Economia e Finanza
Conti, l’allarme del Colle. 133 miliardi di maggiori spese nel triennio, 94 dei quali a carico di tre voci: pensioni, reddito di cittadinanza, ammortizzatori sociali. La versione definitiva del Documento di economia e finanza svela fino in fondo le conseguenze sui conti pubblici dell’ultima manovra voluta dal governo giallo-verde. Nei prossimi tre anni la spesa per sussidi sale di quasi cento miliardi, solo in parte coperti – e solo dal 2020 – con gli aumenti Iva che il governo ha messo a bilancio e però promette di non introdurre. Questa enorme contraddizione verrà a galla a ottobre, quando occorrerà mettere a punto la Finanziaria per il 2020. Lo scrive esplicitamente il ministro Giovanni Tria nella prefazione al Documento: «II profilo delineato per l’indebitamento netto richiederà l’individuazione di coperture di notevole entità». Al Tesoro si parla già di quaranta miliardi, euro più, euro meno. Tria conferma l’avvertimento fatto a voce ai due partiti della maggioranza: «La legislazione fiscale viene per ora confermata nell’attesa di definire le misure alternative di copertura e di riforma fiscale». Se il governo reggerà l’urto delle elezioni europee, per salvare i conti e coprire le nuove spese avrà tre strade: o aumentare l’Iva almeno su alcune fasce di prodotti, o abolire il bonus da 80 euro introdotto dal governo Renzi, o fare altro deficit andando allo scontro con la Commissione europea. Salvini e Di Maio sono riusciti a imporre la parola «flat tax» nella lista delle priorità, ma basta scorrere le tabelle del Def per avere la percezione di un bilancio già in bilico: le voci «lavoro e pensioni» assorbiranno quasi 24 miliardi in più quest’anno, 35 nel 2020, altrettanto nel 2021. Numeri che destano la preoccupazione di Mattarella per la tenuta dei conti pubblici in vista della manovra d’autunno (data l’entità delle cifre) e per la verifica politica post-voto. I tecnici del Colle, anche se possono aver valutato come un positivo bagno di realismo quel 0,2% di crescita, sanno che il documento va riempito di contenuti sui quali la Ue e mercati si esprimeranno dopo il voto europeo. Ed è su questo fronte che il governo si giocherà il futuro quando dovrà decidere le linee della finanziaria 2020. Fare sintesi tra le pretese degli alleati-competitor rientra nelle responsabilità del ministro Tria. Il quale, nonostante i dossieraggi e gli attacchi, è ancora al suo posto. Ciò che, dal punto di vista del Quirinale, almeno non pregiudica equilibri e credibilità dell’esecutivo.
Incontro Boccia-Di Maio. Un confronto sulla crescita. Con il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, che ha insistito sulla necessità di reagire al rallentamento dell’economia ed ha sollecitato il varo tempestivo dei provvedimenti del governo. E il ministro dello Sviluppo, Luigi Di Maio, che ha affermato: «in questo momento il governo è esclusivamente impegnato per la crescita del paese». Occasione per questo dialogo in diretta è stato il Consiglio generale di Confindustria, che ieri si è tenuto a Milano, al Salone del Mobile: «un modo anche simbolico per dare centralità alla questione industriale a partire da questo settore che ci dà non poche soddisfazioni», ha detto Boccia, che ha accettato l’invito del presidente di Federlegno, Emanuele Orfini. La presenza del ministro Di Maio al Salone ha fatto sì che si creasse la circostanza del confronto. Una disponibilità che il presidente Boccia ha molto apprezzato e che conferma un nuovo clima instaurato con il governo. «Abbiamo parlato di decreto crescita, di esportazioni, formazione, innovazione, di iniziative che stiamo portando avanti insieme», ha raccontato Di Maio, che nel pomeriggio, alla Camera, ha affermato: «stiamo riorganizzando gli incentivi permetterli in maniera massiccia su innovazione ed economia circola. Serve – ha aggiunto Di Maio – un patto tra gli industriali e lo Stato, lo firmiamo e diciamo che nei prossimi 30 anni si va avanti in quella direzione, al di là delle forze politiche. Con la cultura dello scontro ottieni qualche risultato a breve, con quella dell’incontro ottieni risultati a medio termine». Tuttavia, l’incoerenza di Boccia colpisce. Non si riesce infatti a capire la motivazione profonda della sua nuova scelta di fede. Di Maio è l’avversario della Tav richiesta a gran voce dalle manifestazioni degli industriali torinesi, è il promotore della legge Dignità considerata dalle imprese come un dito nell’occhio… Qual è allora il motivo di questa improvvisa conversione a U? La nota emessa in serata dallo stesso Boccia per cercare di stemperare il giudizio sul vicepremier si limita a lodarne «la sensibilità», di più non ha potuto dire. Perché dei due provvedimenti in gestazione e di cui Di Maio ha parlato ieri – il decreto Crescita e lo Sbloccacantieri – non si conoscono ancora né il testo definitivo né le coperture e in merito al secondo pende da tempo un giudizio negativo dell’Ance.
Politica interna
Salvini-Di Maio, è «derby» anche sul 25 aprile. I Dioscuri di Palazzo Chigi continuano a far di tutto per rimarcare le differenze. Se Salvini va da una parte, Di Maio non vuol sentirsi da meno e ovviamente va dall’altra. Uno bianco l’altro nero. Uno filo-partigiani l’altro no. E infatti il prossimo 25 aprile segnerà l’ennesima frattura tra i due alleati di governo. Uno, il ministro degli Interni, volerà in Sicilia. L’altro, il ministro dello Sviluppo economico, invece sfilerà accanto ai rappresentanti dell’Anpi. «Quel giorno sarò a Corleone – ribadisce il vicepremier leghista – per sostenere il lavoro delle forze dell’ordine. Più che il derby fascisti-comunisti, destra e sinistra, mi appassiona quello tra Stato e mafia, e ovviamente voglio che lo Stato vinca». L’annuncio della trasferta siciliana è arrivato mercoledì durante la cerimonia per la Festa della Polizia. La replica dell’altro vicepremier non si è fatta attendere. «Io, invece, il 25 aprile festeggerò perché è un giorno molto importante per la nostra Storia». Il leader del M5S ricorda che si tratta dell’occasione per celebrare «chi ha vinto». «Dobbiamo festeggiare i nostri nonni – dice – che hanno condotto una battaglia fondamentale contro un regime e che hanno ottenuto con la loro vittoria il risultato di consegnare alle generazioni successive libertà e democrazia». Lo scambio di cannonate tra alleati parte al mattino presto riguardo a Roma, prosegue per tutto il giorno su famiglia, 25 aprile e rimpatri. Con Luigi Di Maio che irride Matteo Salvini: «Lo sanno tutti che noi lavoriamo di più». II leader leghista ufficialmente non risponde. Ma chi l’ha sentito così commenta: «Dicono che lavorano di più, ma gli italiani non se ne sono accorti. Oppure, come nel caso di Toninelli, se ne sono accorti anche troppo…». E lo «stesso vale per Virginia Raggi». Ma la serata ha ancora altro da offrire. Perché da Palazzo Chigi si apprende anche il punto di vista del premier Giuseppe Conte. Che si riassumono in questa frase: «Nei prossimi giorni incontrerò Virginia Raggi. Per Roma stiamo pensando a una task force, perché su questo il governo intende metterci la faccia».
Riace, Lucano sarà processato. Mimmo Lucano, paladino dell’accoglienza e dell’integrazione, è stato rinviato a giudizio dal giudice dell’udienza preliminare di Locri, Amelia Monteleone. Alla lettura del verdetto, lui non era in aula. Ha deciso di aspettare a casa, insieme a chi in questi mesi gli è stato vicino. Ma neanche la presenza dei suoi gli è stata di conforto, quando i legali lo hanno informato che dall’li giugno dovrà affrontare il processo. «Sono emotivamente scosso, senza parole – confessa – Sono stato rinviato a giudizio anche per i capi d’imputazione che la Cassazione ha demolito. Evidentemente quello che vale a Roma non vale a Locri». L’11 giugno il sindaco (sospeso) di Riace, dovrà comparire di fronte al Tribunale di Locri per difendersi dalle accuse di associazione a delinquere, truffa, abuso d’ufficio, peculato, concussione, frode in pubbliche forniture, falso, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Con il rinvio a giudizio è scattato per Lucano anche il nuovo termine di decorrenza dell’obbligo di dimora fuori da Riace, che si protrarrà per un altro anno. Il gup ha spedito davanti al collegio giudicante anche Lemlem Tesfahun, compagna di Lucano e altre 25 persone indagate nell’ambito dell’inchiesta «Xenia», inserite a vario titolo nelle cooperative che hanno gestito il modello Riace. Il ministero dell’Interno, rappresentato dall’Avvocatura dello Stato, in qualità di parte offesa, insieme alla prefettura di Reggio Calabria, si costituirà parte civile. La decisione del giudice Monteleone è arrivata dopo sette ore di camera di consiglio e questo la dice lunga sulla complessità dei capi d’accusa contro Lucano. La procura ha chiesto per tutti gli indagati il rinvio a giudizio e nel corso dell’udienza il pubblico ministero Michele Permunian ha presentato una consulenza tecnica che accertava un ammanco di 5 milioni di euro che sarebbero finiti nelle tasche di privati, anziché favorire l’integrazione dei migranti. Gli avvocati della difesa, invece, hanno insistito sul «non luogo a procedere» nei confronti di Mimmo Lucano, per non aver commesso i fatti.
Politica estera
Brexit: intesa su un altro rinvio. Dopo una lunga trattativa e una decisione sofferta, i Ventisette hanno rinviato l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea di altri sei mesi. Hard Brexit non è quindi più una minaccia impellente. Eppure il compromesso raggiunto nella notte tra mercoledì e giovedi è carico di incertezze, a cominciare dalle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo che il Regno Unito sarà chiamato a organizzare, nonostante abbia un piede fuori dall’Unione. «Ci siamo messi d’accordo per un rinvio flessibile fino al 31 ottobre», ha spiegato il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk. «Sei mesi in più per trovare la migliore soluzione possibile». In questo periodo, ha precisato l’ex premier polacco, «il Regno Unito potrà ratificare l’intesa di divorzio, in quel caso il rinvio verrebbe annullato» oppure «revocare del tutto la decisione di lasciare l’Unione». In questo periodo, la Gran Bretagna rimarrà paese membro a pieno titolo dell’Unione e dovrà quindi organizzare sul proprio territorio le prossime elezioni europee. Parlando a notte fonda a Bruxelles, la premier May ha ribadito che il suo obiettivo rimane comunque di far approvare l’accordo di recesso il più velocemente possibile per consentire al paese di uscire dall’Unione europea il 22 maggio, per evitare di dover organizzare il voto europeo del 23-26 maggio. La decisione del Consiglio europeo di spostare al 31 ottobre, ma non oltre, la scadenza per un’eventuale uscita del Regno Unito dall’Unione europea è stata fortemente voluta da Emmanuel Macron. Il presidente francese infatti non vuole che il primo ministro britannico, di un Paese che fra pochi mesi potrebbe essere fuori dall’Unione, partecipi alla scelta di chi guiderà l’Europa dopo le elezioni di maggio, e cioè il presidente della Commissione, il presidente del Consiglio europeo e l’Alto commissario per la politica estera e della sicurezza, posizione oggi ricoperta da Federica Mogherini. E’ quindi possibile che queste scelte avvengano non prima dell’autunno, quando sarà scaduto l’ultimatum al Regno Unito e si saprà con certezza se è dentro o fuori dall’Europa.
Blitz a Londra, arrestato Assange. La polizia britannica ha arrestato ieri mattina Julian Assange, il fondatore di Wikileaks che ora rischia l’estradizione negli Stati Uniti, dove potrebbe essere condannato a cinque anni di carcere per aver provocato, secondo le autorità di Washington, «una delle maggiori compromissioni di informazioni riservate della storia americana». L’arresto è avvenuto dopo che l’Ecuador ha revocato ad Assange l’asilo politico: il fondatore di Wikileaks viveva infatti dal 2012 nell’ambasciata ecuadoriana a Londra, dove si era rifugiato per sfuggire a un mandato di cattura delle autorità svedesi, che lo ricercavano per una presunta violenza sessuale. L’Ecuador ha tolto la protezione ad Assange, accusandolo di aver violato le condizioni di asilo: e da alcuni giorni si era appreso che l’attivista era stato filmato segretamente nella residenza diplomatica e sorpreso in attività illecite. Quindi ieri mattina la polizia britannica è stata invitata all’interno dell’ambasciata, dove ha eseguito l’arresto di Assange. Il fondatore di Wikileaks è stato subito trasportato a bordo di un furgone in una stazione di polizia del centro di Londra: lì è apparso con la barba incolta, vestito di nero e con un libro di Gore Vidal tra le mani. «Il Regno Unito deve resistere !» ha urlato mentre una mezza dozzina di agenti di Scotland Yard in borghese lo trascinava fuori dall’elegante edificio di mattoni rossi a Knightsbridge, a pochi passi da Harrods, che è stata la sua casa dal giugno del 2012. «È illegittimo, non me ne vado», ha anche detto. Poche ore dopo è apparso in tribunale, dov’è stato condannato per aver violato i termini di libertà vigilata. Rischia fino a 12 mesi di prigione. «Nessuno è al di sopra della legge e Assange non è un eroe», ha detto il ministro degli Esteri Jeremy Hunt. Ma il rischio più grande per lui è l’estradizione in America, che non gli ha perdonato la pubblicazione di video e documenti diplomatici relativi alle guerre in Afghanistan e Iraq. È stata una delle più grandi fughe di notizie nella storia, e ha documentato vari abusi delle forze americane, compresa l’uccisione di civili, tra cui un fotografo dell’agenzia Reuters, da parte di due piloti su un elicottero Apache a Baghdad nel 2007.