Politica interna
Rai: il consiglio di amministrazione ha approvato all’unanimità la delibera con cui la giornalista Monica Maggioni è stata eletta presidente; via libera alla Maggioni anche dalla commissione di Vigilanza con 29 voti. Oggi o al massimo domani il cda dovrebbe trovare l’intesa con l’assemblea dei soci sul nome di Antonio Campo Dall’Orto quale direttore generale, completando così il nuovo vertice che resterà in carica tre anni. Il via libera di Berlusconi sul nome della giornalista milanese sembra riaprire il canale del dialogo politico con Matteo Renzi, dopo la rottura del patto del Nazareno all’indomani dell’elezione di Sergio Mattarella a presidente della Repubblica. Un accordo sulla Rai era il segnale che il leader azzurro aspettava per potere riaprire il dialogo sulle riforme in Senato, dove la minoranza del Pd minaccia di fare pesare i suoi 25 voti contrari alla riforma. Si apre intanto un giallo sui consiglieri eletti che sono già in pensione ed ai quali la legge vieta incarichi in società controllate dallo Stato; il nodo, che riguarda Diaconale, Mazzuca, Freccero e Guelfi è stato esaminato dagli uffici legislativi del Tesoro e della Rai.
Riforma Senato: nel corso di una seduta della Commissione Riforme affollatissima, la Presidente Finocchiaro ha avvisato i 25 senatori dem, che potrebbero fare saltare la tabella di marcia del governo, che “tornare a parlare di Senato elettivo vuol dire ripartire da zero”, minando la fine del bicameralismo paritario e contraddicendo i comitati dei saggi che se ne sono occupati. Lo scontro è comunque rinviato a settembre, quando i senatori torneranno a Roma, ma i termini della battaglia costituzionale sono ormai stabiliti, nonostante la ministra Boschi usi toni sfumati, sostenendo che non vi siano modifiche da apportare al testo da un punto di vista giuridico e costituzionale, e quindi che la valutazione da fare sarà politica. Ma il governo non intende certo arretrare davanti alle richieste della minoranza Pd che sta preparando una ventina di emendamenti pesanti, tra i quali spiccano quello sull’elezione diretta, sul peso del Senato nell’elezione del Capo dello Stato e dei giudici costituzionali, sull’argine da mettere alla Camera nel procedimento legislativo.
Politica estera
Iran: il presidente americano difende con immagini simboliche ed esempi concreti l’accordo sul nucleare siglato con Teheran e chiede al Congresso, che voterà una risoluzione a metà settembre, di non affossarlo, perché si rischierebbe “qualche forma di guerra”. Il discorso che ieri Obama ha pronunciato dallo stesso palco dove, nel 1963, Kennedy al culmine della guerra fredda si schierò a favore della pace e dei negoziati con i sovietici, è durato 56 minuti e nei fatti ha avviato la controffensiva della Casa Bianca contro i detrattori dell’accordo ed i tentativi di sabotarlo da parte dei repubblicani, che hanno l’esplicito appoggio del premier israeliano Netanyahu. Il presidente americano è convinto che nel caso il Congresso arrivasse a neutralizzare, con l’aiuto di parte dei democratici, un suo veto alla probabile bocciatura in prima battuta, vista la compattezza della maggioranza parlamentare repubblicana, allora il fronte internazionale si sgretolerebbe e si andrebbe ad una rapida escalation militare contro l’Iran, che in tempi brevi produrrebbe un’arma nucleare.
Casa Bianca: si apre con il dibattito di stasera, al quale parteciperanno 10 dei ben 17 candidati repubblicani, la lunga stagione delle presidenziali statunitensi del 2016. Le primarie dei due partiti si presentano assai diverse, visto che in quelle democratiche vi è una chiara ed indiscussa favorita, Hillary Clinton, la cui corsa alla nomination potrebbe essere messa in discussione solo da uno scandalo o dalla possibilità della candidatura dell’attuale vice presidente Joe Biden. Molto diverso è il contesto repubblicano, dove il favorito sembra essere l’ex governatore della California Jeb Bush; ma la possibilità che per la quarta volta negli ultimi cinque cicli presidenziali a occupare la Casa Bianca siano un Bush o un Clinton si scontra con la frammentazione del fronte repubblicano, con il rischio di un’esasperazione dello scontro che potrebbe nuocere ai candidati più moderati, come appunto Jeb Bush. Ad oggi nettamente in testa tra i repubblicani nei sondaggi è il miliardario Donald Trump, che ha promosso una campagna aggressiva e politicamente scorretta, al cui centro sono stati posti il tema dell’immigrazione e della necessità di adottare misure più drastiche contro i clandestini.
Economia e Finanza
Produzione industriale: defaillance per l’indice della produzione industriale che nel mese di giugno 2015 fa registrare una flessione dell’1,1% rispetto a maggio. Lo comunica l’Istat, lasciando però intendere che la responsabilità principale di questa battuta d’arresto congiunturale va attribuita agli effetti del calendario, con la festività del 2 giugno caduta quest’anno di martedì. Su base annua l’indice è sceso tendenzialmente dello 0,3%, mentre nella media del trimestre aprile, maggio e giugno la produzione è aumentata rispetto al trimestre precedente. Il centro studi di Confindustria stima, dopo una rapida indagine, che la produzione industriale sia tornata a crescere a luglio dello 0,6% rispetto al mese precedente. Molto positivo il risultato della produzione di auto, dove l’Istat rileva un aumento addirittura del 44,2% dei veicoli fabbricati nello stesso periodo del 2014; si tratta del dato più alto dall’inizio delle serie storiche, nel 1990. Tornando all’analisi Istat, nessun segnale positivo sul fronte del lavoro, con indici rimasti stazionari e con l’incremento dei posti vacanti che non si è ancora concretizzato in una crescita dell’occupazione.
Società partecipate: il presidente del Consiglio ha confermato ieri, nel corso della conferenza stampa convocata a Palazzo Chigi, che l’obiettivo per la riduzione del numero delle partecipate è quello di arrivare a non più di mille, rispetto alle attuali ottomila circa, numero stimato dal commissario alla spending review Cottarelli. La ministra Madia ha spiegato che il governo presenterà un testo unico di semplificazione della disciplina sulle società partecipate, che avrà un orizzonte almeno decennale; ha chiarito inoltre che il riordino non toccherà le società quotate in Borsa, mentre per la riduzione di tutte le altre si partirà da una ricognizione sulla natura di queste aziende, proseguendo con l’analisi sul tipo di attività o di servizio pubblico garantito ai cittadini per passare quindi al conto economico e agli equilibri di bilancio. Si tratta comunque di uno dei capitoli più delicati della riforma della Pubblica Amministrazione visto che in queste società lavorano 264.250 addetti.