Politica interna
Stipendi parlamentari: Il ddl proposto dal M5S per ridurre a 2500 euro lo stipendio dei parlamentari, a firma Roberta Lombardi, verrà molto probabilmente rimandato a dopo il referendum. La votazione si terrà domani ma il centinaio di emendamenti e la mancanza di un relatore posticiperanno infatti la decisione finale. Nonostante l’esito scontato Grillo ha colto l’occasione per invitare a occupare lo spazio davanti alla Camera alle 15 di domani, dove anche lui sarà presente così da seguire in diretta la votazione. Da in ½ ora Renzi ha affermato che il Pd è favorevole al taglio degli stipendi, lanciando poi la provocazione di pagare l’indennità in base alle presenze. I grillini prevedono di risparmiare 87 milioni di euro nel caso il ddl passasse, superando i 58 milioni tagliati dalla riforma Boschi-Renzi. Ecco perché il Pd ha giudicato il pressing del M5S “un tentativo di buttarla in demagogia” (Ettore Rosato, Pd) mentre Giorgia Meloni (FdI) ha proposto di legare l’indennità al tasso di disoccupazione. La proposta a cui il Pd sta studiando potrebbe invece agganciare l’indennità dei parlamentari non più al lordo dei presidenti di sezione in Corte di Cassazione ma ai sindaci delle grandi città o ai parlamentari europei.
Italicum: Continuano le trattative all’interno del Pd sulle modifiche all’Italicum. Opposte si trovano da tempo la squadra del segretario Renzi e la minoranza Pd guidata da Bersani e Speranza. Nel mezzo Cuperlo, rappresentante dei dissidenti nella commissione Pd e che ultimamente avrebbe manifestato insofferenza per i continui attacchi via stampa da parte dei rappresentanti della sinistra del partito. Questi sarebbero infatti ormai convinti che da parte di Renzi e i suoi non ci sarebbe una reale volontà di trattativa e che la melina portata avanti sinora avrebbe il solo scopo di “dividere la minoranza” come sostiene il senatore Federico Fornaro. Ecco perché Cuperlo ha ritenuto necessario telefonare a Speranza e Bersani per cercare di abbassare i toni in attesa che il percorso si definisca. L’ex presidente del Pd ha rimarcato la necessità di una “volontà politica, in primo luogo da chi oggi guida il Paese ed è anche segretario del Pd” ma rimane comunque ottimista su un accordo. Atteggiamento colto positivamente dal vice-segretario Guerini, che ha confermato la continuazione dei lavori con coloro che sono “disponibili per arrivare ad una proposta in tempi ragionevoli”, probabilmente inizio prossima settimana. La proposta potrebbe prevedere l’impegno a tornare ai collegi uninominali, abbandonando le multicandidature ed eliminando i capilista bloccati.
Politica estera
Calais: E’ cominciato lo smantellamento di quella che è stata definita “giungla” di Calais, la più grande bidonville di migranti d’Europa affacciata alla Manica. L’iniziativa è promossa dalla Francia che avrebbe già pronti 6400 posti sul territorio nazionale per il collocamento, su un totale stimato di 10100 profughi. A ogni persona verrà concessa la scelta tra due regioni francesi e in seguito gli verrà assegnato un braccialetto del colore relativo alla regione, così da facilitare le operazioni di smistamento. Destano intanto preoccupazione i “no borders”, il movimento che vorrebbe abolire qualsiasi limitazione ai flussi di migranti in Europa. Secondo la polizia tra 150 e 200 attivisti si sarebbero intrufolati dentro Calais per organizzare azioni di disturbo, mentre nella notte tra sabato e domenica sarebbero stati proprio i no borders a innescare gli scontri nei pressi del porto di Calais.
Spagna: Dopo dieci mesi di incertezza e trattative, Mariano Rajoy (Pp) è molto vicino a formare un governo in Spagna. La mossa decisiva è arrivata con l’uscita dell’ex leader Psoe Pedro Sànchez, forte oppositore delle larghe intese e cacciato dal proprio partito tre settimane fa. Si è arrivati così al voto del comitato federale del Psoe per astenersi sulla fiducia in Parlamento e consentire la formazione di un governo di minoranza. Continua così la crisi interna al partito socialista spagnolo, diviso in tre parti tra federazione andalusa guidata da Susana Dìaz, socialisti catalani, ribelli rispetto alla maggioranza di partito, e baschi. Martedì il direttorio del Psoe comunicherà la decisione a re Felipe ed entro il 31 ottobre ci sarà il voto in Parlamento. Rajoy dovrà comunque affrontare una sfida difficile, avendo a disposizione solo 137 seggi più i 32 di Ciudadanos e non raggiungendo quindi la maggioranza.
Economia e Finanza
Lettera dall’Ue: E’ previsto tra oggi e domani l’arrivo a Roma del richiamo sulla manovra firmato dalla Commissione europea. I toni saranno probabilmente molto diplomatici, con richieste di chiarimenti sulle due parti meno convincenti, ma nasconderanno un deciso invito a modificarle. Sotto i riflettori saranno le coperture una tantum e le spese eccezionali per migranti e terremoto. Su quest’ultime l’Ue sarebbe disposta ad aumentare i fondi per migranti rispetto al 2016 mentre per il terremoto accetterebbe la scrittura a bilancio dei soli lavori per riabilitare le zone colpite dal sisma del 24 agosto, mentre escluderebbe il piano di messa in sicurezza su base nazionale. Ecco così che il 2,3% previsto dal governo sforerebbe di un decimale (equivalente a 1,6 miliardi di euro) rispetto alle volontà della Commissione. Renzi ha già fatto sapere di non essere disposto a trattare e sembra quindi inevitabile uno scontro nel prossimo futuro, che comunque non dovrebbe portare a una bocciatura immediata della legge di Bilancio. Al clima già teso si è aggiunto lo sfogo di Padoan ieri su Repubblica, che avrebbe innervosito i vertici di Bruxelles a causa dei toni troppo accesi del ministro italiano. Probabile che la resa dei conti ci sarà dopo il referendum, quando il premier italiano potrebbe ammorbidirsi. La lettera dalla Commissione non è prevista solo per l’Italia ma dovrebbero riceverla anche Francia, Olanda, Belgio, Spagna e Portogallo.
Brexit/Banche: I ritardi nelle trattative sulla Brexit stanno creando nervosismo tra le banche grandi e piccole presenti a Londra. Lo fa sapere Anthony Browne, delegato dell’Associazione banchieri britannici, che con un articolo sull’Observer ha affermato che “il dibattito pubblico e privato ci sta portando nella direzione sbagliata”. I timori principali sono derivati dalla sempre più probabile adozione di una Brexit hard che creerebbe difficoltà al passporting, la possibilità di vendere servizi e prodotti finanziari in Europa senza tariffe. Inoltre, sempre secondo Browne, anche la legalità degli scambi delle banche sarebbe a rischio. Alcune banche minori sarebbero quindi intenzionate a traslocare già entro la fine del 2016, seguite a inizio 2017 da colossi come Goldman Sachs in caso non si colgano segnali incoraggianti dalle trattative tra Theresa May e Ue. Alla finestra sarebbero già pronte diverse città europee, tra cui Francoforte, Parigi, Dublino e Madrid, che accoglierebbero a braccia aperte gli istituti finanziari. Anche Milano potrebbe entrare in corsa, ma la capitale lombarda sarebbe azzoppata dai problemi nazionali: burocrazia, tassazione, giustizia.