Politica interna
Emiliano resta nel Pd e sfida il leader. Il finale della telenovela lo aveva scritto sabato Michele Emiliano, quando dal palco del teatro Vittoria aveva strappato risate alla platea: «Con Speranza e Rossi abbiamo stretto un patto, anche se poi magari li fregherò…». La «fregatura» per i leader della scissione arriva nel primo pomeriggio di ieri, tra riunioni segrete e ultime mediazioni a cui nessuno crede. Il presidente della Puglia, dopo un incontro con Speranza, seguìto da una riunione in via Barberini con i suoi parlamentari, si presenta in direzione nazionale e annuncia che sfiderà Matteo Renzi al congresso. La scelta del governatore, dopo tre giorni di tormenti e trattative dietro le quinte, scatena l’ira (e il sollievo) dei fuoriusciti. Enrico Rossi, che lunedì aveva atteso invano una telefonata di «Michele», se lo aspettava: «Per me una cosa così non è normale, ma ognuno ha il suo carattere». A Montecitorio i deputati ironizzano sui tentennamenti del presidente della Puglia e sulla «scissione della scissione». Intervistato dal Corriere della Sera il governatore della Puglia dice: Rimango perché ho visto che Renzi era felice che me ne andassi. Allora mi sono detto che stavo sbagliando tutto. Il campo di battaglia è il Pd».
Roberto Speranza – invece – non cambia idea e annuncia la formazione di un nuovo partito mentre Guglielmo Epifani si sta incaricando di chiamare i deputati della minoranza per convincerli a formare un nuovo gruppo. Non è chiaro quante siano le adesioni ma forse un po’ meno del previsto e questo spiegherebbe anche la reazione nervosa di Speranza contro Emiliano: «Si candida nel PdR, partito di Renzi». Massimo D’Alema su Rai3 ospite della trasmissione «Cartabianca» di Bianca Berlinguer, ha detto: «Io rappresento un mondo che per Renzi non voterebbe mai». E poi, tranchant, nello stile inconfondibile: «L’elemento divisivo è Renzi. Rimosso Renzi, il centrosinistra tornerà ad essere unito».
E intanto Matteo Renzi vola in California per imparare dai «più bravi a creare lavoro e crescita» e lascia senza rimpianti le polemiche che coinvolgono il Pd. Un viaggio preparato da tempo. «Non posso farmi fermare dalla palude», spiega ai suoi . Secondo il segretario dimissionario i motivi della scissione «sono difficili da comprendere». E ai compagni che se ne vanno Renzi lancia questo monito: «Si vince prendendo voti, non mettendo veti».
Taxi, gli scontri poi l’accordo. Alle bombe carta e ai saluti romani dei tassisti-ultrà davanti al Parlamento e alla sede del Pd, il governo risponde prima con il voto di fiducia imposto in Aula sul decreto Milleproroghe che ha scatenato la guerra dei taxi contro l’anno in più (il 2017), concesso senza imporre regole a Uber e agli autisti ncc. Poi, in serata, quando era ancora in atto l’assedio al ministero dei Trasporti, dove dal mattino si svolgeva la trattativa, è arrivata la mediazione del ministro Delrio: il verbale firmato da 21 sigle sindacali prevede l’immediata fine della serrata e l’impegno del governo a varare un decreto interministeriale entro 30 giorni (contro gli abusivi) e un successivo intervento organico in materia di trasporto con conducente. Il viceministro Riccardo Nencini conferma: 21 sigle «sono pronte a interrompere il blocco del servizio». «Noi dialoghiamo sempre — ha quindi chiosato il premier Gentiloni — ma non se si usa la violenza e si colpiscono i cittadini». In tarda mattinata in concomitanza con il tentativo non certo pacifico di occupare la sede del Pd al Nazareno (rispetto al quale gli ambulanti si sono dissociati), ci ha pensato la sindaca Virginia Raggi (M5S) a non far mancare una solida sponda ai manifestanti: lFassisti siamo con voi, no alle riforme calate dall’alto», ha detto la prima cittadina grillina incontrando una delegazione di tassisti fatta affluire ai piedi del Campidoglio. E anche Beppe Grillo ha soffiato sul fuoco: «Blocchiamo la porcata Pd contro i tassisti». Più o meno sullo stesso spartito, pur condannando le violenze, si sono sintonizzate le dichiarazioni di Fabio Rampelli (Fratelli d’Italia), Barbara Saltamartini (Lega), Stefano Fassina (Sinistra Italiana) e Nunzia Di Girolamo (Forza Italia). La Digos indaga per capire il livello di infiltrazione del-l’estrema destra nei sit-in e nei cortei fra Montecitorio, Fontana di Trevi, via del Tritone e ministero dei Trasporti. Gli investigatori diretti da Mauro Fabozzi partono con le loro considerazioni dai due arresti di ieri per resistenza e violenza a pubblico ufficiale: Giuliano Castellino, 40 anni, storico leader prima del «Popolo di Roma», poi dirigente della Destra e segretario romano di Fiamma Tricolore, capo del Movimento sociale europeo e adesso di «Roma ai romani», sigla vicina a Forza Nuova, e il suo vice Claudio Ciaburro.
Politica estera
Francia, Le Pen si rafforza al primo turno e riduce il distacco al ballottaggio. L’ultima operazione d’immagine di Marine Le Pen le è stata offerta su un piatto d’argento. In visita in Libano, dove la leader del Front National ha incontrato il presidente Michel Aoun e il premier Saad Hariri, avrebbe dovuto essere ricevuta ieri mattina dal “gran mufti” di Beirut, Abdellatif Deriane, la più alta autorità sunnita del Paese. All’ingresso del Dar al-Fatwa le hanno consegnato un velo per coprirsi il capo, che lei ha sdegnosamente (e opportunamente, davanti a un nugolo di telecamere) rifiutato: «Non l’ho indossato nel 2015, quando ho incontrato il grande imam del Cairo Ahmed al-Tayeb, e certo non lo indosso oggi. Né mai lo farò». La “notizia” e le immagini, immediatamente rilanciate dal suo braccio destro Florian Philippot, si sono trasformate in un eccellente spot pubblicitario nei confronti del suo elettorato. Che sembra sempre più solido, più convinto e totalmente impermeabile a qualsiasi polemica che riguardi la candidata del Fronte alle presidenziali (come quella sul presunto lavoro fittizio da assistente parlamentare al Parlamento europeo del suo “bodygard”). Come peraltro confermano i sondaggi. Non solo la Le Pen rafforza la posizione in testa al primo turno (tra il 27 e il 28%, in aumento di un paio di punti), ma riduce ogni giorno il distacco dai più diretti avversari al ballottaggio del 7 maggio.
«Un magnifico messaggio di libertà ed emancipazione inviato alle donne francesi e di tutto il mondo». Florian Philippot, braccio destro di Marine Le Pen, commenta via Twitter il gran rifiuto della leader del Front National, definito dalle autorità religiose sunnite libanesi un gesto «inappropriato». L’ufficio libanese insiste: «E risaputo, ogni volta che si visita il muftì bisogna indossare il velo». Parlano di «comportamento inadeguato al contesto» e «di aver avvertito in tempo lo staff di Le Pen». «La richiesta è arrivata ieri (lunedì, ndr) e abbiamo fatto sapere che non lo avrebbe indossato», ribatte il suo entourage. Caso chiuso? Neanche per sogno. In conferenza stampa la presidente del Front National spiega: «Non hanno annullato l’incontro, ho creduto che avessero accettato la mia decisione. Invece hanno cercato di impormelo mettendomi di fronte al fatto compiuto. No, grazie».
Trump e la stretta sugli immigrati. Dalle frasi minacciose ma generiche dell’ordine esecutivo del presidente Trump alle misure più precise annunciate dal ministro della «Homeland Security», l’ex generale John Kelly: parte la stretta sugli immigrati clandestini. Non cambiano le leggi, ma il governo promette molta più severità, pur escludendo deportazioni di massa e il ricorso alla Guardia Nazionale. Dall’insediamento di Trump, arresti e deportazioni sono andati avanti al ritmo di 700 a settimana: non più di quanto fatto da Obama che nei suoi 8 anni ha deportato 2,5 milioni di clandestini, il 25% in più rispetto all’era Bush. C’è, però, una differenza qualitativa che spaventa chi è privo di documenti: mentre il 91% degli arresti di Obama ha riguardato individui non solo illegalmente residenti negli Usa, ma anche condannati per atti violenti, in questo primo mese dell’era Trump sono stati presi di mira molti clandestini non pericolosi per la collettività. Le direttive del governo confermano il cambio d’indirizzo: se con Obama veniva deportato solo il clandestino che aveva commesso «seri crimini violenti», ora nel mirino finiscono tutti coloro che hanno commesso qualche crimine: virtualmente tutti gli illegali, visto che in America è un crimine ottenere assistenza pubblica o cure mediche non dovute, violare il codice della strada o anche solo mentire a un pubblico ufficiale. Trump intanto prova a ricucire con la comunità ebraica. «Le minacce contro la comunità ebraica e i suoi centri sono orribili e molto dolorose. Ci ricordano tristemente quanto lavoro va fatto per sradicare l’odio e i pregiudizi». ha detto ieri mentre visitava il nuovo museo afroamericano di Washington ( inaugurato da Ba-rack Obama). La sua presa di posizione è arrivata dopo una lunga escalation di violenze e minacce antisemite, in tutti gli Stati Uniti. Tra gli ultimi episodi, nel lunedi festivo del President’s Day un cimitero ebraico a Saint Louis nel Missouri è stato saccheggiato da vandali; diversi centri ebraici sono stati evacuati in seguito a minacce. Ma l’allarme delle comunità ebraiche — e non solo loro — dura da settimane, durante le quali l’atteggiamento di Trump era stato ben diverso.
Economia e finanza
Debito italiano, dalla Ue giudizio sospeso. La Commissione europea presenterà oggi una serie di attesi rapporti sulla situazione economica dei paesi della zona euro. Le relazioni relative all’Italia noteranno i progressi che il Paese ha compiuto nell’ultimo anno, soprattutto nel modernizzare l’economia, ma non mancheranno di rimarcare la ritrosia dell’establishment nel mettere mano alle debolezze nazionali. Ieri, intanto, il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha ribadito che «l’euro non significa austerità». Bruxelles pubblicherà anche la relazione sull’indebitamento pubblico italiano esugli squilibri macroeconomici del Paese, così come di Francia e Germania. La Commissione europea ha chiesto al governo Gentiloni di correggere l’andamento delle finanze pubbliche, con un taglio al deficit strutturale dello 0,2% del prodotto interno lordo, pari a poco più dell’indebitamento accumulato da due aziende municipali romane, l’Atac e l’Ama. L’Italia è a rischio di procedura per debito eccessivo,tenuto conto che l’indebitamento italiano è sopra al 130% del Pil da quattro anni a questa parte. Ma il rapporto in arrivo oggi non rappresenta un passo verso un’eventuale procedura d’infrazione, ha comunque sottolineato il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan confermando che «la manovra da 3,4 miliardi si farà». Il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble ha confermato che per ora la Germania non intende far ammonire pubblicamente l’Italia. Ma dall’Eurogruppo/Ecofin sono trapelati dubbi sull’instabilità politica, che potrebbe impedire al governo Gentiloni di rispettare l’impegno alla correzione. Padoan ha fatto capire di essere disponibile a tagli alternativi, se il leader del Pd Matteo Renzi continuasse a opporsi ad aumenti delle tasse e tagli impopolari. Punta poi su introiti da privatizzazioni, non ritenendo sfavorevole il momento.
Mattarella in Cina. Accordi per 5 miliardi. Ci sono 10 mila italiani in Cina e 2 mila nostre imprese che fatturano 5 miliardi di euro l’anno. E a questa comunità che Sergio Mattarella ha parlato ieri a Pechino, nel primo dei sei giorni della sua visita di Stato. Missione su due fronti: economia e cultura. Il presidente ha dato atto alla nostra comunità della sua azione di «avanguardia nel rapporto tra i due Paesi geograficamente lontani ma uniti da una comune sensibilità culturale e artistica». E l’ha ringraziata perché la presenza di tanti connazionali di successo «conta anche più della cooperazione istituzionale tra governi». Ci sono molti spazi di crescita, ha concluso Mattarella. E per penetrare meglio in questi spazi della seconda potenza economica mondiale, al seguito del presidente è arrivata una delegazione di peso che oggi si riunisce con le controparti in un Business Forum e in un Forum Culturale ai quali partecipa Xi Jinping, il leader del partito comunista e dello Stato cinese, una presenza che va oltre il protocollo. Al Forum di cooperazione economica e commerciale presieduto da Marco Tronchesi Provera e dal presidente di Bank of China, la Cina ha 180 delegati, l’Italia 260. Si discute anche della nostra partecipazione alla nuova Via della Seta lanciata da Xi, con un possibile terminale a Venezia. Mauro Moretti, l’ad di Leonardo, squaderna i cento elicotteri che sta piazzando in Cina, un business da centinaia di milioni di euro che vale un migliaio di posti di lavoro a casa. Simest, il braccio della Cassa Depositi e Prestiti di Fabio Gallia, snocciola i 700 milioni che fa girare grazie alla cinquantina di piccole imprese che ha portato quaggiù. Ma sono i numeri totali del Sistema Italia a colpire: almeno cinque miliardi di affari, tredici accordi da firmare. Il botto lo fa la Fincantieri di Giuseppe Bono con l’ordine da diversi miliardi di due navi da crociera.