Economia e Finanza
Tasse, ogni italiano paga in più della media Ue. Il tema del peso fiscale è sempre più in evidenza nel nostro Paese. In attesa della Manovra 2020, che affronterà anche la materia delle tasse, il focus è su quanto paga oggi ogni contribuente al Fisco italiano. I conti li ha fatti la Cgia che ha anche comparato la pressione fiscale in Italia con quella degli altri 28 Paesi dell’Ue. Dall’analisi è emerso che nel 2018 gli italiani hanno pagato 33,4 miliardi di euro di tasse in più rispetto all’ammontare complessivo medio versato dai cittadini dell’Unione Europea. Secondo lo studio, si tratta di un differenziale che «pesa» quasi 2 punti di Pil. Vuol dire che, in termini pro capite, ogni contribuente italiano ha corrisposto al fisco 552 euro in più rispetto alla media dei cittadini europei. «Il tempo degli slogan e delle promesse è terminato – spiega il coordinatore dell’Ufficio studi di Cgia, Paolo Zabeo -. Con la prossima manovra di Bilancio è necessario uno scossone che riduca nel giro di qualche annodi 3-4 punti percentuali le tasse. Considerata la situazione dei nostri conti pubblici, l’intervento sarà praticabile solo abbassando, di pari importo, la spesa pubblica improduttiva e una parte dei bonus fiscali». La Cgia non fa mistero che troppo tasse, oltre a gravare sulla tenuta delle famiglie e delle imprese, hanno generato circoli viziosi nel sistema economico. Un effetto che si farebbe sentire, per esempio, sulla dinamica della domanda interna e degli investimenti. Nel corso del 2018, ricorda la Cgia, solo Francia, Belgio, Danimarca, Svezia, Austria e Finlandia hanno pagato mediamente più tasse rispetto all’Italia. Vale però ricordare che al fisco italiano sfuggono ogni anno circa 209 miliardi di euro di economia in «nero».
Trivelle. Nessuno risponda a Salvini. Di Maio vuole che il suo Movimento entri «in modalità zen», qualunque sferzata arrivi dall’alleato. «Anche dall’altra parte, però, si devono abbassare i toni». Ma è una speranza destinata a cadere nel vuoto. Salvini, dalla spiaggia di Milano Marittima, non rallenta e prosegue il pressing sul partner di governo. La nuova offensiva – lanciata ieri in un’intervista a La Stampa – è diretta contro il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, colpevole di aver «bloccato le trivelle». Di Maio fa trapelare che Costa non è in discussione e «verrà difeso». E d’altra parte, lasciare l’Ambiente alla Lega getterebbe le truppe grilline in uno stato di depressione dal quale sarebbe complicato uscire. Per questo Salvini insiste e mostra il suo dossier, che spiega le ragioni di un “sì” a nuove trivellazioni: «Da qui al 2030, il settore vale 13 miliardi di euro e interessa 100 mila lavoratori e 57 imprese. Tutto bloccato dal ministero dell’Ambiente», sostiene il segretario del Carroccio. Il ministro Costa e i suoi collaboratori rimangono perplessi. Ci si chiede se il dossier provenga da qualche ministero o se non siano, invece, numeri forniti dalle stesse imprese petrolifere. Al di là dei dubbi, viene fatto notare che le concessioni non potrebbero comunque essere bloccate dal ministro dell’Ambiente. Sono di competenza dello Sviluppo economico e, dunque, passano da Di Maio. Un altro elemento, questo, che rende ancor più complessa la battaglia leghista perché porterebbe a uno scontro frontale i due vice premier. Intanto “l’Italia è ben posizionata nell’agenda per il clima e ha ottime possibilità di raggiungere i nuovi obiettivi fissati dalla Commissione Ue per il 2030. Il nostro paese è tra le poche nazioni europee ad aver raggiunto i target per il 2020”. Ne è convinto Francesco Starace, amministratore delegato di Enel. “Le aziende italiane abili nel fare efficienza e nel lavorare sulla circolarità hanno l’opportunità di creare valore esportando la loro capacità in tutti gli altri paesi nei quali questi aspetti sono problematici. È un vantaggio competitivo per le aziende italiane virtuose nel nostro paese: possono andare all’estero a replicare la loro esperienza. Molti non si rendono conto delle potenzialità perché in Italia ci sono tante aziende all’avanguardia in questo settore, mentre altrove non è così. Noi esportiamo pratiche virtuose da una parte all’altra del mondo senza troppa difficoltà.”
Politica interna
Commissario Ue. Von der Leyen: “Niente sgambetti a Roma”. La colazione di lavoro con la presidente della Commissione europea ha lasciato a Giuseppe Conte l’impressione che, al primo faccia a faccia, sia scattata la scintilla di un «ottimo feeling personale». E la risposta della Presidente Von der Leyen è stata, se possibile, anche più interessante: per quanto la riguarda nessuna pregiudiziale nei confronti di Roma, anzi la Concorrenza è un portafoglio realisticamente raggiungibile, lei si adopererà perché l’operazione vada a buon fine. In ogni caso, l’assicurazione è stata significativa: «Caro Giuseppe, non ci sarà nessuno sgambetto ai danni dell’Italia». Ursula von der Leyen ha messo in valigia prima di fare rientro a Bruxelles. Al vertice della presidenza Ue c’è preoccupazione e sconcerto per l’impasse dell’Italia sulla scelta del commissario, che spetta al nostro Paese nel nuovo esecutivo comunitario. La ex ministra tedesca sperava in un nome secco, mentre il professore pugliese, in imbarazzo e con le mani legate, si è limitato a tratteggiare il profilo di «una figura autorevole e fortemente politica». Un po’ poco, per la numero uno dell’Unione Europea, che ha fretta di comporre il delicatissimo puzzle del governo e che ha tutto l’interesse di trovare una solida intesa con un grande Paese fondatore. Se Conte si è preso due settimane di tempo, è perché l’accordo è lontano, visto che il segretario leghista in realtà punterebbe tutte le sue carte sul portafoglio dell’Agricoltura per Gian Mario Centinaio, che presenta un profilo ideale per vestire due parti in “commedia”: essere bocciato dall’Europarlamento per il suo profilo di “duro”, consentendo alla Lega di riaprire i fuochi contro Bruxelles; ovvero conquistare un portafoglio come l’Agricoltura, interessante per una parte di elettorato e diventando il bastian contrario all’interno della Commissione. Dunque, ancora una partita complicata dentro il governo italiano: Conte punta alla Concorrenza ed è in grado di ottenerla, ma non potrà farlo a dispetto di Salvini, che due giorni fa aveva inviato al presidente del Consiglio una rosa di candidati, da scegliere sulla base delle scelte della Von der Leyen.
Decreto sicurezza. «Non ho ancora deciso se darò la fiducia o meno al governo»: a parlare è Alberto Airola, uno dei cinque senatori del Movimento che agitano le acque pentastellate e quelle del governo. Il voto sul decreto Sicurezza bis a Palazzo Madama si avvicina e tra i Cinque Stelle salgono le tensioni relative alla scelta dei cosiddetti «dissidenti». «Si tratta di una decisione delicata, da ponderare bene – spiega un altro pentastellato – per le ricadute sia personali, sia sul gruppo parlamentare». La possibilità che il governo possa cadere sotto il «fuoco amico» dei ribelli M5S esiste, ma viene considerata «molto remota» all’interno del Movimento. La crepa che potrebbe nascere da un voto contrario, però, avrebbe ripercussioni su una maggioranza già appesa a un esile vantaggio numerico. E tra telefonate, discussioni in piccoli gruppi e riflessioni solitarie, il voto al Senato rischia già di presentarsi come uno dei voti più divisivi della breve storia parlamentare Cinque Stelle. C’è chi ha già maturato delle convinzioni. Elena Fattori, per esempio, ha ribadito più volte la sua contrarietà al provvedimento e la volontà di votare contro. Luigi Ciotti, fondatore e presidente dell’associazione Libera, impegnata nella lotta contro la criminalità organizzata, afferma: “E’ una normativa perfino peggiore della precedente, questo decreto sicurezza bis in procinto di passare al vaglio del Senato. Finalità e scopi restano però gli stessi: restringere sempre più l’area dei diritti e dunque della civiltà. Il metodo è ormai evidente: estendere il già enorme potere del ministero dell’Interno in materia d’immigrazione, estensione che non si può più definire solo interferenza, evidenziandosi ormai come vera e propria invasione di campo, appropriazione indebita di ruoli e competenze altrui. Ennesimo segno di un’ambizione sfrenata e totalitaria, indifferente alla divisione dei poteri su cui si basa una vera democrazia. Tutto ciò, inoltre, nel più totale disprezzo di trattati internazionali che hanno ratificato per il nostro Paese l’obbligo di prestare soccorso a naufraghi e persone in difficoltà. Nessuno nega la difficoltà e la necessità di governare il fenomeno migratorio in tutti i suoi risvolti e implicazioni, ma il governo deve essere ispirato dall’intelligenza, dalla lungimiranza, dalla conoscenza della Storia e dal rispetto di quei principi che ci rendono degni della qualifica di “esseri umani”.
Politica estera
Strage al supermercato: diversi morti a El Paso. Almeno 19 morti o, secondo altre fonti 22, tra i quali 4 bambini; non meno di 24 feriti: nove sono sicuramente in pericolo di vita. I portavoce della polizia e l’ufficio di Greg Abbott, Governatore del Texas, aggiornano in diretta tv il bilancio, ancora provvisorio, di un’altra strage americana, questa volta ad El Paso. Gli agenti hanno arrestato il presunto killer. Si chiama Patrick Crusius: è un giovane bianco di 21 anni di Allen, un centro vicino a Dallas. Gli investigatori dell’Fbi stanno esaminando i suoi profili Social. Secondo le informazioni rilanciate in rete, i suoi «post» sono intrisi di odio e in qualche modo sembrano annunciare l’attacco. sergente Robert Gomez, portaparola del Dipartimento di polizia di El Paso, avverte che «il quadro delle indagini è ancora molto fluido e potrebbe cambiare». L’assassino ha cominciato a sparare intorno le 10 di ieri (le 18 in Italia) nel parcheggio del centro commerciale Cielo Vista. Le immagini trasmesse dalle televisioni locali mostrano le scene immediatamente successive: gente in fuga, corpi immobili sull’asfalto. Poi ecco l’interno del centro commerciale e del supermercato Walmart dove è proseguita la carneficina. Negozi affollati: circa tremila clienti, più 100 dipendenti al lavoro. Tante famiglie con i bambini. A El Paso l’anno scolastico ricomincia il 12 agosto. Una strage, quindi, che colpisce anche i bambini, i ragazzi e si salda idealmente alla lunga scia di vittime negli istituti e nei licei del Paese. Nella serata i cittadini di El Paso hanno risposto in massa all’appello dei medici, mettendosi in fila per donare il sangue. La reazione politica, invece, segue uno schema già visto tante volte. «Non c’è più pericolo», ha annunciato Olivia Zepeda, capo di gabinetto del sindaco della città, in un comunicato. Trump si trovava nella sua residenza in New Jersey per il weekend: «Terribile sparatoria a El Paso, Texas. Le notizie sono molto brutte, molte vittime. Dio sia con tutti voi! », ha twittato.
Mosca in piazza, pugno duro di Putin. L’opposizione russa è scesa di nuovo in piazza e ancora una volta il Cremlino ha reagito strozzando la protesta con un’ondata di arresti. Sono almeno 828 i dimostranti trascinati con la forza nelle camionette della polizia in un centro di Mosca blindato da centinaia di agenti in assetto antisommossa e bagnato da una pioggia che a tratti si trasformava in acquazzone. Tra i fermati c’è anche Liubòv Sòbol, la giovane dissidente alleata di Navalny divenuta ormai la «madrina» delle manifestazioni. Arresti e manganellate fanno purtroppo parte di un copione già visto, ma Putin sta affilando la mannaia della repressione e potrebbe presto assestare agli oppositori colpi di una gravità inaudita. Pene molto più pesanti dei 30 giorni di carcere che rischia chi partecipa a una «manifestazione non autorizzata«. Gli investigatori hanno infatti lanciato una serie di inchieste penali dal chiaro sapore politico. La più inquietante riguarda le proteste del 27 luglio, soffocate con 1.400 fermi e bollate come «disordini di massa»: un reato per il quale si rischiano 15 anni di redusione e che potrebbe facilmente essere esteso ai cortei di ieri. Per ora 11 persone sono state fermate con questa imputazione e per sei è già scattata la custodia in carcere. Chi protesta chiede di lasciar candidare gli oppositori alle elezioni comunali di settembre. Tanto è bastato alle autorità per aprire un’inchiesta per «ostruzione al lavoro delle commissioni elettorali», punibile con cinque anni dietro le sbarre. Per far capire che con il potere non si scherza, il Comitato investigativo ha aperto un’indagine per riciclaggio contro alcuni dipendenti della fondazione che finanzia le attività politiche di Navalny, la FBK (Fondazione per la lotta alla corruzione). L’accusa, che potrebbe avere conseguenze assai serie, è di aver incassato l’equivalente di 14 milioni di euro provenienti da non meglio specificate attività criminali. Ma anche i semplici dimostranti rischiano grosso. La Costituzione garantisce la libertà di riunione. Ma la legge dice che bisogna concordare luogo e ora con le autorità. E queste non danno mai il permesso per eventi nel centro delle città, dove tutti vogliono tenere le riunioni politiche. Così è successo anche questa volta e i bulvar sono stati dichiarati off-limits dal comune.