Economia e finanza
Bce: tassi fermi più a lungo. Tassi che resteranno sui livelli attuali «almeno fino alla prima metà del 2020» e non più fino alla fine del 2019, dunque un’estensione della forward guidance di sei mesi. Nuove operazioni mirate di rifinanziamento TLTRO III a condizioni variabili leggermente più generose di quanto avesse sperato il mercato, ma meno della seconda serie. Ed una Bce pronta ad andare oltre con taglio ulteriore dei tassi e un nuovo Qe, «pronta ad agire e reagire, determinata ad usare tutti gli strumenti» che sono sempre validi e disponibili per contrastare ulteriori peggioramenti dei fattori esogeni in un quadro di «persistenti incertezze». Nonostante un secondo e terzo trimestre di quest’anno con dati economici in arrivo più «deboli», la situazione non desta allarme, «non c’è alcuna probabilità di deflazione e la probabilità di recessione è bassa», ha rassicurato il presidente Mario Draghi, mantenendo il tutto in equilibrio. II Consiglio direttivo della Bce, in trasferta ieri a Vilnius dove tutte le decisioni sono state prese all’unanimità, affila le armi, perchè non c’è aria di normalizzazione. «Non siamo interlocutori della Commissione Ue né del Consiglio ma ritengo che nessuno abbia chiesto una rapida riduzione del depito/Pil all’Italia che sappiamo tutti essere impossibile». Il presidente della Bce ha risposto così a una domanda al termine del consiglio direttivo, e indirettamente richiama il governo gialloverde alle sue responsabilità, spiegando che serve «piuttosto un piano di medio termine che sia credibile come le azioni che seguiranno per attuarlo».
Elkann: stop su Renault per proteggere Fca. Il consenso alla proposta Fca per una fusione con Renault dimostra che «il tempismo, e l’equilibrio di ciò che abbiamo proposto, erano corretti». Lo scrive John Elkann ai dipendenti Fca dopo che mercoledì notte è stata ritirata la proposta «con l’obiettivo di proteggere gli interessi della nostra società e di coloro che lavorano qui». Renault ha espresso «la sua delusione» dopo il fallimento del progetto, mentre da Parigi respingono l’accusa di invadenza della politica: la fusione è inciampata sul nodo Nissan. Ma si allunga l’ombra di un’«azione di disturbo» di Psa. In Borsa il titolo Fca tiene, pesanti Renault e Nissan. <Noi francesi sempre coerenti e fermi. Chiedevamo impegni chiari. Ma serviva ancora un po’ di tempo. Elkann voleva chiudere subito>. II ministro dell’Economia in Francia, Bruno Le Maire in un’intervista di ieri al giornale francese «Le Figaro» racconta i motivi della fusione fallita tra Fca e Renault. «Non potevamo mettere a rischio l’alleanza con Nissan; John Elkann ha voluto procedere celermente. Ognuno è rimasto fedele alla sua logica, nessuno merita di essere criticato».
Politica interna
Conte in Asia. In virtù di quelle affinità elettive che a volte la politica regala, due uomini a prima vista lontani come Giuseppe Conte ed Enrico Letta possono ritrovarsi sulla comune convinzione che, per il bene dell’Italia e magari in asse con il Quirinale, serva fare squadra per fermare la corsa di Salvini. Nelle ore in cui il leader della Lega ricuce con il capo del M5S, Conte allarga la sua rete di rapporti internazionali e istituzionali accogliendo l’invito di Letta, che presiede l’associazione Italia-Asean: un ponte con le piccole economie del Sud-Est asiatico. Nella due giorni all’hotel Melìa affollato di manager erano in diversi a ragionare sulla necessità di scongiurare la procedura di infrazione e ancorare l’Italia all’Europa. «Salvini mette in pericolo il Paese, bisogna fare asse per bloccare la deriva», è il monito di Letta, che interpreta le preoccupazioni di 400 imprenditori con interessi in Vietnam e dintorni: «Sono tutti terrorizzati dalle follie di Salvini». Letta è scettico sul voto anticipato. Il premier in cuor suo, invece, non crede più che la legislatura durerà fino al 2023. Arrivare al 2020 è forse l’obiettivo più a portata. Chi lo frequenta sa che l’avvocato divenuto premier non nutre velleità particolari «alla Mario Monti». Semmai sta lavorando su un orizzonte diverso, di preservazione, nell’idea magari di essere considerato una potenziale «riserva della Repubblica».
Tregua di governo. «Chiuse tutte le polemiche». Matteo Salvini ne è convinto: «Il presidente Conte al suo rientro dal Vietnam troverà tutte le garanzie da lui richieste». Solo il tempo dirà se il faccia a faccia di ieri tra il vicepremier leghista e Luigi Di Maio, il primo dopo parecchio tempo, avrà seppellito gli strascichi della campagna elettorale di tempesta. Salvini ne è convinto: «Su alcuni temi c’è un’attenzione diversa, dei sì, rispetto a qualche settimana fa, anche in considerazione del voto popolare: sullo sblocca cantieri, sulle infrastrutture, sull’Europa…». II cronoprogramma che i due vicepremier hanno in mente prevede tempi stretti e un passaggio formale delicato: il vertice a tre con il premier Giuseppe Conte che si terrà probabilmente lunedì sera. Lì verrà aggiornata l’agenda delle priorità del governo. II giorno successivo, l’atteso Consiglio dei ministri. Di rimpasti e avvicendamenti nel governo Salvini non vuole sentir parlare: «Rimpasto è parola di altra era politica, noi abbiamo parlato delle cose da fare». I due vicepremier avrebbero concordato sulla necessità di provare a «chiudere il contenzioso con Bruxelles», affidandosi ai buoni uffici del ministro Giovanni Tria. Poi, con un trionfante comunicato congiunto, hanno assicurato che «il governo deve andare avanti e la priorità è il taglio delle tasse».
Politica estera
L’anniverario del D-Day. Il presidente americano Donald Trump ha parlato del «rapporto eccezionale» che lo lega al presidente francese Emmanuel Macron, a margine delle cerimonie commemorative del D-Day in Normandia. Il capo dell’Eliseo gli ha risposto di tenere molto «alle relazioni storiche» tra Washington e Parigi, per difendere «la democrazia e la libertà» nel mondo. Trump ha anche cercato di minimizzare le differenze con l’alleato sulla questione dell’Iran, sottolineando che entrambi sono concordi nel ritenere che Teheran non debba abbandonare l’accordo sul nucleare (“denunciato” tuttavia da Washington senza intesa con i partner Ue). Dopo avere pronunciato il solenne «grazie» della Francia, Macron ha detto che «l’America, caro presidente Trump, non è mai così grande come quando si batte perla libertà degli altri, non è mai così grande come quando si mostra fedele ai valori universali difesi dai suoi padri fondatori», una risposta allo slogan di Trump «Make America Great Again» e una denuncia del suo atteggiamento neo-isolazionista. Poi Macron ha evocato una «promessa di Normandia» della quale bisogna mostrarsi degni continuando a «fare vivere l’alleanza dei popoli liberi». Trump ha esaltato il «legame indistruttibile tra i due Paesi».
Mosca-Cina. Vicini per convenienza. Vicini per un avversario comune, gli Stati Uniti. Ma in ogni caso, sempre più vicini. Mentre i leader dell’Occidente festeggiano il 75esimo anniversario del D-Day, Vladimir Putin e Xi Jinping mettono in scena la loro contro celebrazione. I presidenti “eterni” di Russia e Cina, i due regimi che in modo diverso sfidano l’ordine globale a trazione atlantica, in queste ore appaiono fianco a fianco in una coreografica serie di appuntamenti tra Mosca e San Pietroburgo. Xi e Putin hanno infatti organizzato un loro summit alternativo a Mosca e poi sono volati a San Pietroburgo, dove Xi è l’ospite d’onore della “Davos russa”: il Forum economico internazionale iniziato ieri nella città sulla Neva e col quale il Cremlino spera di attirare investimenti stranieri per risollevare le sorti della malconcia economia nazionale. Putin non è stato neanche invitato ai festeggiamenti per il D-Day. Ma assicura che «non è un problema». Xi ha definito Putin il suo «migliore amico». Non è una novità lo scambio di doni, in questo caso una coppia di panda dati in affitto allo zoo di Mosca. La novità è che questo rapporto tra giganti eurasiatici comincia a prendere sostanza. L’anno scorso, per dirne una, lo scambio di merci è cresciuto del 25%, sfondando i 100 miliardi di dollari: soprattutto gas e petrolio per l’insaziabile Dragone, ma pure armi e tecnologia. Xi si è portato al seguito una nutrita squadra di aziende “di sistema”, Huawei aiuterà la Russia a piantare le antenne del 5G, altri accordi firmati valgono 20 miliardi.