Economia e finanza
Nuovo fronte con le banche. L’attacco, durissimo e corale, scatena l’applauso dell’arena inferocita: «Banca d’Italia e Consob andrebbero azzerati, altro che cambiare una-due persone. Az-ze-ra-ti» sillaba Matteo Salvini. E Luigi Di Maio rincara: «Per Bankitalia serve discontinuità. Se pensiamo a tutto quel che è accaduto in questi anni non possiamo pensare di confermare le stesse persone che sono state fino ad oggi nel direttorio di via Nazionale». E’ quel che volevano sentirsi dire i 1.400 ex azionisti di Popolare Vicenza e Veneto Banca arrivati di buon mattino al Centro sportivo Palladio di Vicenza per avere dai vicepremier rassicurazioni sul fatto che il governo non farà marcia indietro davanti alla lettera di Bruxelles. Al solo nominarle, Bankitalia e Consob, alla maggioranza giallo-verde viene l’orticaria. E così è quasi una gara a demolire. Insiste Salvini: «Non è più possibile che qualcuno sbaglia, non si sa mai chi è stato, e non paga nessuno». Gli fa eco l’altro vicepremier: «Non vogliamo mettere le stesse persone negli stessi posti dopo quello che è stato fatto in passato». Ma Via Nazionale ribatte: nessuno può toccare la nostra indipendenza.
La piazza anti populista. Dopo quasi sei anni Cgil, Cisl e Uil tornano a sfilare insieme. Ma tra i manifestanti c’è anche chi ha votato Lega. L’esordio di Landini da segretario generale della confederazione: “Non contro qualcuno ma per l’occupazione”. Accortezza, quella di non attaccare direttamente il governo, che si spiega con la composizione stessa della piazza. Lo racconta bene Gianfranco Refosco, che guida una foltissima delegazione della Cisl veneta: «Siamo arrivati con 40 pullman. Non abbiamo avuto difficoltà a riempirli. Anche se penso che molti di coloro che hanno fatto il viaggio con noi abbia votato per la Lega». Se è difficile dar torto alla battuta di Marco Bentivogli secondo la quale il populismo sindacale è stato «l’ostetrica» del populismo politico si può dire che ieri tra i due segmenti della demagogia contemporanea è stato costruito un muro divisorio. La mobilitazione romana di piazza San Giovanni si è rivelata doppiamente importante: ha segnato il ritorno delle confederazioni sulla grande ribalta e ha visto la scelta dei gruppi dirigenti convalidata da un significativo successo di partecipazione.
Politica interna
L’Abruzzo vota. Prova del nove per M5S e Lega. È il primo vero test elettorale per la maggioranza Lega-M5S, anche se le elezioni regionali e amministrative non sono mai un termometro adeguato per misurare lo stato di salute dei 5 Stelle. Il voto in Abruzzo, inevitabilmente, diventa l’occasione per un primo bilancio sull’attività del governo e non è un caso che negli ultimi giorni sia Salvini che Di Maio siano andati lì a chiudere la campagna elettorale. Gli abruzzesi dovranno scegliere tra quattro candidati: Marco Marsilio, sostenuto dal centrodestra, Sara Marcozzi (M5S), Giovanni Legnini (centrosinistra) e Stefano Flajani per CasaPound. Il leader della Lega, in Abruzzo alleato con Fi e Fdi, sogna il pieno. E partendo da lontano, dalla base del 13,8% delle politiche 2018, di piantare la prima bandierina della Lega in una regione del Centrosud. Il M5S, solo, mai tentato di rinnovare lo schema di accordo nazionale con i leghisti, spera invece di capitalizzare il 39,8% delle ultime politiche; e teme al tempo stesso un’eclissi di consenso che possa farlo retrocedere al terzo posto. Oggi urne aperte dalle 7 alle 23.
Mattarella sulle Foibe. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per il Giorno del Ricordo commemora le vittime della Foibe di Tito e zittisce i negazionisti: «Sono state una grande tragedia italiana» e parla «di intollerabile cortina di silenzio alimentata da interessi politici». Quelle migliaia di uccisioni, quel clima di terrore che segnò l’autunno del 1943 in Istria e il maggio-giugno del 1945 nell’intera zona occupata da Tito — e che portò all’esodo della quasi totalità della popolazione italiana — non sono riducibili a «una ritorsione contro i torti del fascismo», per citare ancora Mattarella. Avevano dietro di sé la volontà jugoslava di annettersi quella zona, e furono colpite anche persone che “nulla avevano a che fare con i fascisti” ma si opponevano all’annessione, in un clima di feroce intimidazione nei confronti della popolazione italiana. Silvio Berlusconi scrive una lettera: «Un orrore comunista da non dimenticare».
Politica estera
Italia- Francia. Palazzo Chigi, in stretta intesa con il Quirinale, sta studiando tempi e modalità per un gesto di riconciliazione accettabile per Parigi che non suoni, tuttavia, come sconfessione per le forze politiche che sostengono il Governo italiano. Tra oggi e martedì dovrebbe essere concordata una telefonata del premier Giuseppe Conte a Macron per fissare data, luogo e temi di un incontro chiarificatore. Intanto a Parigi è di nuovo battaglia con i gilet gialli all’attacco dei simboli della République. E Luigi Di Maio, incurante dell’appello del Colle, si prepara a incontrare a fine febbraio a Roma Christophe Chalençon, uno dei leader dei rivoltosi, il teorico di una «inevitabile guerra civile» sotto l’Eliseo, l’aedo di un colpo di Stato dei «militari» per sostituire Macron. Una provocazione, l’ennesima. Forse, allora, non è un caso che proprio in queste ore l’Eliseo sembra aver perso fiducia nella capacità di mediazione di Giuseppe Conte, come se un bilaterale tra i due non possa bastare a chiudere la partita. E che dopo il primo segnale ricevuto con la presa di posizione del Quirinale, si prepara a confrontarsi ancora con la massima carica della Repubblica italiana. Riservatamente, di certo.
Venezuela, aiuti bloccati. Le Nazioni Unite chiedono che gli aiuti per il Venezuela non abbiano «etichette politiche». Per salvare i venezuelani allo stremo, «lo scenario ideale sarebbe un soccorso internazionale indipendente da ogni considerazione politica, puramente umanitario, basato sui reali bisogni». L’appello lanciato ieri dal portavoce dell’Onu per il coordinamento degli aiuti umanitari, Jens Laerke, arriva quando invece lo scontro fra il presidente Nicolas Maduro e il leader dell’Assemblea Generale Juan Guaidó assume tonalità sempre più allarmanti. Il presidente, che ha assunto i poteri dell’Esecutivo, non ha infatti escluso la possibilità di una sua richiesta di intervento armato per risolvere la crisi istituzionale a Caracas. Il leader dell’opposizione ha inoltre annunciato che oggi un gruppo di volontari tenterà di far entrare gli aiuti bloccati al confine con la Colombia.