Pronto maxi accordo Usa-Cina sui dazi. È a portata di mano, agli “stadi finali” del negoziato. Entro fine mese l’accordo commerciale tra Stati Uniti e Cina, l’intesa che dovrebbe superare la guerra economica tra Washington e Pechino, potrebbe essere pronta per essere firmata. Un summit tra Donald Trump, a caccia di successi internazionali dopo il collasso del vertice con la Corea del Nord, e il leader cinese Xi Jinping avrebbe già una data: il 27 marzo a Mar-a-Lago, residenza di Trump in Florida, dove Xi volerebbe reduce da un viaggio europeo, in Italia e Francia. Indicazioni si susseguono, oltre che sulla forma, sulla sostanza del “deal”: il governo di Xi dovrebbe abbassare dazi recenti e alcune storiche barriere non tariffarie in settori dalla chimica all’agricoltura, dall’energia all’auto. In cambio la Casa Bianca si impegnerà a eliminare tutte – o quasi – le ritorsioni dell’ultimo anno su 200 miliardi di import dal Paese asiatico. Pechino, nell’insieme, aprirebbe nei prossimi cinque anni le frontiere ad altri 1.350 miliardi di “made in Usa”. Ma capitoli irrisolti restano nella dirittura d’arrivo delle trattative, alimentando timori su impasse dell’ultima ora. O peggio: tra gli esperti serpeggiano allarmi più gravi, il rischio che l’accordo si riveli un’intesa solo d’immagine, una partita dalle cifre appariscenti ma in realtà giocata al ribasso. Che non esorcizzi cioè le tensioni né assicuri passi avanti nelle riforme strutturali, di nuova apertura dei mercati cinesi. Le Borse – eccezion fatta per l’esuberanza di Shanghai che ha guadagnato il 3,2% tornando sopra i 3.000 punti – non hanno mostrato grande entusiasmo. Soprattutto Wall Street, che dopo un avvio in rialzo ha subito virato in negativo: un improvviso balzo in avanti della volatilità ha infatti mandato in ribasso la Borsa americana. Come mai la notizia di importanti passi in avanti tra Washington e Pechino non ha spinto gli investitori a festeggiare? «Le incognite sull’operazione tuttora permangono. Molto dipenderà dai dettagli dell’eventuale accordo – spiega Vincenzo Longo, strategist di Ig -. Tra l’altro gli operatori sono stati un po’ richiamati alla prudenza da qualche recente affermazione di Trump secondo cui una volta che l’accordo sia firmato, è necessario che la Cina mantenga le promesse, altrimenti si tornerà alla rottura».
Parte il Reddito di cittadinanza. Reddito di cittadinanza al via. Da domani si potranno presentare le domande per il sussidio destinato alle famiglie povere che potrà arrivare fino a 780 euro al mese per un single (fino a 1.330 per una famiglia di tre adulti e due figli minorenni). I primi assegni avranno decorrenza da aprile anche se la card verrà caricata a maggio. Le domande si potranno presentare agli uffici postali, ai Caf e online sul sito Inps. Si teme un assalto agli sportelli perché, sulla base dei dati del governo, ci sono 1,3 milioni di famiglie che potrebbero chiedere il sussidio. La Consulta dei Caf lancia un appello a non presentarsi tutti il primo giorno. Ma le file saranno inevitabili perché gli aspiranti al reddito vorranno ottenerlo a partire da aprile, come prevede la legge. E per riuscirci i tempi sono stretti. Caf e Poste si stanno organizzando per far fronte all’assalto, ma in certe aree del Sud ad alta densità di poveri non sarà facile. In molti uffici postali, ma non in tutti, sono presenti cartelli che invitano i richiedenti a presentarsi in ordine alfabetico. Per evitare le code non verrà invece distribuito un numeretto dedicato, per evitare di rendere identificabile chi chiede il reddito che resta pur sempre un «marchio di povertà». Le Poste, in via informale, hanno chiesto al ministero dell’interno se nei primi giorni sarà possibile avere qualche agente davanti agli uffici, almeno nelle zone più calde. La prima ondata di domande, spiegano i responsabili dei Caf, sarà raccolta dal 6 al 31 marzo e trasmessa all’Inps dal 25 marzo al 15 di aprile, perché è l’istituto previdenziale che verificherà i requisiti nel giro di 10 giorni e dal 26 aprile comunicherà, con email o sms, al cittadino se la domanda è stata accolta o no. Se accolta, seguirà un’altra email o sms ma questa volta di Poste con l’invito a ritirare presso l’ufficio postale la card (tipo bancomat) sulla quale mese per mese sarà caricato l’importo spettante all’intera famiglia. «Se la domanda è accolta entro aprile, anche se la tessera viene ritirata a maggio — spiega il coordinatore della Consulta, Mauro Soldini — essa conterrà comunque la somma dovuta ad aprile». Intanto sulle politiche attive per il lavoro il neo presidente dell’Anpal Domenico Parisi, manda un messaggio distensivo alle regioni; non auspica «guerre». Ma rivendica le scelte del governo, forte anche dell’esperienza fatta negli Stati uniti. «Il modello americano presenta analogie con quello italiano – sostiene-, Negli Usa abbiamo gli stati, in Italia le regioni. Non si vogliono togliere competenze alle regioni ma, rispettando le loro prerogative, intendiamo dare indicazioni che siano effettive».
Politica interna
La scommessa di Zingaretti: “Farò un partito capace di governare”.Un partito per governare, dopo la grande depressione post 4 marzo. Nicola Zingaretti lancia la sfida. «Si e riaperta la speranza e ora dobbiamo con umiltà unire e cambiare. Non dobbiamo solo fare opposizione ma dare ai problemi che i gialloverdi cavalcano soluzioni migliori e aprire una nuova fase della democrazia». Il neo segretario del Pd accarezza gli effetti della sua elezione: «Per la prima volta in un anno – osserva – i sondaggi ci danno sopra il 19 per cento e la distanza con i 5 stelle é ai minimi. È il vero dato politico. Non dobbiamo illuderci ma cambiare tutto». Eppure il nuovo leader del Pd vede spiragli che diventano porte, fessure che diventano crepe. Sembra che abbia deciso che il tempo per infilarsi nelle difficoltà dell’esecutivo sovranista sia questo. Qui e ora. «In Italia – dice – c’è una situazione nuova: la Lega nazionalista di Salvini sta mettendo in crisi il Nord e la sua capacità di produrre. Di Maio si chiude nel bunker nella difesa dell’indifendibile. La fiducia nel Paese cala come cala la produzione, il fatturato e il lavoro. Le reazioni nelle piazze si moltiplicano». Quindi niente giochetti. Figuriamoci i discorsi su alleanze spurie con gli attuali governanti. C’è una telefonata con Giuseppe Conte, niente di più. E al vicepremier grillino che gli propone di votare II salario minimo garantito, Zingaretti risponde: «Niente furbizie». Si comincia da questa base. Con l’idea di un’alternativa immediata, pronta. Tutto può succedere, tutto può crollare prima del previsto. La prima uscita pubblica da segretario di Nicola Zingaretti (concordata con Paolo Gentiloni) è all’insegna di una doppia sfida. E infatti il governatore del Lazio ualche giorno fa aveva anticipato a un paio di amici: «Vedrete che vi sorprenderò». Così, il più romano dei leader del Pd ha spiazzato tutti volando via dalla Capitale per andare a Torino da Chiamparino e sostenere la Tav. La sfida lanciata ieri da Zingaretti è nazionale, cioè al governo, dove Lega e Cinque Stelle non riescono a mettersi d’accordo sull’alta velocità, ma anche regionale. Già, perché in Piemonte si vota e il segretario del Pd (eletto con una percentuale che oscilla tra il 66 e il 66,5 per cento) vuole mettere il Carroccio in difficoltà. L’elettorato di Salvini è quasi tutto «sì Tav» e non è certo soddisfatto dei continui rinvii dell’esecutivo. Più in generale, il governatore del Lazio mira al sorpasso sui 5 Stelle. Ieri pomeriggio, mentre era ancora nel capoluogo piemontese, gli hanno fatto vedere il sondaggio della Swg, che in serata sarebbe stato reso noto dal telegiornale di Mentana: il Partito democratico è al 19,8 per cento, i grillini al 22,1. Poco più di due punti di differenza: una meta impensabile fino a un mese fa. Dagli istituti di ricerca esce intanto l’identikit del Pd a trazione zingarettiana che rispetto alla versione precedente guarda più a sinistra, cattura le attenzioni di fasce d’età non giovanissime (dai 50 anni in su) e in particolare dei pensionati, vede crescere l’interesse di laureati e diplomati. L’identikit esce dall’analisi sui risultati delle primarie dem realizzata dall’Istituto Ipsos. Il dato più rilevante, non del tutto sorprendente data la biografia politica del neosegretario, è l’orientamento di chi domenica si è presentato negli oltre 7 mila gazebo allestiti in tutta Italia. Rispetto alle primarie del 2017 (che incoronarono Matteo Renzi per la seconda volta), la componente che si colloca a sinistra è passata dal 19 al 41 per cento, mentre quella di centrosinistra scende dal 65 al 49 per cento.
Tav, vertice tra il premier e i leader. La Gazzetta ufficiale ha finalmente pubblicato la delibera del 10 dicembre 2018 della commissione intergovernativa Italia-Francia, firmata a suo tempo dai commissari Paolo Foietta (ormai ex) e Louis Besson, che modifica il regolamento dei contratti per la realizzazione dell’Alta velocità ferroviaria Torino-Lione. E questo passo — necessario per non bloccare il complesso iter amministrativo che fa da cornice ai cantieri della Tav — arriva a soli sette giorni dalla scadenza di lunedì 11 marzo, quando il cda della Telt dovrà per forza decidere sui bandi di gara pena la perdita immediata di 300 milioni di finanziamenti Ue. La macchina amministrativa, dunque, non si può fermare tanto facilmente. Anche perché per gli alti burocrati del ministero delle Infrastrutture si potrebbe ravvisare un danno erariale. Per questo il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e i suoi vice, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, hanno convocato per stamattina a Palazzo Chigi il ministro Danilo Toninelli (M55), per provare a mettere a punto una «exit strategy» in modo da evitare guai seri alla tenuta di un governo all’interno del quale sulla Tav si contrappongono M55 e Lega . L’idea sarebbe quella di confermare la pubblicazione dei bandi per l’11 marzo per poi prendere tempo nel successivo periodo di sei mesi, a cavallo delle Europee di fine maggio, in cui verranno presentate le manifestazioni di interesse per gli appalti. «Il governo non rischia, vedo un punto di incontro, prevarrà il buon senso», è il mantra di Matteo Salvini. Eppure ora il bersaglio, anche del «fuoco amico», potrebbe essere il ministro Toninelli perché contro di lui si è scatenata, senza essere bloccata dai vertici, la base piemontese del Movimento («Non firmi i bandi»); e, in più, già oggi il Pd chiederà la calendarizzazione della mozione di sfiducia individuale contro il ministro delle Infrastrutture. «Tutto ciò che ha a che fare con il tunnel di base per noi è incompatibile», è il refrain dei pentastellati. Salvini per ora continua a mostrarsi fiducioso e a confidare nel «buon senso». Il leader della Lega nega che la questione della Torino-Lione metta in pericolo il governo: «Ci stiamo lavorando, vedo sempre un punto d’incontro», sostiene. Ma per Salvini il presupposto resta la partenza dei bandi. Ecco perchè, in mancanza di una decisione, l’exit strategy che si sta preparando dentro Telt potrebbe essere d’aiuto tanto al vicepremier leghista che al suo omologo pentastellato: Salvini eviterebbe di essere accusato di complicità nel blocco dell’opera; Di Maio potrebbe scaricare la responsabilità dell’avvio delle gare sul Cda liberando così il Governo.
Politica estera
Macron: “Rivedere Schengen”. Un’agenzia europea per la protezione della democrazia, che invierà esperti europei in ogni Stato membro per proteggere le elezioni dagli attacchi degli hacker e dalle manipolazioni sulla Rete. Il divieto del finanziamento dei partiti politici europei da parte di potenze straniere. E ancora: ripensare lo spazio Schengen, obbligando tutti i paesi membri a rispettare le stesse condizioni, sia sul fronte del controllo alle frontiere che sul trattamento dei richiedenti asilo. Sono alcune delle proposte lanciate da Emmanuel Macron nella sua lettera aperta ai “cittadini d’Europa”. Un anno e mezzo dopo il famoso discorso della Sorbona in cui immaginava un percorso per la rifondazione dell’Ue, il leader francese ha deciso di rivolgersi direttamente agli europei in vista del voto del 26 maggio. Rispetto al discorso del settembre 2017, tutto è diventato più complicato per Macron, che ha dovuto fare i conti con una Germania sempre più riluttante, il cambio di governo in Italia, la dissidenza dei paesi dell’Est. Come già con l’intervista a Fabio Fazio domenica sera, Macron sceglie di scavalcare i governi e parlare ai cittadini. «Tra qualche settimana le elezioni europee saranno decisive per l’avvenire del continente», scrive. «Dalla seconda guerra mondiale, l’Europa non è mai stata così necessaria. Eppure non è mai stata così tanto in pericolo». La lettera di Macron propone un «Rinascimento europeo» intorno a tre ambizioni: libertà, protezione e progresso. Ed è proprio nello sviluppare le libertà su cui è fondata l’Ue che il leader francese mette sul tavolo alcune delle proposte più innovative, ad esempio la creazione di un’Agenzia per la protezione della democrazia, il divieto di finanziamenti stranieri ai partiti politici e nuove regole per mettere al bando i discorsi di odio e violenza in Rete. È chiaro che Macron punta così dritto contro la galassia dei nazionalisti. “Tra qualche settimana – scrive Macron – le elezioni europee saranno decisive per il futuro del nostro continente. Mai dalla Seconda guerra mondiale, l’Europa è stata così necessaria. Eppure, mai l’Europa è stata tanto in pericolo. La Brexit ne è l’emblema. Emblema della crisi dell’Europa, che non ha saputo rispondere alle esigenze di protezione dei popoli di fronte alle grandi crisi del mondo contemporaneo. Emblema, anche, dell’insidia europea. L’insidia non è l’appartenenza all’Unione Europea ma sono la menzogna e l’irresponsabilità che possono distruggerla. Chi ha detto ai britannici la verità sul loro futuro dopo la Brexit? Chi ha parlato loro di perdere l’accesso al mercato europeo? Chi ha evocato i rischi per la pace in Irlanda tornando alla frontiera del passato? II ripiego nazionalista non propone nulla; è un rifiuto senza progetto. E questa insidia minaccia tutta l’Europa”.
“Sospendiamo Orbán”. Il Ppe vota il 20 marzo contro il leader ungherese. È la sospensione la mossa del cavallo allo studio dei vertici del Partito popolare europeo per disarmare Viktor Orbán. Un congelamento di Fidesz, il partito del premier illiberale ungherese, fino alle europee. Un modo per tenere compatto il Ppe e non regalare ai sovranisti una vittima perfetta da spendere in campagna elettorale. La decisione finale non è ancora presa, ma questo è il progetto al quale in queste ore di fitte consultazioni stanno lavorando a Bruxelles i capi dei popolari, la fazione egemone in Europa che raggruppa i grandi partiti del centrodestra, dalla Cdu tedesca a Forza Italia passando per il Pp spagnolo. Ieri il presidente del Ppe, Joseph Daul, ha annunciato che «dodici partiti di nove differenti Paesi hanno chiesto l’esclusione o la sospensione di Fidesz». Dunque l’iniziativa partita giovedì dagli scandinavi ha colto nel segno e a firmare la richiesta che ieri ha portato alla procedura formale di espulsione sono stati anche i greci di Nea Demokratia, belgi, olandesi, lussemburghesi e portoghesi. «Tenere dentro Orbán per contenerlo non funziona più», spiegava l’europarlamentare svedese Anna Maria Corazza-Bildt, tra i promotori della campagna. Da anni Orbán è nel mirino delle forze moderate dei popolari per le sue politiche illiberali e xenofobe e le accuse di frodi sui fondi Ue. La situazione si è aggravata nell’ultima settimana con il lancio di una campagna contro il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, anch’egli del Ppe, e George Soros. La decisione ci sarà il 20 marzo dall’Assemblea politica dei popolari composta da 260 delegati di tutta Europa. Fedesz è già stato messo sotto accusa dal parlamento di Strasburgo per la sua politica di deviazione dai canoni essenziali dello Stato di diritto. Lo stesso presidente della Commissione di Bruxelles, Jean-Claude Juncker, ha espresso a più riprese censure severe contro la deriva autoritaria seguita da Budapest. Ma finora ai vertici del Ppe ci si è barcamenati sulla questione per ragioni di convenienza numerica: i deputati di Fedesz hanno reso più salda la maggioranza relativa dei popolari nell’attuale assemblea di Strasburgo.