Politica Interna
Centrosinistra. «La speranza è l’ultima a morire», sospira Piero Fassino. E, per quanto stremato da giorni di incontri e decine di telefonate, il costruttore di ponti tra il Nazareno e il cantiere della nuova sinistra ancora non si arrende. Diritti del lavoro, diseguaglianze, ius soli, legge di bilancio? Basta trovare «le misure e gli strumenti» e il gioco è fatto. Il pontiere ha chiamato Roberto Speranza e ha intonato ancora un appello all’unità. Ma il coordinatore di Mdp non gli ha lasciato margine di manovra e si è limitato a promettere «la cordialità di un incontro». La mini-delegazione che oggi a metà mattinata vedrà Fassino alla Camera sarà formata da Giulio Marcon per Sinistra italiana e Possibile e da Cecilia Guerra per Mdp. L’ex sindaco chiederà «un confronto senza tabù», ma la presidente dei senatori bersaniani ha ben chiare «le enormi differenze di merito tra le nostre proposte e quelle del Pd». A meno di sorprese, l’epilogo delle trattative a sinistra sembra segnato. Ci sarà un’area egemonizzata dal Pd di Matteo Renzi; e un «cartello» alternativo col presidente del Senato, Piero Grasso, nel ruolo di guida. Soprattutto, l’impressione è che si assisterà a uno scontro per conquistare ogni singolo voto nello stesso serbatoio elettorale. I tentativi di mediazione sono arrivati fuori tempo massimo. E la riproposizione dell’unità in versione Ulivo è stata disdegnata troppo a lungo per farla apparire credibile.
Berlusconi. «La condanna per frode fiscale non ha niente a che vedere con l’esercizio delle pubbliche funzioni di Silvio Berlusconi», scrivono gli avvocati dell’ex premier. Aggiungono che nel 2013 «non c’era alcuna necessità di spogliare Berlusconi del suo mandato di senatore per un reato presumibilmente commesso 15 anni prima e per il quale ha già scontato la pena». Fino all’affondo finale: «La sola ragione per adottare una così severa misura era silurare un leader politico che per molti anni ha goduto, e soprattutto continua a godere, della fiducia di milioni di elettori italiani». Anche tra le più sofisticate argomentazioni di diritto si può trovare una sponda per le polemiche politiche a cui siamo tanto abituati in Italia. E alla fine approdano anche qui, a Strasburgo, nel palazzo dove i giudici dei 47 Stati che hanno aderito alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti e delle libertà fondamentali decidono sui ricorsi dei cittadini che si ritengono vittime di violazioni nel proprio Paese. Ma Silvio Berlusconi non vuole che il suo ruolo e la sua centralità in campagna elettorale vengano limitati da un verdetto che potrebbe non arrivare affatto in tempi utili per il voto. Per questo conferma — intervistato da Nicola Porro a Matrix su Radio 105 mentre si trova a Merano per qualche giorno di remise en forme — che «indipendentemente dalla candidabilità, sarò in campo per portare il centrodestra al governo del Paese».
Politica Estera
Germania. Le redini della crisi politica tedesca sono nelle mani del presidente federale Frank-Walter Steinmeier. E il cavaliere bianco che cerca di salvare una legislatura votata il 24 settembre e già in crisi. Vorrebbe che il suo partito, la Spd, fosse protagonista di questo salvataggio: il leader dei socialdemocratici Martin Schulz è però rigido, vuole stare all’opposizione e ieri ha assistito a una prima mezza rivolta tra i suoi compagni. Esperienze nuove per la Germania. Lunedì, poche ore dopo che i colloqui per formare una coalizione di governo tra quattro partiti erano falliti, Steinmeier ha incontrato Angela Merkel. Ieri visto i Verdi di Cem Özdemir, i Liberali di Christian Lindner e la bavarese Csu di Horst Seehofer. Gli rimane da incontrare i socialdemocratici (le ali estreme della Linke e di Alternative für Deutschland sono fuori dai giochi). La Spd di Schulz, il candidato che l’ha guidata al minimo storico del 20,5% alle elezioni, avrebbe dovuto presentarsi oggi a palazzo Bellevue ma il colloquio è stato rinviato a domani. Si tratta del confronto più delicato delle consultazioni: i socialdemocratici sono divisi su come affrontare la situazione e ieri, in una riunione al Bundestag, molti parlamentari hanno accusato Schulz di eccessiva rigidità nel volere stare all’opposizione. Il politologo Gero Neugebauer dice: «Credo poco a una Grande coalizione. Se non ci fosse Merkel, riterrei anche possibile un governo di minoranza, esistono precedenti in Olanda o nei Paesi scandinavi. Ma è più probabile che si torni al voto».
Mugabe. Il “compagno Bob”, come fino a pochi giorni fa ancora lo chiamavano i veterani della guerra d’indipendenza, o “il laureato in violenza” come amava lui stesso definirsi durante le sue sterminate condoni, ha finalmente fatto un passo indietro. A una settimana dal giorno in cui è stato deposto dai militari con un colpo di Stato che nessuno ha il coraggio di definire tale, il presidente Robert Gabriel Mugabe si è finalmente dimesso, riconoscendo di fatto la costituzionalità del golpe che l’ha rovesciato. Per farlo, ha inviato una lettera al Parlamento, nelle ore in cui il partito di governo, lo Zanu-Pf, aveva appena avviato la procedura d’impeachment nei confronti dell’anziano dittatore di 93 anni, che negli ultimi 37 ha governato il Paese con il pugno di ferro. Milioni di persone hanno festeggiato la notte intera in tutto lo Zimbabwe la decisione di Robert Mugabe di dimettersi dalla guida del Paese.
Economia e Finanza
Avvertimento Ue. Immancabilmente, come è ormai consuetudine, l’annuale opinione relativa alla Finanziaria italiana, attesa per oggi qui a Bruxelles, è circondata da dubbi e incertezze. Vorrà la Commissione europea continuare a usare la mano leggera, come in passato, per salvaguardare una fragile ripresa economica e precari equilibri politici? O deciderà di usare la mano pesante, proprio mentre l’economia italiana è tornata a crescere? La prima ipotesi è da privilegiare. L’opinione di bilancio prevista per oggi è l’occasione per l’esecutivo comunitario di dare una sua valutazione sulle Finanziarie in discussione nei vari parlamenti nazionali. L’obiettivo è eventualmente di correggere il tiro in corso d’opera, sempre nel tentativo di risanare i conti pubblici nazionali e assicurare una maggiore convergenza tra le economie. «La Commissione europea invita le autorità italiane a prendere le misure necessarie ad assicurare il rispetto delle regole del Patto di stabilità e crescita». Ecco la manovra bis che si materializza. La correzione sarà di almeno 5,1 miliardi, vale a dire lo 0,3% del Pil. Ma non per l’immediato, bensì per maggio. A carico del prossimo governo. Oggi è il giorno della pagella europea sui conti pubblici italiani, questa volta accompagnata da una lettera politica nella quale Bruxelles chiederà all’esecutivo Gentiloni di impegnare il Paese, a prescindere da chi lo guiderà dopo le elezioni, a correggere il deficit per abbassare il debito pubblico.
Pensioni. Sulle pensioni il governo gioca d’anticipo. Dopo l’incontro di ieri con i sindacati, l’orientamento è presentare nei prossimi giorni l’emendamento al disegno di legge di Bilancio per «salvare» le 15 categorie di lavori gravosi dallo scatto dell’età pensionabile, che dal 2019 salirà di altri cinque mesi per arrivare a 67 anni. Ma nello stesso tempo emanare il decreto direttoriale, atto amministrativo che non passa in Parlamento, che formalizza lo scatto per tutti gli altri come effetto dell’allungamento della speranza di vita. Una mossa pensata non solo per dire a Bruxelles e ai mercati internazionali che la riforma della previdenza non viene smontata. Ma anche per disinnescare gli emendamenti già presentati da diversi parlamentari sempre al ddl di Bilancio per rinviare a dopo il voto di primavera la decisione sull’innalzamento a 67 anni, che per legge va presa entro dicembre. La spaccatura sindacale sulle pensioni è lo specchio della fase confusa che sta attraversando l’Italia. Certo, la Cgil ha tutto il diritto di distinguersi da Cisl e Uil, così come ha il diritto di andare in piazza all’inizio di dicembre anche da sola, se ritiene che la sua battaglia sia giusta nel merito. Eppure, di fronte alle concessioni tutt’altro che marginali di Gentiloni, è difficile non pensare che ci siano anche altre ragioni al fondo della posizione intransigente assunta dal sindacato un tempo legato al Pci.