Politica interna
Proiezioni elettorali. Matteo Renzi non sembra vivere con particolare apprensione la vigilia della kermesse della sinistra che oggi a Roma, per acclamazione, incoronerà come suo leader il presidente del Senato. «Era abbastanza scontato che andasse a finire così, io avevo capito che Grasso era tentato da questa avventura. E mi sembrava anche ovvio che i vari Bersani e D’Alema non potessero presentarsi loro in prima persona», spiega al telefono a qualche amico il segretario. E poi aggiunge: «Comunque basta vedere i sondaggi per notare come, da quando ha annunciato l’impegno in politica, Grasso stia scendendo nei sondaggi. Ma anche questo era ovvio». Del resto, Renzi rimane convinto di una cosa: «L’elettore di sinistra, alle elezioni, ci penserà bene prima di favorire il centrodestra».
Ci sono un obiettivo e una tentazione, nel futuro prossimo del Movimento 5 Stelle. Con la nuova legge elettorale e con le diffidenze e le riserve persistenti, difficilmente raggiungerà percentuali tali da permettergli di governare. L’obiettivo, dunque, è una vittoria minore ma ugualmente ambiziosa: avere seggi sufficienti per impedire che si formi un esecutivo senza o peggio contro la formazione di Luigi Di Maio e di Davide Casaleggio. In quel caso diventerebbe prepotente la vera tentazione dei Cinque Stelle, accarezzata per non restare fuori dai giochi: appoggiare un «governo del presidente», se di fronte al pericolo dell’ingovernabilità il capo dello Stato, Sergio Mattarella, dovesse fare un appello al senso di responsabilità di tutte le forze politiche. È una ipotesi appena accennata, e tenuta di riserva, sapendo che gli effetti del sistema elettorale rappresentano un’incognita. Ma tutti i sondaggi, ufficiali e riservati, concordano nel ritenere improbabile che emerga dalle urne una maggioranza.
Manovra. La discussione appena terminata in Senato sulla legge di Bilancio (ora tocca alla Camera) ha dimostrato ancora una volta che la discussione sull’opportunità di introdurre un vincolo di mandato per deputati e senatori — espressamente vietato dall’articolo 67 della Costituzione — è del tutto oziosa. Certo, se ci fosse quel vincolo non avremmo assistito finora, in questa legislatura, alla transumanza di 343 parlamentari da un gruppo all’altro. E spesso in più di uno. Ma la marea di piccoli provvedimenti approvati al Senato, alcuni assolutamente necessari per carità, a favore di questo o quel gruppo d’interesse o delle comunità di origine o riferimento degli eletti, ha confermato ancora una volta che i vincoli esistono.
Politica estera
La riforma fiscale di Trump. Donald Trump prova a rilanciare la sua presidenza con «il taglio di tasse più grande della storia». (Il secondo in realtà, dopo Ronald Reagan nel 1886). I repubblicani hanno approvato la riforma fiscale al Senato, perdendo un solo voto, quello di Bob Corker, ormai stabilmente all’opposizione. Un dato politico sottolineato dal presidente con un tweet celebrativo: «Grazie ai repubblicani della Camera e del Senato per il loro lavoro e Moro impegno». È un risultato oggettivamente importante che Trump rovescia subito nella sua campagna elettorale permanente, parlando a un evento per raccogliere fondi a New York: «Sono imbattibile alle prossime elezioni. Ai democratici costerà cam non aver appoggiato il taglio delle tasse».La misura prevede la riduzione dell’aliquota sulle imprese, che passa dal 35 al 20%. Scatterà a partire dal 2019 e sarà permanente. Secondo l’amministrazione di Washington, è la frustata che renderà più competitive le aziende americane e che convincerà quelle imprese che se ne erano andate negli anni scorsi a rientrare sotto l’ombrello tributario statunitense. La ricchezza reale degli Usa dal 2000 è cresciuta a un tasso medio del 2%, giudicato sluggish: fiacco. Lawrence Kudlow, economista che lavorò con Ronald Reagan, scrive che questa riduzione della pressione fiscale farà tomare soldi che oggi stanno all’estero e «riporterà la crescita economica al suo valore storico del 3-4%, beneficiando tutte le categorie, perché «quando la marea sale alza tutte le barche». Quel 2% di crescita che gli americani disprezzano noi ce lo sogniamo: negli ultimi dieci anni il Pil italiano è sceso di sette punti. Chi si candida per guidare il Paese avrebbe ottimi motivi per proporre una ncena simile a quella di Trump, uno shock fiscale capace di sprigionare la ricchezza privata.
Raid israeliano a Damasco. Dopo la mezzanotte di ieri, i jet dell’aviazione hanno colpito una base in costruzione, caserme e magazzini che gli iraniani starebbero allestendo alla periferia sud di Damasco, nell’area di Al Kiswa. I chilometri che contano per Liberman non sono i tredici dalla capitale siriana — dove i satelliti hanno individuato i nuovi edifici — ma i cinquanta dal confine, tra Israele e la Siria.
Il governo israeliano pretende che i miliziani e i consiglieri inviati dagli ayatollah si ritirino. Lo ha ripetuto in novembre Gadi Eisenkot, il capo di Stato maggiore, in un’intervista a un giornale saudita: «Teheran rappresenta la minaccia più grave». Sono le parole che a Riad vogliono sentirsi dire, in questa sfida all’espansionismo sciita. II raid è arrivato prima dell’alba di ieri. Il complesso militare colpito è un obiettivo sensibile, perché l’Intelligence israeliana sospetta che in quell’area gli iraniani stiano allestendo una propria base che potrebbe ospitare, oltre a numerosi depositi di armi, anche militari di Teheran. Tanto che, secondo la testata libanese Al-Mustaqabal, «dodici iraniani» sarebbero rimasti uccisi nel bombardamento.
Economia e finanza
Cgil in piazza contro la manovra. «Al lavoro e alla lotta». Perché, scandisce Susanna Camusso dal palco romano di piazza del Popolo, «la priorità della Cgil è e resta l’occupazione». E allora, avanti tutta: «La mobilitazione continua, non ci fermiamo qui». Collegata con le altre piazze della protesta, Torino, Palermo, Bari e Cagliari, nel giorno della manifestazione nazionale, la leader cgil da Roma ribadisce il no del suo sindacato alla manovra economica e all’aumento dell’età pensionabile a 67 anni: «Ci hanno raccontato dei numeri che non tornano: doveva essere una manovra sociale, e invece è in perfetta continuità con il passato». Manca tutto, secondo Camusso: «Non ci sono soluzioni previdenziali per le lavoratrici; mancano certezze e risorse per i giovani; assente il capitolo su salute e sanità e quello sulla non autosufficienza; dove sono le risorse per gli esodati?». Quella di ieri è stata sì la piazza rossa, per via del colore delle bandiere, dei cappellini, delle felpe, dei palloncini, degli ombrelli, degli impermeabili e dei caschi, ma pure la piazza delle coincidenze, anch’esse rosse. E di una costante: il ruolo e il peso che il sindacato italiano ha sempre avuto nelle dinamiche della politica. La Cgil non si farà assorbire dal movimento nascente, non sarà il sindacato ancillare di una forza politica destinata ad essere minoranza”.
Discoccupazione giovanile. Italia ha grande necessità di crescere, di trovare un proprio solido percorso di sviluppo in questo secolo. Siamo finora riusciti a farlo meno delle altre economie avanzate, dovremmo invece crescere di più per non sprofondare sotto il peso combinato dell’enorme debito pubblico e dell’accentuato invecchiamento demografico. Per uno sviluppo competitivo abbiamo bisogno soprattutto di nuove generazioni ben preparate, efficacemente presentate all’interno del mercato del lavoro, al meglio inserite ad ogni livello del sistema produttivo, in particolare nei settori più dinamici e innovativi. Detto in altro modo, le condizioni del Paese rendono ancora più vitale e strategico investire sulle opportunità per i giovani. Lo stiamo facendo? A parole forse, ma molto meno con i fatti. Nel corso della recessione è cresciuto enormemente il tasso di disoccupazione giovanile.