Politica interna
Politici spiati su internet. Era vasta la «rete» che Giulio Occhionero aveva teso per proteggersi dalle inchieste giudiziarie. Temeva che i magistrati potessero scoprire il suo enorme archivio segreto costruito grazie alle intrusioni informatiche effettuate con un sofisticato sistema che gli ha consentito negli ultimi due anni di spiare personalità e istituzioni. Sono gli allegati all’ordinanza di cattura dell’ingegnere nucleare e di sua sorella Francesca Maria a svelare il nuovo elenco di politici ed enti che erano finiti sotto attacco: dal leader di Ala Denis Verdini, quando era ancora nel Pdl, al senatore Nicola Latorre, presidente della commissione Difesa. E poi Stefano Fassina all’epoca della militanza nel Pd e Maurizio Sacconi nel Pdl. Alitalia e Poste Nella sua ricerca di informazioni riservate Occhionero non aveva evidentemente limiti. Negli ambienti vicini all’intelligence italiana sembra lo sappiano tutti: «Giulio Occhionero era un collaboratore della Cia». Insomma, se non un agente, almeno qualcuno che aveva rapporti costanti con l’agenzia Usa, che lo avrebbe usato per ottenere informazioni. Stefano Fassina, intervistato, si chiede: «Ma che cosa volevano da me?». Lei, quando era nel Pd, prima di passare a Sinistra italiana, è stato anche nel governo con un ruolo importante all’Economia… «Ah, allora sarò finito nella lista degli spiati per questo. Pero la sensazione è che questi due buttavano le reti, un po’ come in una pesca a strascico».
Movimenti all’interno dell’opposizione al governo. All’interno del M5S il silenzio è infranto, forse per sempre. È questo che Beppe Grillo e Davide Casaleggio non intendono tollerare. L’idea che si possano apertamente criticare le decisioni dei vertici, anche quando sono suicide come l’operazione Alde in Europa. Così, quando la senatrice Elisa Bulgarelli chiede provocatoriamente su Facebook: «Ma l’associazione Rousseau (quella gestita da Davide Casaleggio e dall’autore del capitombolo europeo David Borrelli, ndr) è “la segreteria” del partito 5 stelle, ovvero il centro dei cerchi e cerchietti magici del Movimento?», qualcuno vicino ai vertici esplode: «Bene. Che vengano allo scoperto, così finalmente possiamo cacciarli». Un’ipotesi che filtra dal Movimento e che potrebbe diventare oggetto di dibattito nei prossimi mesi è quella di un finanziamento costante con una quota fissa annuale all’Associazione Rousseau da parte degli eletti pentastellati. Nel frattempo l’ipotesi di elezioni anticipate riprende improvvisamente quota. Silvio Berlusconi, che fino a qualche giorno puntava i piedi, pare si sia convinto a votare prima dell’estate, magari I’11 giugno. Cioè la data per cui si sta battendo Renzi. Ma il Cav non si presterebbe gratis: rinuncerebbe a mettersi di traverso solo a patto di ottenere una legge elettorale che sia proprio come piace a lui. Questo è emerso nei conciliaboli con i capigruppo e i consiglieri di maggior peso. Il tutto mentre Matteo Salvini fa retromarcia sulla Lega Italia, italiana o comunque nazionale. Resta Nord, se non proprio padana. La retromarcia segna una svolta, nel Carroccio di Matteo Salvini che intanto fa saltare ogni residuo ponte con Silvio Berlusconi: «Inciucia»
Politica estera
Minigolpe in Libia. Non è stato un golpe, ma ieri Tripoli è tornata a vivere ore di forte tensione che riflette la profonda e violenta destabilizzazione dominante in gran parte della Libia. Nel primo pomeriggio si era diffusa la voce che milizie e gruppi armati legati all’ex premier Khalifa Ghwell si fossero impadroniti di almeno tre ministeri e pattugliassero il centro città con l’intento di defenestrare il governo di unità nazionale guidato da Fayez Serraj. Un assalto al governo e una sfida aperta all’Italia. L’ex premier libico Khalifa al-Ghwell cerca di prendere il controllo dei ministeri in una Tripoli al buio e sempre più nel caos. Ha dalla sua parte milizie islamiche protagoniste della rivoluzione contro Gheddafi e l’appoggio di potenze straniere, come il Qatar, da sempre mentore dei Fratelli musulmani. Ed è riuscito a portare nel suo campo anche importanti tribù della Tripolitania, scontente di un esecutivo voluto dall’Onu e dall’Occidente ma che non è riuscito a imporsi sul terreno. Per l’Italia è una doccia fredda. Sono sempre loro due. Fayez Sarraj contro Khalifa Ghwell. Ancora una volta la nuova Libia deve fare i conti con le diverse anime della Libia del disordine.
Usa e Trump, indagine sull’Fbi. A pochi giorni da un avvicendamento alla Casa Bianca, l’ispettore generale del dipartimento per la Giustizia ha annunciato che si investigherà sulle motivazioni che hanno portato il capo dell’Fbi James Comey a rendere pubblica una nuova inchiesta sulle email di Hillary Clinton appena una settimana prima delle elezioni. Secondo i democratici, quelle rivelazioni sui nuovi accertamenti sono state determinanti per convincere gli elettori incerti a votare per Donald Trump l’8 novembre. II terremoto nelle istituzione americane si fa sempre più forte. L’Ispettore generale del dipartimento alla Giustizia ha annunciato ieri che aprirà un’inchiesta sul comportamento dell’Fbi durante le presidenziali, mentre al Senato si tenevano le audizioni del nuovo capo della Cia, Pompeo, chiamato da Trump a normalizzare il suo rapporto con la comunità dell’Intelligence, dopo il dossier contro di lui redatto dall’ex agente segreto britannico Christopher Steele. Intanto la commissione etica del governo ha bocciato la proposta avanzata ieri dal nuovo capo della Casa Bianca per risolvere il suo conflitto di interessi. Colpi di coda dell’amministrazione uscente, ma anche iniziative di lungo termine, che rischiano di destabilizzare gli Usa. Sulla Russia o sulla Cia, gli uomini di Donald Trump prendono le distanze da lui. In buona fede, o per ragioni tattiche: i futuri ministri e altri superdirigenti stanno affrontando le audizioni al Senato, passaggio obbligatorio per la conferma delle nomine negli incarichi di governo.
Economia e Finanza
Accuse di dieselgate in Usa per Fca.L’Environmental protection agency (Epa), l’agenzia americana per la protezione ambientale, accusa Fiat Chrysler di aver messo in vendita dal 2014 oltre 100mila veicoli con motori diesel dotati di un dispositivo che permette emissioni inquinanti superiori alle norme. Fca – afferma l’Epa – «ha installato e non comunicato all’Epa un software di gestione delle emissioni nei modelli degli anni 2014, 2015 and 2016 di Jeep Grand Cherokee and Dodge Ram 1500 con motori 3 litri diesel venduti negli Usa». II numero di veicoli coinvolti è di 104mila. Alla notizia il titolo Fiat Chrysler è crollato in Borsa sia a Milano che a Wall Street. Il caso Epa-Fca non è paragonabile al dieselgate Vw: l’accusa non è di frode ma di mancata comunicazione e di superamento delle emissioni di ossidi di azoto. Si tratta di violazioni amministrative e non penali, e con un potenziale impatto finanziario nettamente minore: 4,6 miliardi di dollari è la multa massima ipotizzabile in base al numero di veicoli coinvolti, ma è difficilmente ipotizzabile una penalità di ammontare simile – ha detto uno scandalizzato Sergio Marchionne – quando la stessa Volkswagen per uno scandalo molto più grave ha accettato di pagare in sede civile 2,7 miliardi. Sanzioni a parte, gli analisti di Evercore Isi ricordano che un’eventuale correzione del software dei 104mila veicoli già sul mercato avrebbe per Fca un costo relativamente limitato. Da dove arriva dunque il panico in Borsa? Alla fuga degli investitori ha probabilmente contribuito la lunga corsa del titolo Fiat Chrysler negli ultimi due mesi, ovvero da quando gli americani hanno scelto Donald Trump come prossimo presidente: 67% dal giorno dopo le elezioni. A fine mattinata, quando legge le dichiarazioni dei dirigenti dell’Epa e della Carb, Sergio Marchionne decide che non può continuare a tacere. La sua linea di difesa è: «Non abbiamo commesso alcuna frode. Il nostro caso non è in nulla assimilabile a quello di Volkswagen. Non permetteremo a nessuno di discutere la moralità della nostra azienda».
Padoan in audizione alle commissioni Finanze riunite di Camera e Senato. Il Governo rilancia la fiducia ai manager di Monte dei Paschi, che sono al lavoro sul piano industriale da presentare a Bce e Commissione Ue. Con la ricapitalizzazione precauzionale che renderà il Tesoro primo azionista del Monte, spiega però il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan nell’audizione di ieri, ci sarà un nuovo consiglio di amministrazione. Gli amministratori del Monte, come tutti quelli delle banche che saranno interessate dal sostegno statale,incontreranno limiti rigidi ai compensi, e avranno come impegno «principale e inderogabile» l’attuazione del piano che sarà sottoposto alla vigilanza continua in sede europea e da parte del governo italiano che riferirà periodicamente in Parlamento. L’audizione di ieri, dopo che l’Aula del Senato ha avviato ufficialmente i lavori dando il via libera sulle pregiudiziali di costituzionalità, ha viaggiato a cavallo fra il caso specifico di Siena e il quadro più generale del credito italiano, in linea con i contenuti del provvedimento. Non si può gettare discredito sull’intero sistema bancario, perché si offre ai risparmiatori, e all’estero, una percezione sbagliata, immotivata e dannosa. Ma secondo il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, i banchieri che hanno sbagliato dovranno pagare il conto. «In alcuni casi la crisi ha messo a nudo comportamenti di amministratori e manager che possono aver violato norme deontologiche e penali. Per tutti questi il governo auspica che la giustizia faccia rapidamente il proprio corso e che tutti quelli che hanno provocato danni alla collettività, ai creditori in generale, vengano sanzionati» ha detto ieri il ministro in Parlamento. Là dove avrà il potere di farlo, ad esempio dopo aver eseguito una ricapitalizzazione preventiva, il Tesoro potrà rimuovere i consigli di amministrazione, e così succederà al Monte dei Paschi, anche se l’amministratore delegato, Marco Morelli, «che aveva dato la sua disponibilità a dimettersi» dopo il fallimento dell’aumento di capitale, «gode della fiducia del governo».