicino fra gli attori del Golfo Persico. Da sempre questo vasto mare “interno” è l’area del mondo su cui si affacciano due civiltà in perenne conflitto, quella persiana e quella dei Paesi arabi della sponda occidentale. Due mondi al fianco dei quali si sono schierati alleati potenti, a partire da Usa e Israele contro Russia e Cina. Gli Stati Uniti sono pronti «a coordinarsi» con la Gran Bretagna per affrontare l’escalation, sempre più pericolosa, nello Stretto di Hormuz. Donald Trump tuttavia per ora si mantiene prudente: «Parlerò con Londra e vediamo. Noi lì abbiamo molte navi, navi da guerra, ma non molte petroliere». Il presidente ha aggiunto che il sequestro delle petroliere britanniche è la conferma di quanto Teheran sia fonte di problemi. È evidente, però, che l’amministrazione di Washington non ha ancora raccolto elementi sufficienti: forse Trump sta aspettando anche rapporti del Pentagono e dell’Intelligence.
Il caso Metropol. Gli inquirenti a caccia dei flussi di denaro, eventualmente anche all’interno dell’associazione Lombardia-Russia della Lega. La procura e la Guardia di finanza di Milano dovranno dunque capire se c’è stato passaggio di denaro, anche prima degli incontri avvenuti in Russia, per dare maggiore concretezza all’indagine sul caso “Russiagate”, ovvero i presunti fondi (65 milioni) che dovevano essere stornati da una commessa petrolifera tra una società russa e una italiana e girati alla Lega. E a questo proposito, la commessa probabilmente non è mai avvenuta, ma potrebbe comunque esserci stata una trattativa con una promessa, e già questo fatto potrebbe rientrare nella fattispecie della corruzione internazionale, reato su cui sta indagando la procura. «Non spetta a me, ma al Parlamento e alle istituzioni italiane fare chiarezza attorno alla vicenda dei fondi russi alla Lega». È con queste parole che Angela Merkel, nella tradizionale conferenza stampa estiva che ogni anno tiene prima di partire per le sue vacanze, ha risposto alla domanda di una giornalista. Rifiutando diplomaticamente ogni commento diretto sul caso e sulle influenze del Cremlino sulla politica italiana, la cancelliera lancia ugualmente una frecciata in direzione di Mosca. «Il fatto che i partiti populisti in Europa vengano sostenuti dalla Russia è comunque un fatto preoccupante e anche irritante. Importante è continuare a mantenere un rapporto costruttivo col Cremlino, anche se la realtà non è sempre come uno si auguri che sia», ha aggiunto Merkel.