Manovra. Rapporto deficit/Pil sotto l’1,8%, clausole Iva da disinnescare tagliando le cosiddette “tax expenditures”, ossia benefici e agevolazioni fiscali, dirottare gli 80 euro di Renzi su quella che Salvini chiama flat tax. La prossima legge di Bilancio che il governo dovrà presentare entro il 30 settembre, non è un recipiente da riempire. Almeno per il Ministero dell’Economia, è già pieno. Nonostante le promesse e la propaganda che Lega e M5S stanno imbastendo in vista dell’autunno, che rischia di diventare sempre più caldo. Si tratta di un recipiente già colmo perché gli impegni presi dal governo per evitare in extremis la procedura d’infrazione con l’Unione europea costituiscono un vincolo piuttosto stringente. Obbligazioni assunte in particolare nelle lettere firmate il mese scorso dal premier Conte e dal ministro dell’Economia Tria. Nell’ultima missiva, ad esempio, si leggeva: l’Italia garantisce per il per il 2020 «ampia adesione al patto di stabilità e crescita». Una domanda a Claudio Durigon, sottosegretario al Lavoro della Lega: “Due tavoli di concertazione per una sola manovra. O forse il governo è così spaccato che di fatto state preparando due finanziarie diverse e inconciliabili per rompere? «No, il tavolo di Matteo Salvini al Viminale sarà, ed è, complementare a quello con il presidente Conte. Io parteciperò a entrambi gli appuntamenti»”.
Crescita o descrescita. Non è solo il Pil a subire la sindrome dello «zero-virgola». Anche i ceti che compongono la società denunciano una condizione simile: l’ascensore sociale resta bloccato per la maggior parte degli italiani. Come se l’effervescenza che aveva caratterizzato i decenni precedenti avesse perso la sua forza propulsiva e si fosse tramutata in vischiosità. L’esempio più emblematico della nostra staticità è fornito dalla demografia. L’ha ricordato recentemente l’Istat: la popolazione residente è in calo dal 2015. Siamo di fronte, rispetto agli ultimi 90 anni, a un declino demografico. La coincidenza dei comunicati Istat di mercoledì scorso, prima sulle tendenze dell’occupazione e poi sulla stima del Pil, ha offerto lo spunto per un piccolo check up dell’economia italiana. Ed è maturata — nell’opinione della maggioranza degli osservatori — l’idea di una spinta quantitativa (seppur relativa) che viene dai servizi a fronte di una evidente difficoltà della manifattura. Ma mentre di quest’ultima sappiamo molto, ne conosciamo l’interrelazione con il sistema tedesco, riusciamo a individuare cosa stia succedendo nelle fabbriche, sappiamo i tentativi che i player più visionari stanno mettendo in opera per «perpetuare» il vantaggio competitivo di cui godiamo, purtroppo dei servizi made in Italy conosciamo ancora relativamente poco.
Politica Interna
Decreto sicurezza bis. L’appuntamento è per oggi a mezzogiorno, Aula del Senato. A quell’ora comincerà il dibattito sul decreto legge «sicurezza bis», fortemente voluto dalla Lega e mal visto da buona parte del Movimento 5 Stelle. Si andrà di sicuro al voto di fiducia. In teoria ci sarebbero ancora 1.240 emendamenti di discutere e votare in commissione. Ma il decreto va convertito in legge prima della pausa estiva, altrimenti decadrebbe. I tempi saranno decisi oggi, dalla conferenza dei capigruppo. La maggioranza punta a chiudere stasera ma sembra probabile un rinvio a domani. In ogni caso sarà la prova del nove per il governo, in una settimana che presenta altri passaggi delicati, a partire dalle mozioni sulla Tav. In queste ultime ore la fronda interna al Movimento 5 Stelle sembra crescere. Ai cinque senatori che avevano già manifestato le loro perplessità, lasciando capire di essere pronti a non votare la fiducia, se ne sarebbero aggiunti altri due o tre. La maggioranza è sempre sul filo. Tendendo conto anche dei senatori a vita, che non sono tenuti ad iscriversi a un gruppo, il totale dei seggi a Palazzo Madama arriva a 321. Il quorum, nella remota ipotesi in cui tutti fossero presenti in un caldo lunedì di agosto, arriva dunque a 161. La maggioranza può contare in teoria su 165 voti (se teniamo conto di Bossi, che da tempo non vota). Basterebbero i malpancisti del M55 per andare sotto. Ma se alcuni voti potrebbero mancare, altri si potrebbero aggiungere.
Governo. Giuseppe Conte veleggia a vista e spera che la pausa estiva porti bonaccia nel tempestoso mare del governo gialloverde. Dopo giorni ad altissima tensione, le acque sembrano essersi placate. E non è un caso, ma una precisa strategia. II presidente del Consiglio e Luigi Di Maio hanno superato le ultime incomprensioni e hanno ripreso a fare asse, per contenere Matteo Salvini. Sul Corriere della sera di sabato il capo politico del Movimento 5 Stelle si è detto «stanco di litigare» e ha dichiarato l’intenzione di spegnere le polemiche. Un’uscita intonata con il silenzio studiato di Conte, cui quasi ogni giorno tocca disinnescare le mine lanciate da Salvini sul terreno dell’esecutivo. Per il premier comincia «una settimana di lavoro cruciale». Oggi vedrà sindacati e associazioni a Palazzo Chigi per impostare la manovra economica e il ministro dell’Interno, per non essere da meno del capo del governo, ha invitato le parti sociali domani al Viminale. È lo stesso schema di metà luglio, quando Conte bacchettò Salvini per la grave «sgrammaticatura istituzionale» e stigmatizzò pubblicamente la presenza al tavolo del leghista Armando Siri, indagato per corruzione. Ma questa volta il presidente ha deciso di lasciar correre. Salvini a 12 ore dal voto di fiducia sul “suo” decreto sicurezza alza la posta, non si cura di mettere due dita negli occhi ai suoi alleati che dovranno piegarsi, ancora una volta, alle sue volontà. «Di Battista, Di Maio, Grillo, Toninelli: o tutti fanno il loro lavoro o la pazienza finisce».
Politica Estera
Doppia strage negli Stati Uniti. Ventinove morti e decine di feriti in due sparatorie a poche ore di distanza: El Paso (Texas), Dayton (Ohio). E sale a quota 32 il sinistro conteggio delle stragi da armi da fuoco negli Stati Uniti dall’inizio dell’anno. L’escalation feroce concentrata nelle ultime ore vede protagonisti due “giovani maschi bianchi”. L’autore del massacro di El Paso è il 21enne Patrick Crusius. La polizia indaga su un forsennato “Manifesto anti-immigrati” che lui avrebbe diffuso via social pochi minuti prima di aprire il fuoco. «Questo attacco è la risposta all’invasione ispanica del Texas», avrebbe scritto il ragazzo mentre guidava per dieci ore e percorreva quasi mille chilometri verso El Paso, armato del suo Ak-47. C’è un surrealismo crudele in quelle parole farneticanti: molti ispanici che abitano a El Paso non sono mai immigrati; discendono dai messicani che vi abitano dal 1690, annessi agli Stati Uniti dopo la guerra del 1846. È inevitabile collegare il “Manifesto anti-immigrati” e le polemiche sul Muro col Messico che Donald Trump alimenta da quattro anni, prima come candidato e poi da presidente. È ineluttabile che i democratici accusino il capo dello Stato di infiammare l’odio, di cavalcare il razzismo. Nelle ultime settimane Trump ha lanciato un altro slogan, da quando intima «tornate nei vostri Paesi» ad alcune deputate democratiche appartenenti a minoranze etniche (molte di quelle parlamentari in realtà sono nate negli Stati Uniti).
Lo stretto di Hormuz. Lo stretto di Hormuz fra la penisola omanita di Musandam e le coste della Repubblica Islamica dell’Iran è da sempre uno dei punti più «caldi» del pianeta: da lì passano ogni giorno migliaia di tonnellate di greggio proveniente dai produttori del Golfo per essere esportati lungo le rotte marittime di tutto il pianeta. E i Guardiani della Rivoluzione, noti anche come Pasdaran, il braccio armato più oltranzista del regime di Teheran, stanno usando in queste settimane lo stretto come un’arma di ricatto nei confronti di Usa e occidente. Il sequestro di ieri della petroliera con i suoi 700mila litri di greggio e l’arresto dei 7 membri dell’equipaggio (di cui non è ancora nota la nazionalità), ne è l’ennesima conferma. Sebbene l’agenzia ufficiale del regime, la Fars, abbia motivato l’operazione per contrastare il «traffico illecito di greggio» verso alcuni paesi arabi, in realtà si tratta di un atto di «pirateria di Stato», che viola decine di norme internazionali sulla libertà di navigazione. Ora però spetta ad Usa ed Europa definire una strategia comune per contenere l’azione di Teheran. L’amministrazione Trump ha proposto la formazione di una coalizione internazionale per garantire la libertà di circolazione nello stretto di Hormuz e per scortare le petroliere, sul modello di quanto già realizzato nel Corno d’Africa e nello Stretto di Bab el Mandab contro la pirateria più tradizionale. La Gran Bretagna è il primo paese europeo ad avere aderito alla «coalizione per la libertà nei mari» e per Boris Johnson sarà il primo test della sua tenuta in una crisi internazionale.