Politica interna
Referendum/Prodi: Romano Prodi alla fine scioglie la riserva e si schiera per il Sì al referendum. “Anche se le riforme proposte non hanno certo la profondità e la chiarezza necessarie – recita il comunicato del Professore – tuttavia per la mia storia personale e le possibili conseguenze sull’estero, sento il dovere di rendere pubblico il mio Sì, nella speranza che questo giovi al rafforzamento delle nostre regole democratiche soprattutto attraverso la riforma della legge elettorale”. Immediati i ringraziamenti di Matteo Renzi: “Sono contento per le parole di Prodi, è un passo in avanti…”. Le parole del Professore se da una parte hanno suscitato il coro entusiasta del centrosinistra, dall’altra hanno scatenato i malumori della minoranza dem. Per Gianni Cuperlo “le parole rigorose e meditate di Prodi contengono le ragioni che hanno spinto molti a superare dubbi pure legittimi nella convinzione che in cima alle preoccupazioni è giusto porre oggi l’interesse del Paese”. Spiazzati sono soprattutto Bersani e D’Alema. Al primo l’uso della metafora dell’osso e del bastone (“nella vita è meglio succhiare un osso che un bastone”) non appare “la manifestazione di un Sì entusiasta”, mentre il secondo, premettendo di “non voler polemizzare con Prodi”, conferma di avere “un’opinione diversa” e consiglia di “evitare sia l’osso che il bastone”. Al di là dell’outing prodiano, il confronto tra i partiti sul referendum è continuato anche ieri con le consuete iperboli. Dallo studio di Porta a Porta, Silvio Berlusconi ha parlato di una “riforma che può dar luogo a una dittatura”, mentre invece il giudice Francesco Caruso, da poche settimane alla guida del Tribunale di Bologna, ha paragonato coloro che domenica voteranno Sì ai repubblichini.
Berlusconi: Silvio Berlusconi è pronto a siglare un nuovo Patto del Nazareno, “ma a condizioni chiare, molto chiare”. Quattro, per l’esattezza, che elenca nel salotto di Bruno Vespa: “Nella nuova riforma della Costituzione occorreranno l’elezione del capo dello Stato, il numero dei parlamentari ridotto a 450 (300 deputati e 150 senatori), il vincolo di mandato, il tetto massimo alla pressione fiscale”. In queste ore l’ex premier è molto galvanizzato e va ripetendo che “per come si sono messe le cose, lunedì sarò vincitore sia nel caso in cui vinca il No, come spero, sia qualora dovesse spuntarla il Sì”, perché anche in questo caso “Renzi avrà bisogno comunque di noi per rifare le regole elettorali”, e lì Forza Italia si giocherà tutte le sue carte su una svolta proporzionale, per tornare in maggioranza magari in un “governissimo” nel giro di un anno. Parole che non piacciono al leader della Lega Matteo Salvini, che scommette sull’imminente scissione di FI: “Se Berlusconi desse vita ad altri inciuci, le nostre strade si allontanerebbero, io voglio votare subito. Con me ci sono Giovanni Toti, Raffaele Fitto e Giorgia Meloni, che hanno le idee chiare”, primarie in primis, “che si potrebbero tenere a febbraio”. Alla luce dell’offensiva leghista, i più berlusconiani tra i forzisti, tra cui Mariastella Gelmini e Gianfranco Miccichè, si mobilitano: “Difendiamo la storia e i valori di FI, se volevamo morire leghisti ci saremmo messi il fazzoletto verde parecchi anni fa”, dunque no secco al partito unico a trazione Salvini.
Intervista a Laura Boldrini: Intervistata dal Corriere della Sera, il presidente della Camera Laura Boldrini interviene nel dibattito referendario, caratterizzato secondo lei “da toni eccessivi, da fine del mondo”. A preoccupare la Boldrini non è tanto la sfida tra il Sì e il No quanto piuttosto i toni della polemica e la generale disinformazione, “che attribuisce alle persone cose mai dette. Assistiamo a una sistematica azione di delegittimazione e non è un problema solo della politica, investe tutti i campi”. Al di là dei toni, “il referendum è una forma di democrazia diretta, una opportunità che i cittadini debbono cogliere. La partecipazione va incoraggiata, tanto più dopo fratture così profonde”, inoltre “non sarei così catastrofica sulla previsione. che vinca il Sì o prevalga il No, l’Italia reggerà, è un grande Paese e manterrà la sua solidità”. A differenza di Romano Prodi, la presidente della Camera “non ritiene utile, né necessario” manifestare il proprio voto, in virtù “dell’incarico che rivesto” e che intende portare avanti “fino al 2018”.
Politica estera
Stati Uniti: In un solo giorno Donald Trump da una parte compone la sua squadra economica, all’insegna del liberismo fiscale e del protezionismo commerciale, dall’altra annuncia che risolverà i suoi numerosi conflitti di interesse tagliando almeno i legami operativi con l’azienda che porta il suo nome. Al Tesoro è stato nominato Steven Mnuchin, il quale ha già svelato le grandi linee della politica economica di questa amministrazione: le imprese dovrebbero vedere la tassa sugli utili ridotta dal 35% al 15%, le persone fisiche godranno di una semplificazione delle aliquote sul reddito nonché una riduzione di quella più alta dal 39,5% al 35%, sarà rivista la legge Dodd-Frank con cui Barack Obama ha messo limiti alla speculazione, dato maggiori poteri alle authority di vigilanza e imposto nuovi controlli. Altra nomina di rilievo è quella di Wilbur Ross al Commercio, dicastero che include il commercio estero e quindi i trattati come Nafta, Tpp e Ttip. Ross condivide il protezionismo di Trump e ha subito annunciato: “Basta con i trattati stupidi”. Nel frattempo Donald Trump ha annunciato che “il 15 dicembre terrò con i miei figli un’importante conferenza stampa a New York, per discutere il fatto che abbandonerò del tutto la mia grande azienda, in modo da concentrarmi sul governo del paese, e rifare l’America grande! Anche se la legge non mi obbliga a farlo, lo considero visivamente importante come presidente non avere un conflitto d’interessi coi miei vari affari. La presidenza è un compito ben più importante!”.
Intervista a Boris Johnson: In un’intervista a La Stampa, il ministro degli Esteri inglese Boris Johnson tocca alcuni dei principali temi di politica estera che coinvolgono il Regno Unito e l’Ue, dalle sanzioni alla Russia, che devono continuare fino a quando Mosca continuerà a provocare la Nato e a bombardare in Siria, alla Brexit, che permetterà al Regno Unito di essere ancora più forte, anche se sarà fondamentale garantire “la piena libertà per le aziende britanniche di fare affari nella Ue in un sistema di mercato unico”.
Economia e Finanza
Opec: Ieri l’Opec, al fine di riconquistare un ruolo influente sul mercato, ha deciso di tagliare la produzione di petrolio di 1,2 milioni di barili al giorno, a partire da gennaio 2017 per la durata di sei mesi prorogabili. La stessa ha ottenuto la collaborazione della Russia e di altri produttori non Opec, per una riduzione ulteriore di altri 600mila barili. Sull’altare dell’accordo, che è riuscito nel miracolo di conciliare le posizioni di Arabia Saudita, Iran e Iraq, è stata sacrificata l’Indonesia, che uscirà dall’Organizzazione dopo esservi rientrata l’anno scorso dopo una lunga assenza. “Per loro sarebbe stato difficile partecipare a questa decisione unanime, così hanno scelto di autosospendersi”, ha spiegato Mohammed Al Sada, ministro del Qatar e presidente in carica dell’Opec. Di fronte a questo storico accordo, il mercato è immediatamente impazzito, con le quotazioni del greggio che hanno guadagnato il 9% nel caso del Brent e il 10% per il Wti. Al fine di prevenire ogni diffidenza di fronte all’accordo, l’Opec ha deciso di pubblicare le quote di produzione di ciascun Paese membro e di istituire un comitato di monitoraggio con il compito di vigilare sull’effettiva attuazione dei tagli e di revocarli dopo i primi sei mesi se non ci sarà la collaborazione di paesi esterni al gruppo. Il 9 dicembre si terrà un nuovo incontro Opec-Non Opec, dove si potranno fare i conti sulla reale partecipazione esterna ai tagli. Intanto da Mosca, il ministro dell’Energia Alexander Novak ha già confermato che “la Russia è pronta ad unirsi all’accordo” tagliando la produzione di 300mila bg nella prima metà del 2017. In controtendenza l’Iran, al quale alla fine è stato concesso uno status speciale: in considerazione delle sanzioni subite, Teheran non ha avuto un’esenzione dall’accordo (concessa solo a Libia e Nigeria), ma il permesso di accrescere l’output di 90mila bg per poi “congelarlo” a 3,797 mgb.
Bce: Il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, ha ancora una volta sollecitato i Governi europei a sfruttare l’opportunità concessa dalla politica monetaria della Bce per riformare le economie dell’eurozona, che soffrono di una crescita della produttività troppo bassa e rischiano di rallentare ulteriormente nei prossimi decenni. Per effetto dell’invecchiamento della popolazione, infatti, la crescita pro capite, in mancanza di riforme, potrebbe risultare entro il 2050 più bassa del 14% in Germania, del 16% in Italia e del 22% in Spagna. “La politica monetaria sta fornendo sostegno e spazio ai Governi perché realizzino le riforme strutturali necessarie. Tocca a loro agire, individualmente a livello nazionale e insieme a livello europeo”. Draghi, intervistato dal quotidiano “El Pais”, ha sottolineato che l’ascesa del populismo in Europa rende più difficile proseguire sulla strada dell’integrazione e che l’incertezza politica è uno degli aspetti “dominanti” della situazione dell’area euro. Nella stessa intervista ha inoltre ricordato che la crescita, anche se modesta, è robusta e anche l’inflazione sta migliorando. Per quanto concerne la possibilità che la Bce proroghi il Qe oltre la data di marzo 2017, Draghi ha detto che il consiglio non ha mai discusso della possibilità di ridurre lo stimolo monetario, precisando comunque “che possiamo ottenere la posizione appropriata con differenti combinazioni di strumenti, per esempio l’ammontare degli acquisti mensili o la lunghezza del periodo sul quale avvengono”. Il che potrebbe aprire la porta in futuro a una riduzione degli importi mensili dagli attuali 80 miliardi di euro.