Manovra. Anticipare il disegno della legge di Bilancio, secondo quanto filtra da persone vicine al ministro dell’Economia, non fa che complicare la soluzione di un rebus già di per sé difficile. Sembra dunque inevitabile che la spinta del vicepremier Matteo Salvini per aprire e chiudere in estate il confronto sul bilancio 2020 – per far passare una misura che poi si possa chiamare «flat tax» – non dia risultati. Tria controlla dati del bilancio attraverso la Ragioneria o il dipartimento delle Finanze, inclusi nel suo ministero, e il ministro è deciso a lavorare nei tempi soliti: durante l’estate si studiano le misure mentre si inizia a sapere sempre di più sulle entrate fiscali e l’andamento dell’economia; nella seconda metà di settembre il governo pubblica gli obiettivi; a metà ottobre vara la proposta di legge di Bilancio, che la Commissione Ue giudica a inizio novembre. Difficile dunque che la Lega o M5S riescano a produrre fatti compiuti prima di un confronto serio sui conti e sulle implicazioni di qualunque idea di «tassa piatta». Le polemiche su flat tax, 80 euro e cuneo occupano questa fase di riscaldamento del cantiere fiscale della manovra. Ma la maggioranza lavora anche a un ricco capitolo dedicato alle tasse locali, in cui dominano inevitabilmente le imposte sul mattone. Sul tema è scoppiata nelle scorse ore la solita battaglia fra i due partiti di governo. Il progetto di unificare Imu e Tasi è stato rilanciato dalla viceministra all’Economia Laura Castelli, esponente di punta dei Cinque Stelle, insieme all’ipotesi di una «local tax» per fondere i tributi minori; «ma l’unificazione di Imu e Tasi per ridurre l’imposizione immobiliare è un’idea della Lega», ha voluto precisare a stretto giro Massimo Bitonci, sottosegretario leghista al Mef. «Iasciate fare a noi, grazie!», chiude Bitonci. Schermaglie a parte, la fusione delle due imposte gemelle è prevista dal disegno di legge preparato da Alberto Gusmeroli, vicepresidente leghista in commissione Finanze alla Camera, per creare la «nuova Imu», superando il doppione Imu-Tasi che moltiplica tasse e burocrazia sullo stesso immobile. Il tutto punta a confluire in legge di bilancio, con due obiettivi che provano ad andare a braccetto.
Tav. Sono di nuovo giorni difficili per Luigi Di Maio, il sì alla Tav pronunciato dal premier Giuseppe Conte mette sotto pressione il capo politico M5S e nemmeno la trovata del voto in Parlamento riesce a placare la rabbia che monta dentro al Movimento. Il vice-premier gioca la carta della mozione sulla Tav per provare a uscire dall’imbarazzo. Il leader sa che il Movimento è in fibrillazione e quando legge l’affondo di Nicola Morra contro «il partito delle grandi opere», un attacco prontamente appoggiato da Alessandro Di Battista, capisce che è il momento di rilanciare. “Noi non ci arrendiamo – scrive a caratteri maiuscoli Di Maio – Noi pensiamo al paese, non facciamo regali a Macron”. Intanto però è partita dal ministero delle Infrastrutture la lettera diretta a Bruxelles con cui l’Italia dice sì alla Torino-Lione, ma manca la firma del titolare del dicastero, Danilo Toninelli. Di Maio comunque sa bene di essere nel mirino dei “movimentisti”. Morra su Facebook pubblica un post che smonta una per una le argomentazioni con le quali Conte ha giustificato il sì alla Tav: non è vero che ci sono penali, dice, non è vero che l’Europa aumenterà la propria parte di finanziamento. E “Dibba” apprezza subito: «La penso esattamente come lui». Il leader M5s usa la mozione per cercare di uscire dall’angolo: non volendo far cadere il governo, Di Maio si rimette al voto del Parlamento per poter dire che M5s ha fatto la sua battaglia fino in fondo, ma purtroppo è stato sconfitto da Lega, Fi e Pd. Lo strumento della mozione, poi, è stato preferito a quello della risoluzione perché meno impegnativo per Conte. Fonti M5s fanno trapelare: «C’è un asse Pd-Lega-Berlusconi a favore della Tav, lo stesso asse che è a favore dei finanziamenti a pioggia a giornali di partito». A partire dal 2013, il voto per i Cinque Stelle lassù ha sfiorato il 40%. Ora che anche il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha comunicato per lettera a Bruxelles il suo ok definitivo, confermando la sottomissione dei Cinque Stelle alle logiche di potere che promettevano di combattere, il movimento No Tav si trova rinchiuso in una posizione minoritaria; ostaggio degli incappucciati che sfogano la frustrazione con il ricorso a una violenza irresponsabile e velleitaria.
Politica interna
Sicurezza, ultimatum di Salvini a Di Maio. E’ l’estate dei sospetti, della guerriglia tra alleati, della debolezza di un governo che procede in affanno in attesa della vera prova autunnale, quando dovranno stringere sulla manovra economica e gli italiani sapranno se nel 2020 pagheranno meno tasse. Ma prima che cali il sipario parlamentare d’agosto, ci sono alcuni appuntamenti cruciali per capire se sarà evitata o meno la crisi di governo. E’ una commedia all’italiana che ieri è stata recitata pure di fronte all’uccisione del carabiniere Mario Cerciello Rega e che ha portato Luigi Di Maio a dire che a Roma, capitale grillina, le condizioni della sicurezza interna sono precarie. Un lungo intervento su Facebook sulla «sicurezza precaria nelle città» apre la polemica politica. «Si poteva evitare tutto questo? Io dico di sì». Così Di Maio entra nel merito di un argomento, la sicurezza, di stretta competenza del Viminale di Matteo Salvini: «Chi conosce città come Roma – scrive il vicepremier allargando la riflessione alle altre grandi città italiane – sa bene che ci sono condizioni precarie di sicurezza interna, che questi giri di droga, spaccio, violenza sono all’ordine del giorno. Lo Stato deve farsi un grande esame di coscienza». Immediata la reazione della Lega, coi sottosegretari Nicola Molteni e Jacopo Morrone che chiedono un’accelerazione del progetto di legge «Droga zero» che inasprirebbe le pene per i «piccoli spacciatori», impianto però non condiviso dai grillini. Mentre Salvini, che già il giorno dell’omicidio non aveva polemizzato sull’appello della sindaca Virginia Raggi («a Roma servono più agenti»), anche questa volta evita di rispondere direttamente all’alleato di governo: «Sperando che l’assassino non esca più di galera – ha scritto il leader della Lega – sempre ricordo ai buonisti che negli Stati Uniti chi uccide rischia la pena di morte. Non dico di arrivare a tanto, ma al carcere a vita (lavorando ovviamente) questo sì!». Anche il Pd alza i toni. Il segretario Nicola Zingaretti invita Salvini «a garantire la sicurezza anziché lucrare sulla cronaca nera».
Tensione al corteo No Tav. Tutto in tre ore. Tre ore per scaricare ufficialmente i Cinquestelle bollati come «traditori». Per ricompattare il movimento No Tav cresciuto dal basso. Per andare ad una prova muscolare che, alla fine è stata faticosa per tutti. Per chi ha tentato il solito assalto al cantiere dell’Alta velocità. E per chi lo ha difeso. Evitando in modo saggio quei corpo a corpo che finiscono sempre male. Tre ore. E il mondo No Tav è tornato indietro di anni. I vecchi leader nati in Val di Susa sono tornati attivisti e attivissimi. Per i No Tav la giornata della grande manifestazione contro la Torino-Lione, la prima dopo la svolta a favore dell’opera annunciata dal governo gialloverde inizia nel peggiore dei modi. «La lettera è partita», si sente dire tra vari padiglioni del campeggio di Venaus, dove il popolo contro l’alta velocità si è ritrovato per l’annuale Festival dell’alta felicità. La lettera inviata a Bruxelles è firmata dalla struttura del ministero dei Trasporti, ma non dal ministro Toninelli, cita però il discorso del premier Conte e rappresenta il via libera all’opera. E suona come una beffa a poche ore dalla marcia. «Ma cambia poco per noi», dicono a Venaus. Oggi ci faremo sentire, sembrano dire, incuranti della bomba d’acqua che si è abbattuta sulla Valle di Susa. «Si parte lo stesso, abbiamo sfilato anche con la neve», annunciano al megafono. «Siamo quindici mila», dicono dalla testa della marcia mentre imboccano il sentiero gallo-romano per raggiungere la zona rossa del cantiere e sfondare le recinzioni. Tutti i manifestanti pronti a travisarsi quando si arriva davanti alle reti che presidiano il cantiere. Da Milano Marittima il ministro agli Interni Matteo Salvini segue passo passo, e twitta, quasi fosse una diretta: «46 denunciati, quasi tutti dei centri sociali tra cui i leader di Askatasuna. Ringrazio le forze dell’ordine che hanno evitato feriti e incidenti gravi, garantendo a tutti la libertà di manifestare. La Tav si farà, indietro non si torna». Che la Tav si faccia è una notizia che non fiacca la protesta. «Ora sfideremo Salvini sul terreno dei cantieri», promette Giorgio Rossetto
Politica estera
Usa, sì dell’Alta Corte al muro con il Messico. Another brick in the wall. Si, Donald Trump aggiunge un nuovo mattoncino al suo muro, proprio come cantavano i Pink Floyd. Anzi, due. Vittoria doppia per Donald Trump sul fronte dell’immigrazione: la corte suprema libera una parte dei fondi necessari per la costruzione del muro al confine con il Messico, e il Guatemala si accorda per accettare gli esuli di passaggio nel suo territorio che fanno richiesta di asilo. «Grande vittoria per la sicurezza dei confini e per il rispetto della legalità», si rallegra il presidente via Twitter, anche se una soluzione definitiva è ancora ben lontana all’orizzonte. La Corte Suprema era chiamata ad esprimere un suo parere sulla sentenza di tribunale ordinario che aveva bloccato l’idea di Trump di reperire 2,5 miliardi di dollari perla costruzione del muro, stornandoli dalla dotazione logistica del Pentagono. I giurati hanno votato (cinque contro quattro), per annullare la sentenza, in quanto il Sierra Club e altri gruppi di attivisti, che avevano impugnato il suo decreto non avevano diritto ad eccepirlo. La decisione lascia però aperto il campo alla coalizione di venti stati che nel frattempo hanno presentato un loro esposto presso la nona sezione della California, la bestia nera dell’amministrazione Trump, quella che notoriamente bastona le decisioni più controverse della Casa Bianca. In attesa di una nuova ingiunzione a desistere che potrebbe arrivare presto da questo fronte, Trump ha almeno sulla carta la facoltà di cominciare a costruire la cancellata di 160 chilometri che i soldi possono pagare. Finora gli interventi si sono limitati alle riparazioni della barriera eretta durante gli annidi Bush e di Obama alla presidenza. Un colpaccio per The Donald, che della lotta all’immigrazione clandestina ha fatto la base del suo programma politico. E ora esulta su Twitter: “Wow! Una svolta per la sicurezza e la Legge”.
Tornano le proteste a Mosca. Si riapre in Russia una stagione di proteste, e di tolleranza zero da parte delle autorità. La scintilla riparte da Mosca: dove una manifestazione non autorizzata dal Comune e iniziata nel pomeriggio in centro, davanti al Municipio sulla Tverskaja, si è conclusa con l’arresto di centinaia di persone. L’ultima cifra è di oltre mille fermati. A indire la manifestazione contro l’esclusione di una sessantina di candidati indipendenti dalle prossime elezioni del Parlamento locale era stato Aleksej Navalnyj. Una settimana prima aveva lanciato un ultimatum dal palco in Prospettiva Sakharov dove si erano raccolti ben 22.500 moscoviti, il più gran numero di dimostranti dalle oceaniche manifestazioni in piazza Bolotnaja dell’inverno 2011-2012. Se le candidature indipendenti non fossero state ammesse, aveva detto l’attivista 43enne, l’opposizione si sarebbe riversata in piazza ancora una volta. E così è stato. «La Russia sarà libera!», gridavano i manifestanti davanti ai massicci schieramenti di agenti in assetto antisommossa. Che, reagendo, hanno ferito almeno sei persone. La polizia ha fatto irruzione nello studio tv di Aleksej Navalny, bloccando la diretta web delle proteste. Navalny e diversi altri oppositori erano già stati arrestati poco prima della manifestazione: Ilia Yashin, Liubov Sobol, Dmitry Gudkov, Ivan Zhdanov, tutti dissidenti a cui la Commissione elettorale non permette la candidatura. Ad alcuni di loro è stata perquisita la casa. L’accusa questa volta potrebbe essere più grave della solita “organizzazione di una manifestazione non autorizzata”: per “ostruzione al lavoro delle commissioni elettorali” gli organizzatori della protesta rischiano fino a cinque anni di reclusione.