Economia e Finanza
Scontro sull’aumento dell’Iva. Nella discussione del Documento di economia e finanza, torna la polemica politica sui possibili aumenti dell’Iva, che dal 2011 vengono rinviati dal governo di turno da un anno all’altro. L’incremento delle imposte sui consumi per 23,1 miliardi è già incorporato nei conti del 2020 e degli anni futuri, e ieri in Parlamento il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, ha spiegato che «resta confermato in attesa di definire nei prossimi mesi misure alternative», ribadendo né più né meno ciò che c’è scritto nel Def varato dall’esecutivo. Sottolineando poi che «è una decisione politica dove mettere e togliere le risorse». Le sue parole, però, hanno scatenato l’opposizione e soprattutto messo in fibrillazione la maggioranza, che ora punta a ottenere garanzie esplicite dall’esecutivo. Sia Matteo Salvini che Luigi Di Maio hanno assicurato che l’Iva non aumenterà, ed è immediatamente ripartito il fuoco amico sul ministro dell’Economia. Dal M5S, poche ore dopo l’audizione del ministro in Parlamento, lo invitavano addirittura a cambiare partito. Resta il nodo delle coperture: solo per il 2020 servono 23 miliardi per disinnescare le “clausole”. Quel che è certo è che parlare di Iva significa parlare della seconda imposta quanto a gettito: oltre 130 miliardi di euro nell’ultimo anno. L’Iva è anche l’imposta più evase con un “tax gap” (la differenza tra quanto dovuto e quanto realmente versato nelle casse dell’Erario) di ben 35 miliardi.
Lotta alla povertà e reddito di cittadinanza. L’operazione che nel mese di marzo ha portato circa 800 mila cittadini a presentarsi ai Caf o alle poste oppure a inoltrare online la domanda per il reddito di cittadinanza si sta rivelando la strada per ottenere un vero censimento della povertà. Un censimento che probabilmente ridimensionerà la cifra monstre di 5 milioni di poveri stimata dall’Istat. Quindi la reale platea a cui fa riferimento la nuova misura di welfare sono più gli indigenti che i disoccupati. Ma è anche difficile pensare che 520 euro medi a famiglia mettano fine alla povertà. E c’è il rischio che coloro che hanno una paga bassa smettano di lavorare.
Politica Interna
Sindaci contro Salvini. Luigi Di Maio e Matteo Salvini, ormai più avversari che alleati, hanno scelto il terreno di scontro sul quale dare il via alla campagna per le Europee: la sicurezza. E i sindaci sono in rivolta. Non accettano di farsi cornmissariare, rifiutano l’appellativo di «distratti» che ha affibbiato loro Matteo Salvini e respingono all’indirizzo del Viminale la direttiva «anti balordi». E’ il nuovo fronte dello scontro elettorale perpetuo, che divide gli alleati di governo e che adesso investe anche le amministrazioni locali. «Dove non arrivano i sindaci arriviamo noi», è il grido di battaglia con cui il ministro dell’Interno si è lanciato nella nuova crociata: permettere ai prefetti di sostituirsi ai sindaci sulle cosiddette zone rosse. Una decisione che mette a rischio l’autonomia dei primi cittadini, i quali da tempo invocavano maggiori poteri e invece potrebbero ritrovarsi più deboli.
Migranti, scontro Viminale-Difesa, A fine serata, quando capisce che lo scontro su chi comanda in mare non è affatto sopito, la ministra della Difesa Elisabetta Trenta si sfoga: «Basta tirare i militari per la giacca per mostrare i muscoli. Basta spot elettorali». Da giorni va avanti il duello a distanza con il titolare dell’Interno Matteo Salvini sulla chiusura dei porti alle navi che soccorrono i migranti, ma anche sull’atteggiamento da tenere in Libia. Una sfida che coinvolge anche Palazzo Chigi e sul quale, dalla Difesa, hanno invocato il sostegno del Quirinale. Perché dopo la direttiva diramata due giorni fa dal Viminale — per intimare a Marina, Guardia costiera e Guardia di Finanza di impedire alle navi delle Ong di entrare nelle acque internazionali — lo Stato maggiore aveva parlato di «ingerenza grave», specificando che «in una democrazia i soldati dipendono dalla Difesa e dal capo dello Stato». Il testo con cui il Viminale ha «disposto» anche per la Marina militare (scavalcando così la Difesa) che i porti restino chiusi a oltranza, citando espressamente la nave dell’Ong Mar Jonio, ha dato vita a uno scontro istituzionale durissimo.
Politica Estera
Offensiva a Tripoli. La Gran Bretagna fa sentire la sua voce all’Onu sulla Libia, mentre il maresciallo Khalifa Haftar incita ancora una voltai suoi uomini a «entrare a ogni costo» a Tripoli e bombardare il sobborgo di Abu Salim. Lo stallo nell’offensiva sulla capitale libica ha aperto nuovi spazi alla diplomazia e questa volta è Londra che cerca di inserirsi nella partita, dopo aver giocato un ruolo chiave nella guerra del 2011, quando venne deposto e ucciso Muhammar Gheddafi. La bozza si appella a tutte e due le parti perché si «astengano dalla retorica bellicista» e evitino «ogni nuova azione». Ma in realtà è un punto a favore del premier Fayez al-Sarraj perché invita a fare riferimento all’inviato speciale delle Nazioni Unite Ghassam Salamé, critico con Haftar e deciso a riportare la situazione sui binari degli accordi di Skhirat del 2015. Il premier Giuseppe Conte chiama il presidente americano per chiedere aiuto sul fronte della crisi libica e Trump risponde dando ogni sorta di assicurazioni. Ma chiedendo anche all’Italia di riconoscere la legittimità di Guaidó, l’oppositore venezuelano protagonista della sfida al potere chavista di Maduro. Sono fonti diplomatiche a Roma e a Washington che, ricostruendo la telefonata fra Conte e Trump, indicano una sovrapposizione di fatto fra le due crisi: Libia e Venezuela.
Incendio Notre-Dame. Notre-Dame non aveva alcuna «copertura», né contro l’incendio né contro altri sinistri, come del resto 83 delle 93 cattedrali francesi, quelle di proprietà dello Stato che se ne appropriò con la legge laicista del 1905. Pare che la decisione di non assicurare il patrimonio della République sia stata presa nel 1889, quando il ministero delle Finanze stabili che il rapporto costi-benefici era sfavorevole. Più di un secolo dopo, nel 2001, due deputati incaricati della questione stimarono «che la pertinenza di questi argomenti meriterebbe di essere riesaminata», ma in effetti non si è riesaminato nulla. lI patrimonio pubblico La conseguenza è che tutto il costo della ricostruzione di Notre-Dame graverà sulle casse statali. Certo, se si scoprisse che le ditte che stavano effettuando i restauri da cui forse si è sprigionato l’incendio ne fossero responsabili, si potrebbero chiedere i danni. In questo caso le assicurazioni ci sono, ma «coprono» al massimo qualche decina di milioni di euro: e per rimettere in piedi Notre-Dame ne serviranno molti di più. «Vedendo le immagini vdella agente in strada a Parigi, giovani e meno giovani che pregavano e piangevano, mi sono commosso: ho capito che nel rogo della cattedrale è bruciata anche un po’ di indifferenza verso le radici cristiane della nostra Europa». Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente dei vescovi europei, poche ore dopo il dramma aveva scritto all’arcivescovo di Parigi Michel Aupeti.