Economia e Finanza
L’Italia torna a risparmiare. La prima buona notizia è che in Italia il ceto medio torna ad irrobustirsi e i bilanci delle famiglie riacquistano parte della prosperità perduta nella lunga crisi. Da 10 anni questa parte infatti non era mai accaduto che un milione e trecentomila famiglie rientrassero nel ceto medio o vi arrivassero per la prima volta. A certificarlo, numeri alla mano, è il direttore del Centro Einaudi, Giuseppe Russo, in occasione della presentazione della nona indagine sul risparmio e le scelte finanziarie degli italiani curata dallo stesso centro con Intesa Sanpaolo e Doxa. «La fascia di redditi medi, quella tra 1.500 e 3.000 euro, che si era contratta sotto la crisi negli ultimi tre anni, si è espansa e infatti è cresciuta di 7 punti, passando dal 51,7% del totale al 57,7%: nel 2019 1,3 milioni di famiglie italiane sono rientrate o sono rientrate per la prima volta nel ceto medio». Il ritrovamento della prosperità perduta si situa in un’altra curiosità che riguarda le finanze degli italiani: i risparmiatori infatti sono risaliti al 50%, dopo la caduta al 39% del 2013 in piena crisi dei debiti sovrani, e siamo al massimo storico di percentuale di reddito messa da parte (è il 12,6%, mentre nel 2003 era il 7,7 su una percentuale di risparmiatori del 56%). II bene rifugio per eccellenza resta però il mattone. Se infatti il patrimonio medio italiano stimato è di circa 270 mila euro, il 63% è rappresentato dalle case ed è record di proprietari. Nei 12 mesi precedenti all’indagine il 6,7% del campione ha investito in un’abitazione, ma solo il 3%, lo ha fatto per acquistare o cambiare il primo immobile; gli altri acquisti sono stati realizzati per questioni legate all’eredità o per avere un reddito aggiuntivo in vecchiaia. «Crescono le persone che si sentono a proprio agio col reddito e quelle che risparmiano (52%) superano quelle che non lo fanno (48%) con un percentuale decisamente più alta del minimo storico (39%) toccato nel 2013 – ha sottolineato Gian Maria Gros Pietro, presidente di Intesa Sanpaolo -. E questo sembra difficile da capire in un contesto in cui si leggono commenti allarmati sulla nostra situazione. Tale elemento va collegato a come viene rappresentata la nostra economia. Un altro aspetto positivo che emerge è che le persone imparano a gestire i propri problemi e a cogliere le opportunità. Le crisi sono cambiamento, in ogni cambiamento ci sono abitudini non più opportune e altre chevanno colte con un atteggiamento proattivo di fronte a un mondo che cambia».
Dossier Alitalia. Partiranno nei prossimi giorni i primi faccia a faccia della cordata che si è proposta di traghettare Alitalia dal limbo dell’amministrazione straordinaria al vero rilancio. Tavoli tecnici delicati, nei quali non si escludono momenti di frizione, che dovrebbero durare un paio di mesi e che vedranno protagonisti in particolare Ferrovie dello Stato e Atlantia, ai quali si affiancheranno gli americani di Delta Air Lines e i rispettivi consulenti strategici e legali. Ma saranno anche riunioni che dovranno fare i conti pure con i desiderata della politica. «Seguiremo la struttura del piano industriale che deve essere sui voli di lungo raggio e non deve sacrificare l’occupazione», ha commentato ieri il ministro Di Maio. E c’è un dato in evidenza sulla scrivania di Giovanni Castellucci, l’ad di Atlantia che sarà il socio privato italiano della nuova Alitalia: la compagnia perde ogni anno mezzo miliardo di euro a livello di Ebitdar. Un dato inaccettabile per il manager che guida Atlantia, che va invertito di segno al più presto. I quattro “quasi soci” – in attesa del consorzio vero e proprio – hanno solo due mesi per correggere la rotta dell’abbozzo di piano che Delta, e Air France-Kim stanno mettendo a punto con la supervisione di Ferrovie dello Stato. E Castellucci vuole dire subito la sua, forte anche di una partecipazione di Atlantia che dovrebbe aggirarsi attorno al 35%, con un esborso ipotizzato di circa 350 milioni: già domani incontrerà i commissari Alitalia per mettere a punto un calendario di interventi. I nodi da affrontare sono molti. Le indiscrezioni danno per scontata una ulteriore riduzione della capacità offerta dalla compagnia, ma con ricavi in aumento. In pratica si taglia la flotta di 18 macchine, tre delle quali di lungo raggio, mantenendo o ampliando i collegamenti, grazie ad un incremento dell’utilizzo di equipaggi e aerei. Ma questa strada non genera mai un miglioramento dei margini, anche a parità di ore volate.
Politica interna
Moscopoli incendia il Parlamento. A Palazzo Chigi cominciano a circolare analisi allarmate. A quanto pare la coabitazione tra Di Maio e Salvini sta portando a strappi e retromarce sempre più frequenti. Solo ieri il leader leghista era sotto il fuoco incrociato dei 5 Stelle per indurlo a chiarire in Parlamento la vicenda dei presunti fondi russi. Il ministro dell’Interno l’aveva escluso dicendo che non aveva senso parlare di spie ma, sia pure nella formula del question time, andrebbe a parlarne davanti ai parlamentari. Il punto è che invece il presidente Fico ha accolto la richiesta dei partiti di opposizione – Pd, Leu e + Europa – di riferire in Aula con un’informativa. Un atto che i leghisti interpretano come politicamente ostile perché fatto di sponda con Zingaretti e che mira direttamente al leader. D’altronde, la pressione del M5S e del premier Giuseppe Conte, oltre che delle opposizioni, è sempre più insistente. «II ministro dell’Interno non si è neppure degnato di rispondere, questo è un fatto molto grave. Umilia non le opposizioni ma il Parlamento, quindi sospendiamo l’attività parlamentare. I lavori non riprenderanno finché non sarà restituita dignità a questo luogo». È il capogruppo Graziano Delrio a dare il via alla protesta dura. «Una situazione tecnicamente golpista. Salvini elude la Costituzione, doverosa la reazione del Pd», attacca il dem Stefano Ceccanti. Silvio Berlusconi del resto aveva dichiarato in una nota la sua fiducia nell’amico Salvini: «Nessun finanziamento da Russia, me l’ha detto Putin». La convinzione, nel governo, è che le rivelazioni siano appena cominciate; che del colloquio registrato tra il presidente dell’associazione Lombardia-Russia e i suoi interlocutori moscoviti possano esistere altri spezzoni; e che sia destinato a diventare una questione di sicurezza e interesse nazionali. La presenza del leghista Savoini al vertice bilaterale tra Salvini e il ministro dell’Interno russo, Vladimir Kolokoltsev, un anno fa a Mosca, è considerata una controprova. D’altronde, la magistratura milanese fa capire che le indagini saranno lunghe, laboriose, e proiettate fuori dai confini italiani. Per la Lega, il problema è difendere il suo uomo a Mosca e Claudio D’Amico, consigliere strategico di Salvini a Palazzo Chigi; e in parallelo evitare che gli sviluppi dell’inchiesta travolgano lo stesso vicepremier. Per i Cinque Stelle è un’occasione unica per tentare di rifarsi contro la Lega che ha trionfato alle Europee a spese del Movimento. Ma devono stare attenti a evitare che il caso affossi il governo o trasformi Salvini in vittima.
Ue, l’ira di Conte: traditi dalla Lega. Si rifletterà inevitabilmente sul futuro del Governo italiano la “geometria variabile” espressa nel voto di ieri a Strasburgo sulla candidata alla presidenza della Commissione Ue, Ursula van der Leyen. I parlamentari pentastellati hanno votato a favore dell’ex ministro della Difesa tedesca così come quelli del Pd e di Forza Italia mentre la Lega, dopo alcune dichiarazioni in cui si chiedevano maggiori garanzie sull’immigrazione, ha deciso di votare contro così come i parlamentari di Fratelli d’Italia. Più istituzionale, ma con un occhio interessato al futuro negoziato per il futuro portafoglio destinato all’Italia nel collegio dei commissari, il sostegno del presidente Conte al programma della van der Leyen. «Ho apprezzato il discorso della candidata presidente della Commissione von der Leyen – ha commentato Conte – i temi economici, sociali, ambientali evocati così come la lotta ai traffici illeciti lasciano sperare in un’Europa finalmente più capace di avere cura del suo futuro e dei bisogni dei cittadini». Ma il voto dei 5 Stelle, determinate per l’elezione di Von der Leyen, ha scatenato un uragano nel governo e nella maggioranza. Le conseguenze non sono per il momento calcolabili, ma la tensione è al limite della rottura, che potrà solo essere rimandata magari al prossimo anno. Rimane l’incognita di come l’alleanza gialloverde, in queste condizioni, potrà affrontare nei prossimi mesi una discussione su una legge di Bilancio da 50 miliardi di euro. I toni sono cresciuti oltre la fisiologica dialettica nelle ultime settimane fino ad esplodere sulla questione dell’autonomia regionale e, in queste ultime ore, a seguito del vertice con le parti sociali convocato da Matteo Salvini per cominciare ad impostare la manovra economica e mettere a punto la flat tax. È stato il premier Conte a parlare di «sgarbo istituzionale». Il tutto appesantito dalla vicenda dei presunti finanziamenti russi al Carroccio. Ieri il colpo di scena con la Lega che vota contro Von der Leyen e i grillini a favore. «I leghisti hanno votato contro l’interesse nazionale», sostengono a Palazzo Chigi. «I 5 Stelle hanno fatto un becero gioco del baratto», fanno sapere dalla Lega. Salvini è furioso. Non ha mai accettato la logica messa in campo da Conte che aveva invitato i due partiti del suo governo a sostenere il pacchetto di nomine deciso nell’ultimo vertice europeo. «Non avremo mai votato a favore della Von der Leyen solo per avere una poltrona», fa sapere il ministro dell’Interno che si aspettava un riconoscimento palese dalla neo presidente della Commissione Ue.
Politica estera
Von der Leyen passa per 9 voti. Spirava un forte vento di ottimismo nella giornata di ieri all’Europarlamento di Strasburgo. Ma d’improvviso, alle 19.30, si è trasformato in una ventata gelida. Ursula von der Leyen ha superato il test dell’Aula. Prima donna della storia a guidare l’esecutivo comunitario, raccoglierà il testimone da Jean-Claude Juncker il primo novembre. Ma la tedesca è passata per un soffio, con 383 voti, appena nove sopra la maggioranza di 374. Determinante il sostegno giunto dai 5Stelle e in extremis dai polacchi di Diritto e Giustizia, il partito dell’illiberale Jaroslaw Kaczynski al potere a Varsavia. La presidenza di von der Leyen nasce senza una maggioranza pienamente europeista e nei prossimi 5 anni la sua Commissione dovrà cercare volta per volta i voti per far passare i provvedimenti nell’aula di Strasburgo. «La fiducia che riponete in me è la fiducia in un’Europa unita e forte. È stata la giornata più intensa della mia vita politica», ha commentato a caldo aggiungendo che «in democrazia la maggioranza è maggioranza». Un sospiro di sollievo, ma anche un modo di nascondere il dato politico dopo il pericolo scampato. Nei giorni scorsi si erano sfilati i Verdi, ma gli altri tre grandi partiti pro Ue godevano di una platea di 444 eletti, ben superiore ai 374 voti necessari alla fiducia. Tuttavia tra Popolari, Socialisti e democratici e macroniani di Renew Europe ha colpito il malcontento, con un centinaio di deputati che nel segreto dell’urna ha votato contro. Le maggiori perdite nei Socialisti e democratici, dove una cinquantina di parlamentari ha scelto il dissenso a partire da quelli della Spd tedesca accompagnati dal colleghi di Benelux, Grecia, Austria e Slovenia. ll discorso di presentazione di von der Leyen è stato importante per convincere gli indecisi socialisti della vigilia. Affermati il suo europeismo e la distanza dai sovranisti, ha anche sottolineato l’impegno per la parità di genere. Von der Leyen ha promesso che «se gli Stati membri non proporranno abbastanza donne commissarie» non esiterà «a chiedere nuovi nomi». E su eventuali commissari euroscettici, ha spiegato di volere «una Commissione che lavori per migliorare l’ue e rafforzare l’Europa».
In Francia si dimette il ministro dell’Ecologia. In molti lo avevano pronosticato sin dall’inizio come l’inevitabile epilogo. A una settimana dalle accuse sulle cene da nababbo – con tanto di aragoste giganti, champagne e vini da centinaia di euro a spese del contribuente – il ministro della Transizione Ecologica, Francois De Rugy, ha rassegnato le dimissioni dicendosi vittima di un «linciaggio mediatico» orchestrato contro di lui. Dimissioni rapidamente accolte dal presidente, Emmanuel Macron, che ha evocato una «scelta personale» del ministro, e dal premier Edouard Philippe, lo stesso che in piena bufera – appena qualche giorno fa – gli aveva rinnovato la fiducia. Furioso per le bordate e le rivelazioni a ripetizione, non solo sui menu extralusso, il numero 2 del governo che appena qualche giorno fa disse di non avere «alcun motivo» di lasciare getta dunque la spugna. E denuncia per diffamazione Mediapart, il giornale on-line dal quale partirono le prime accuse contro lui e la moglie Séverine De Rugy. «Gli attacchi e il linciaggio mediatico di cui la mia famiglia è oggetto – si legge nel comunicato con cui il ministro ha annunciato le dimissioni – mi inducono oggi a prendere le opportune distanze, chiunque potrà capire». Rugy ha sottolineato di «tenere troppo all’ecologia per accettare che la nostra azione ecologica sia indebolita da accuse personali incessanti», spiegando che «le azioni necessarie per difendermi mi impediscono di assumere serenamente ed efficacemente la missione che mi hanno affidato il presidente della Repubblica e il primo ministro». Tutto ha avuto inizio circa una settimana fa. Le prime rivelazioni di Mediapart – con tanto di foto d’appoggio, tra vini di grands crus francesi e le aragoste giganti che troneggiano su un banchetto degno del Re Sole – hanno fatto il giro dei social. Secondo il giornale on-line, sono state in totale una decina le cene di questo tenore organizzate da De Rugy tra ottobre 2017 e giugno 2018, vale a dire quando era ancora alla guida dell’Assemblea Nazionale, senza nesso apparente con il suo incarico. In questi ultimi giorni lui si è sempre difeso garantendo che si trattava solo di «cene informali» con personalità della «società civile» legate all’esercizio del suo incarico.