Economia e finanza
Il piano di Tria per la crescita Un piano shock per tentare di rilanciare la crescita economica con incentivi fiscali, semplificazioni, nuovi investimenti e lo sblocco degli appalti. Senza alcuna correzione dei conti pubblici, che in questo momento sarebbe controproducente. Il piano del ministro dell’Economia, Giovanni Tria non prevede una manovra «bis», nonostante il peggioramento della congiuntura, ma un’azione articolata di rilancio. Invece di stringere la corda, Tria è pronto a mettere sul piatto nuove risorse per dare slancio all’attività e tentare di ribaltare, nel secondo semestre, l’andamento dell’economia, entrata in recessione in questo 2019. La spesa per interessi sta mostrando un profilo positivo, migliore di quanto preventivato, e da lì qualcosa si potrebbe risparmiare. Lo stesso pescando eventuali residui di spesa dai «fondoni» di Quota 100 e Reddito di cittadinanza, che difficilmente verranno esauriti quest’anno. II piano di Tria prevede un po’ di spesa aggiuntiva, da utilizzare ad esempio per rifinanziare a giugno il fondo da 400 milioni di euro per i piccolissimi comuni previsto dall’ultima legge di Bilancio, che è già finito, e per finanziare un nuovo piano di incentivi fiscali alle imprese. Ma punta soprattutto su innovazioni normative d’impatto, come sugli appalti pubblici. Tria ipotizza anche di stanziare nuove risorse per finanziare il super ammortamento degli investimenti delle imprese, una misura che ha funzionato bene, ma che scade a giugno. E di rafforzare i meccanismi della nuova Sabatini, che incentiva l’acquisto di beni strumentali da parte delle aziende. Il pacchetto allo studio del Mef punta anche su un nuovo taglio al costo del lavoro, con un’ulteriore riduzione dei premi pagati dalle imprese per l’assicurazione contro gli infortuni all’Inail, già tagliati dalla legge di Bilancio, e il rafforzamento del fondo di garanzia per le piccole e medie imprese.
Flat tax familiare, il progetto della Lega La Lega pensa a un pino di riduzione della pressione fiscale da presentare prima delle elezioni europee. «Nella manovra economica per il 2020 vogliamo passare alla fase due della flat tax che riguarda le famiglie», spiega Armando Siri che sta lavorando al progetto chiamato «Reddito familiare» e che verrà portato dopo l’estate sul tavolo degli alleati di governo. La nuova curva dell’Irpef non verrebbe più disegnata sul singolo contribuente, ma sulla famiglia fiscale. In questa nuova categoria rientrerebbero le situazioni più disparate, non solo quelle di persone legate dal vincolo matrimoniale, ma qualunque tipo di convivenza regolarmente registrata, anche quella ad esempio di un nonno con i nipoti. L’aliquota unica del 15% verrà applicata ai redditi fino a 50 mila euro, sommando tutti quelli del nucleo familiare. Verrebbero cancellate tutte le detrazioni e i bonus attuali, sostituendoli con le deduzioni che aumenterebbero in maniera inversamente proporzionale al reddito e al numero dei figli. Più basso sarà il reddito e maggiori saranno le deduzioni. In questo modo verrebbe rispettato il principio della progressività previsto dall’articolo 53 della Costituzione.
Politica interna
Memorandum con la Cina, nuove tensioni tra Lega e 5 Stelle Il memorandum con la Cina continua a dividere gli alleati di governo: da un lato il «cinese» Di Maio che vorrebbe intestarsi il primo successo in politica estera con la firma del «memorandum» con Xi Jinping; dall’altro, l’«amerikano» Salvini che, dopo aver dato un forzato «ok» all’accordo («questi 5S hanno rotto con i loro metodi», si sarebbe sfogato Matteo), spera di diventare garante per conto di Washington (per grazia ricevuta dal sottosegretario Giorgetti). Ancora ieri, il capo del Carroccio dalla Lucania garantiva che «non ci sarà alcun problema con gli Stati Uniti», mentre ancora faceva un po’ di voce grossa con gli alleati: «Voglio controllare chi viene a investire in Italia, su cosa vuole investire e che non siano settori così strategici per la sicurezza nazionale… L’interesse economico è importante, la sicurezza nazionale è decisiva. O vanno di pari passo, oppure la sicurezza viene prima di tutto, prima del business».
Pd, oggi l’Assemblea Nazionale Nella relazione che leggerà oggi all’assemblea nazionale, il nuovo segretario Zingaretti cercherà di sollecitare l’orgoglio di partito. «Pensavano che fossimo morti e invece ora siamo di nuovo in campo e ce la giochiamo», non smette mai di ripetere. Ma per giocarsela è necessario che il partito sia unito. Perciò Zingaretti insisterà su questo tema. Ci sono le Europee alle porte («e possiamo riuscire a sorpassare i 5 Stelle», confida agli amici) e le amministrative (si vota in 4 mila Comuni). E domenica prossima ci sono le Regionali in Basilicata. La prima prova elettorale del segretario, il quale ha deciso di metterci la faccia e infatti lunedì pomeriggio sarà a Potenza. Intatnto, data per scontata l’elezione di Gentiloni alla presidenza del partito, si registrano le prime defezioni. Giachetti e i suoi hanno già deciso che non voteranno per Gentiloni. I renziani di Guerini e Lotti invece stanno ancora trattando. Dopo il via libera di Matteo Renzi (che oggi non ci sarà), alla elezione di Paolo Gentiloni, Zngaretti ha proposto una gestione unitaria del partito: offrendo un ingresso in segreteria in cambio di una sostituzione soft del capogruppo alla Camera Graziano Delrio con Andrea Orlando, capo della sinistra Pd: ma Luca Lotti, che guida la corrente renziana, ha rifiutato l’offerta.
Politica estera
Gillet gialli La furia devastatrice dei casseurs travolge gli ChampsElysées, l’avenue simbolo di Parigi, nel giorno della 18/a mobilitazione dei gialli, una nuova fiammata di violenze dopo diversi sabati di proteste relativamente tranquille. Scene di guerriglia urbana e scontri ultraviolenti tra manifestanti e polizia, con negozi e locali simbolo del lusso come il ristorante Fouquet’s dati alle fiamme al grido di «rivoluzione!». «Venire a Parigi per scontrarsi con la polizia è inaccettabile»: ha tuonato il premier Edouard Philippe, che è sceso in piazza a pochi metri dagli scontri, accusando tutti coloro che incoraggiano e giustificano queste azioni e così facendo se ne rendono «complici». «Gli individui che hanno commesso questi atti non sono né manifestanti né teppisti, sono degli assassini», gli ha fatto eco il ministro dell’Interno, Christophe Castaner, che intorno alle 20 ha fatto un sopralluogo sugli Champs Elysees dove rimanevano alcuni focolai di protesta. Secondo i dati del ministero il «XVIII atto» della protesta cominciata il 17 novembre 2018, quattro mesi fa, ha visto scendere in piazza 32 mila persone in tutta la Francia, delle quali 10 mila a Parigi (sabato scorso erano state rispettivamente 28 mila e 3.000). A Parigi ci sono stati circa 250 fermi, 42 feriti tra manifestanti e 17 tra le forze dell’ordine. Intanto si apprende che Il vicepremier italiano Luigi Di Maio, che il 5 febbraio aveva incontrato a Montargis uno dei portavoce dei gilet gialli provocando una crisi diplomatica senza precedenti con la Francia, ieri ha telefonato all’ambasciatore Christian Masset per prendere le distanze dalle violenze commesse oggi.
Strage in Nuova Zelanda La Nuova Zelanda è un paese sotto choc dopo il più grave attentato della sua storia. Ieri il primo ministro Jacinda Ardern Ieri ha reso omaggio alle 50 vittime e per mandare un messaggio più forte ha indossato un velo nero in testa nell’incontro con i rappresentanti delle comunità musulmane che raggiungono solo l’1% della popolazione della Nuova Zelanda (4,25 milioni di abitanti). Non lontano, in un’aula blindata del tribunale lo show dell’orrore di Brenton Tarrant è continuato. Taglio militare, tunica bianca da prigioniero, piedi nudi, sorrisi sprezzanti davanti ai giudici e sguardi di sfida. E quel gesto di «ok» al contrario da molti interpretato come «vittoria» nel gergo dei suprematisti bianchi e da altri come un messaggio in codice. Dieci minuti prima della mattanza, il ventottenne australiano ha spedito via mail il suo delirante manifesto all’ufficio del primo ministro mettendo in copia anche alcuni parlamentari e media locali. Continua la caccia a eventuali complici, ma sia la polizia che la Ardern hanno confermato che Tarrant ha sparato da solo colpendo indiscriminatamente anche donne, bambini o anziani. Dopo essersi concentrato sul primo obiettivo ha guidato per sette minuti per raggiungere il centro islamico di Linwood prima di essere arrestato dopo 36 minuti dalla prima chiamata di intervento. «Se non lo avessero fermato avrebbe ucciso ancora» ha spiegato la premier aggiungendo che cambierà le leggi sulla detenzione di armi vietando quelle semi-automatiche.