Politica interna
La Consulta chiede che le maggioranze siano omogenee per Camera e Senato. La legge elettorale chiamata «Italicum» è stata decapitata, tagliando via il ballottaggio e la possibilità dei capilista eletti in più collegi di sceglierne uno a propria discrezione, così decidendo la nomina di altri deputati. Ma modificare ciò che resta — un sistema che grazie alle norme sopravvissute diventa proporzionale quasi puro se nessun partito conquista il premio di maggioranza al primo turno, e con il sorteggio del collegio per i candidati plurieletti —, spetta al legislatore. Dunque alle forze politiche. La Corte costituzionale lo scrive chiaramente nelle cento pagine di motivazione della sentenza con cui il 25 gennaio ha cancellato due pezzi portanti della legge elettorale voluta dal governo Renzi, depositate ieri sera dopo l’approvazione dei tredici giudici arrivata nel primo pomeriggio. Nelle quali è scritto che regole diverse per eleggere deputati e senatori sono ben possibili, ma la Costituzione «esige che, al fine di non compromettere il corretto funzionamento della forma di governo parlamentare, i sistemi adottati, pur se differenti, non devono ostacolare, all’esito delle elezioni, la formazione di maggioranze parlamentari omogenee». Il ballottaggio (nel quale il partito arrivato primo avrebbe preso la maggioranza assoluta dei seggi a Montecitorio, senza quorum di partecipazione né soglia minima da raggiungere) è incostituzionale. Il secondo turno non è di per sé illegittimo, a patto di scriverlo bene, e nel rispetto del principio di rappresentanza. Roberto D’Alimonte sottolinea sul Sole 24 Ore che ” adesso i partiti non hanno più alibi. Prima è arrivata la sentenza Ora ci sono le motivazioni. ll quadro è quello che conosciamo. Abbiamo due sistemi elettorali diversi, ma non troppo diversi da impedire il voto subito. Sarebbe meglio renderli meno diversi. Ma non sarà facile. Alcune cose però si possono fare “facilmente”. Ne indichiamo tre. La prima è citata dalla stessa Consulta II sorteggio per decidere quale collegio debba rappresentare il candidato eletto in più collegi può essere sostituito da una norma che preveda che il collegio sia quello in cui II plurieletto abbia preso più voti. La seconda modifica riguarda la rappresentanza di genere: nella legge elettorale della Camera ci sono norme che tutelano l’equilibrio tra i sessi; vanno trasposte con i dovuti aggiustamenti al Senato. La terza modifica è relativa alla selezione dei candidati al Senato. In questa arena i candidati sono eletti tutti con il voto di preferenza. Le circoscrizioni in cui devono raccogliere i voti corrispondono alle regioni. Questo va bene in Basilicata, ma non in Lombardia. Raccogliere voti di preferenza in una regione ampia come la Lombardia costringe i candidati a campagne elettorali costose e rischiose. Meglio dividere le regioni più grandi in più circoscrizioni. Non sono queste le modifiche che possono servire a creare maggioranze omogenee, ma sono modifiche possibili e utili”.
Pd, guerra di documenti Renzi pronto a dimettersi “Subito a congresso”. Lo scontro nel Pd precipita verso il congresso anticipato. Renzi è pronto a dimettersi. E nella direzione di lunedi prossimo metterà i dem davanti al bivio. «Non mi faccio logorare». Dirà il segretario: perciò o facciamo un patto per le elezioni a giugno, trovando subito un accordo nostro, interno, sulla nuova legge elettorale oppure io mi dimetto e andiamo al congresso in tre mesi. E dai renziani parte su Twitter l’hashtag #famostocongresso. A lanciare il tormentone è il senatore iper renziano Stefano Esposito, facendo il verso alla mobilitazione social di Luciano Spalletti per lo stadio della Roma. I consiglieri più vicini a Renzi, da Lorenzo Guerini a Ettore Rosato, spiegano che è l’ultima chiamata per cercare di restituire al Pd una unità possibile e abbassare i venti di scissione. Nel partito è una baraonda, c’è persino una guerra di lettere. Un documento dei “giovani turchi”, primo firmatario Francesco Verducci, chiede che si vada a votare al più presto, «appena possibile» con una legge elettorale che attribuisca il premio alla lista che ha avuto più consenso cosi da garantire la governabilità. È la risposta al documento reso pubblico mercoledì scorso da 41 senatori di sostegno al premier Gentiloni e di avvertimento a Renzi: noi non voteremmo la sfiducia all’attuale governo per andare alle urne a giugno. Ma in 13 hanno firmato entambe le lettere. In questo clima al Nazareno, la sede del partito, sono ore di incontri, di colloqui, di riflessioni. Ma la decisione di Renzi di mettere a disposizione le proprie dimissioni sembra già presa. Il leader Pd vuole uscire dall’angolo se – come sembra – non riuscirà a strappare il voto a giugno: fare una legge che dia maggioranze omogenee nelle due Camere richiederà tempo. E dunque spunta una data, il 30 aprile, per la convocazione dei gazebo. Dopo un percorso che verrebbe avviato ai primi di marzo con un’assemblea nazionale: dove il leader si dimetterebbe da segretario per far partire l’iter delle assise straordinarie. Ma Renzi tiene aperto il doppio binario, senza rinunciare del tutto all’idea di andare alle urne, come dimostra una nota di Matteo Ricci, «election day a giugno con le comunali, altroché congresso», diffusa quando escono le motivazioni della Consulta: giudicate dai tecnici Pd più favorevoli del previsto. «Se non si riesce a votare a giungo, non ci sto a restare fermo a farmi cucinare, a quel punto faccio il congresso», ragiona l’ex premier con i suoi deputati. La sinistra del partito è alla ricerca di un anti-Renzi.. I tre sfidanti – Enrico Rossi, Michele Emiliano e Roberto Speranza – si incontreranno domenica prossima a Firenze, nella città dell’ex premier, in una manifestazione organizzata da alcuni amministratori, consiglieri regionali e da due deputati, Francesco Laforgia e Filippo Fossati. Un’assemblea della sinistra dal titolo significativo («Può nascere un fiore. Di nuovo, la sinistra») alla vigilia della direzione del Pd dove Renzi dovrebbe calare le carte e prendere in contropiede i suoi avversari che da tempo chiedono il congresso. Ma gli avversari non sono pronti e non hanno individuato un candidato comune alla segretaria. Intanto Giuliano Pisapia battezza il suo “Campo progressista”. Interivstato dal Corriere della Sera, l’ex sindaco di Milano parla di «un progetto del tutto nuovo, che nasce con una grandissima ambizione: offrire altro, rivoluzionare la politica, cambiarla nel profondo. Vogliamo unire storie e percorsi diversi e costruire una casa comune, per riunire chi vuole fare qualcosa per la società e non trova il modo».
Politica estera
Bando ai migranti, nuovo no a Trump «Decisione politica, farò un altro ricorso». La sentenza è una sconfitta su tutta la linea per Donald Trump. Il bando temporaneo su profughi e viaggiatori provenienti da sette Paesi musulmani è «incostituziona-le». La Corte d’Appello del nono distretto di San Francisco ha deciso ieri sera all’unanimità. Tutti e tre i giudici si sono trovati d’accordo: gli argomenti presentati lunedì 6 febbraio dall’avvocato della Casa Bianca vanno respinti. Non c’è stata, dunque, una divisione per schieramenti politici tra le toghe: William Canby, nominato da Jimmy Carter e Michelle Friedland, scelta da Obama si sono pronunciati nello stesso modo di Richard Clifton, indicato dal repubblicano George W. Bush. A questo punto viene confermata la prima ordinanza emessa dal giudice federale di Seattle, James Robart, lo scorso 3 febbraio. L’ordine esecutivo firmato da Trump il 27 gennaio è nullo. Tutti i viaggiatori in arrivo dai sette Paesi messi al bando per 90 giorni potranno entrare negli Stati Uniti. La lista comprendeva: Iran, Iraq, Libia, Siria, Somalia, Sudan, Yemen. Annullate anche le restrizioni a tempo indeterminato sui profughi siriani e di no giorni sugli altri rifugiati. Le procedure di ammissione dei richiedenti asilo tornano alla normalità. Chi ha diritto potrà essere ammesso negli Stati Uniti. Alla Casa Bianca ora resta sostanzialmente il ricorso alla Corte Suprema. Federico Rampini racconta su Repubblica che Trump ha reagito subito alla disfatta con il suo metodo consueto: su twitter. «Ci vediamo in tribunale. La sicurezza della nazione è in gioco!». Di quale tribunale si tratti è chiaro: al di sopra della Corte d’appello federale non rimane che la Corte suprema. Questo rende ancor più cruciale il ruolo del “nono giudice”, quel Neil Gorsuch che Trump ha designato solo qualche giorno fa per riempire il seggio vacante dalla morte di Antonin Scalia un anno fa. La nomina di Gorsuch – che deve ottenere la conferma dal Senato – riporterebbe una maggioranza repubblicana alla Corte suprema che attualmente è in una situazione anomala di pareggio con quattro giudici di nomina democratica e quattro repubblicani. Diventano ancora più delicate – e avvincenti – le manovre che la minoranza democratica al Senato escogiterà per ritardare il più possibile la conferma di Gorsuch.
Esplosione nella centrale nucleare Paura nel Nord della Francia. Il timore di un disastro nucleare torna a scuotere la Francia Dopo l’avvertimento lanciato dall’authority di Parigi sulla situazione ritenuta «preoccupante» del parco atomico transalpino, la centrale di Flamanville – tra Normandia e Bretagna – è stata teatro di una violenta esplosione che ha causato feriti lievi tra gli addetti dell’impianto. L’incidente si è verificato ieri mattina nella sala macchine della centrale Uno, lontana dal reattore atomico e senza rischi radioattivi. La produzione di energia nucleare è stata comunque interrotta per precauzione e subito è scattato l’intervento dei pompieri che in due ore hanno riportato la situazione sotto controllo. «Nessun rischio nucleare, l’incidente è chiuso», ha annunciato il prefetto di zona, Jacques Witkowski, precisando che i cinque addetti «leggermente intossicati» sono in buona salute mentre è in corso un’«indagine tecnica» per determinare le cause. L’incidente arriva in un momento molto delicato per il nucleare in Francia. La maggior parte dei reattori è entrata in servizio tra il 1977 e i11987, e quindi sta raggiungendo la soglia dei 40 anni di attività per i quali sono stati concepiti. Si pone il problema di prolungarne la vita, quando è possibile, scelta che costerebbe circa 50 miliardi di euro. In altri casi, come la centrale di Fessenheim in Alsazia, bisogna procedere allo smantellamento. Lo prevede la legge sulla transizione energetica voluta dalla ministra dell’Energia e Ambiente Ségolène Royal con il sostegno del presidente Hollande: entro il 2025 la parte di energia prodotta dal nucleare deve diminuire dal 75 al 509 a favore delle fonti rinnovabili come solare ed eolico. Ma la spesa prevista di 34 miliardi sembra largamente inferiore ai costi reali. Poi ci sono i problemi tecnici incontrati dai reattori terza generazione, gli Epr (Evolutionary Pressurized Reactor), dei quali il primo è in costruzione proprio a Flamanville accanto ai due già in attività. I reattori Epr ubbidiscono a una logica scelta anni fa da Areva, poi inglobata in Edf: costruire e offrire sul mercato internazionale le centrali più sicure, e costose, del mondo. Il problema è che l’Epr di Flamanville avrebbe dovuto entrare in funzione nel 2012 mentre non lo farà prima dei 2018, e il budget è salito oltre i 10 miliardi di euro.
Economia e finanza
Lotta all’evasione, recupero record da 19 miliardi. Un record con una presenza di rilievo: la prima edizione del rientro dei capitali porta in dote alla lotta all’evasione 4,1miliardi di euro (che si sommano ai 200 milioni “iscritti” già nel 2015). Un contributo determinante nel portare l’asticella del recupero complessivo a quota 19 miliardi con unacrescita del 28% rispetto al 2015. Il risultato, nonostante l’una tantum, è stato defmito «senza precedenti nel nostro Paese» dal presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni. Le somme riportate all’Erario sono la testimonianza che «il governo -come ha fatto notare il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan – non strizza l’occhio agli evasori, il governo strizza l’occhio ai contribuenti e alleimprese onesti, li aiuta ada dempiere, a non sbagliare, e li invita a correggere eventuali errori,senza un approccio inutilmente punitivo». Nella scomposizione del gettito recuperato spiccano i 4,8 miliardi ottenuti grazie alla riscossione coattiva di Equitalia e i versamenti diretti che salgono da 10,2 a 13,7 miliardi ( 34%). Ma a far ben sperare per il nuovo corso del fisco “dialogante” è il dato della compliance, ossia dell’adeguamento spontaneo dopo le lettere inviate dall’Agenzia. Il Sole 24 Ore con un articolo a firma salvatore Padula scrive che i 19 miliardi affluiti nelle casse dello Stato “sono un risultato sul quale va, in primo luogo, riconosciuto il buon lavoro dell’agenzia delle Entrate. Ed è anche il segno che la strategia del “cambia verso”, voluta e sostenuta dal governo Renzi, ha dato risultati incoraggianti. Non è irrilevante che questo successo sia giunto nel momento in cui l’Agenzia si è trovata a gestire l’enorme problema aperto dalla sentenza della Consulta che, sul finire del 2015, ha messo fuori gioco circa 800 dirigenti incaricati. L’amministrazione è stata letteralmente decapitata di due terzi del proprio vertice. Si era detto che questa situazione avrebbe avuto conseguenze pesanti sull’attività degli uffici. Le difficoltà, evidentemente, ci sono state ma non hanno avuto effetti negativi sul gettito”. Intervistata dal Corriere della Sera Rossella Orlandi difende il nuovo record degli incassi nella lotta all’evasione. La voluntary disclosure straordinaria, spiega, «ha avuto anche un gran successo. Ma non è stato un caso. Ci è costata una fatica immane: abbiamo esaminato 129 mila istanze, prodotto 344 mila accertamenti, notificato 125 mila sanzioni. Però i risultati si sono visti: abbiamo incassato 500 milioni in più del previsto, e i conti non sono definitivi. Abbiamo replicato l’incasso del 2015, lavorato di più, ed eravamo di meno».
Vertice Merkel-Draghi: eurozona a velocità unica. E’ un netto no a un euro di serie A e uno di serie B quello che Angela Merkel ha pronunciato poche ore dopo un lungo faccia a faccia con Mario Draghi. Ore 20, primo piano della cancelleria federale, Merkel ha appena concordato coi governatori regionali un piano per accelerare le espulsioni dalla Germania dei migranti senza diritto d’asilo quando, rispondendo a una domanda de La Stampa, torna sull’incontro del pomeriggio col numero uno dell’Eurotower. «Non sono solita riferire di questi colloqui, è sempre interessante parlare col presidente della Bce», esordisce. Ma la cancelliera ci tiene – «per evitare fraintendimenti» – a puntualizzare l’idea di un’Europa a più velocità che ha lanciato al vertice di Malta. Un’Europa a diverse velocità esiste già, ribadisce: «già il fatto che non tutti Paesi della Ue siano nell’Eurozona costituisce un’Europa a velocità diverse: alcuni hanno una moneta comune, altri no». Diverso invece il discorso per quanto riguarda l’Eurozona: «non ci tengo ad avere velocità differenti all’interno dell’Eurozona, bensì l’Eurozona deve restare unita nella sua interezza e quello che viene deciso in quel formato, come l’Esm e altri temi, deve essere sostenuto da tutti i Paesi dell’euro insieme, non devono esserci contraddizioni». Parole che fanno il paio con quel «keeping us united» che Draghi aveva pronunciato lunedì a Bruxelles al Parlamento europeo. È innegabile che, in vista dell’incontro di ieri, i toni si siano rasserenati. Mercoledì, il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble ha detto che«è un’arte preparare e pianificare un’uscita da una politica monetaria straordinaria in modo da prevenire grandi distorsioni». E ha aggiunto: «Sono felice che la Bce tenti di adottare una politica monetaria prudente e attentamente bilanciata».