Politica interna

Emergenza migranti – Un garante dei diritti degli immigrati in ogni Cie. Una commissione permanente nazionale che ne controlli gli standard umanitari interni. Piccoli centri d’espulsione in ogni regione, eccetto Valle d’Aosta e Molise, da 80-100 posti al massimo. Trattenimento dei soli immigrati irregolari che siano anche pericolosi socialmente. Condivisione del piano del Viminale con tutti gli enti locali, a partire dalla conferenza Stato-Regioni del prossimo 18 gennaio. Dopo le proteste di alcuni governatori, si definisce meglio la road map della nuova macchina delle espulsioni al quale lavora il ministro dell’Interno Marco Minniti. Un passo indietro. A fine anno, il Viminale ha annunciato il piano di riapertura dei Centri d’identificazione ed espulsione (oggi in gran parte chiusi), al fine di raddoppiare il rimpatrio di irregolari. Un ritorno alla “stagione dei Cie”, criticato da sindaci, governatori e associazioni impegnate nell’accoglienza. Ieri anche il Movimento 5 Stelle ha attaccato il piano che alimenterebbe «sprechi, illegalità e mafie». Ora il pacchetto si profila meglio e non mancherebbero correttivi che, nelle intenzioni del Viminale, escludano il “pericolo lager” nella reclusione degli immigrati. Nel frattempo la prossima settimana il ministro dell’Interno Marco Minniti volerà a Tripoli per cercare collaborazione nella soluzione della crisi dei migranti. Ieri «ci sono stati contatti fra il governo di accordo nazionale libico e il governo italiano su temi della sicurezza di comune interesse», recita un comunicato stampa del Viminale; tra pochi giorni il nostro responsabile dell’Interno andrà a proporre la bozza di un accordo per bloccare le partenze dei barconi. Considerato che, come spiega una fonte del Viminale, «circa il 90 per cento degli arrivi in Italia parte dalla Libia», stringere un accordo coi libici sarebbe fondamentale. II problema è che quando si parla di Libia non si parla di un’entità unica, ma di un Paese «balcanizzato» in cui il governo riconosciuto dall’Onu controlla solo una parte della Tripolitania. E quindi la difficile missione di Minniti sarà di rivolgersi al governo Sarraj, sostenuto con forza dall’Italia, per proporre aiuti e strumenti in cambio di uno stop alle partenze, almeno nella parte di Libia che l’esecutivo di Tripoli riesce a controllare. Un «filtraggio» che, nelle intenzioni dei libici, potrebbe essere fatto non sulle coste, ma lungo il confine meridionale del Paese, alla frontiera con Niger e Ciad.

Legge elettorale – Ogni giorno dal Nazareno si alza un appello, destinato a cadere nel silenzio e nel vuoto. «Chiediamo agli altri partiti se ci stanno a discutere o vogliono solo perdere tempo…», si sgola Lorenzo Guerini. Ma il tavolo per il dialogo sulla legge elettorale è un non-luogo, dove nessuno sembra intenzionato ad accomodarsi. E se i dem non si affannano a far decollare la trattativa è perché aspettano che il 24 gennaio la Corte costituzionale si pronunci sull’Italicum. E anche perché temono che il Mattarellum proposto da Renzi e approvato all’unanimità dalla direzione nazionale del Pd, altro non sia che una inafferrabile chimera. Il primo ostacolo sulla strada del ritorno al sistema maggioritario, che porta il nome del capo dello Stato, è che Forza Italia e i centristi puntano al proporzionale. Il secondo scoglio riguarda il Pd e aggirarlo pare a dir poco arduo, finché il sentimento degli elettori non cambierà. Ai piani alti del Nazareno la spiegano con candore spiazzante: «La bandiera del Mattarellum dobbiamo tenerla alta, ma la verità è che in alcune regioni, come Sicilia, Calabria e Lazio, non prenderemmo un seggio». Secondo qualche commentatore non è bizzarra l’aspettativa che i partiti esistenti tentino strenuamente di difendere se stessi di fronte a qualsiasi riforma elettorale e, se possibile, mirino ad avvantaggiarsene. È sbagliato, però, molto sbagliato, pensare che buone leggi elettorali, una volta congegnate, siano del tutto dominabili dai partiti e non abbiano effetti significativi su ciascuno di loro, sul sistema dei partiti, sulle modalità di competizione. Quando, poi, dalla teoria si scende alla pratica, allora i ragionamenti dovrebbero fare riferimento alle realtà conosciute e certificate. Ad esempio, il Mattarellum non fu elaborato per difendere e neppure per configurare il bipolarismo. Sicuramente, i referendari e i molti milioni di elettori che nel fatidico 18 aprile 1993 approvarono il quesito erano interessati al bipolarismo poiché desideravano fortemente costruire le condizioni elettorali dell’alternanza. Altrettanto sicuramente, però, non fu un fantomatico e inesistente bipolarismo, tantomeno parlamentare, a dare vita al Mattarellum.

Politica estera

Strage di Istanbul – L’identità dell’autore della strage di Capodanno a Istanbul è stata accertata dagli inquirenti turchi: lo ha detto ieri il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu. Il politico non ha fornito però il nome né altri dettagli sulla persona identificata, che è ancora ricercata, mentre proseguono le indagini anche per identificare eventuali persone accusate per complicità nell’attentato che è stato rivendicato dallo Stato islamico come rappresaglia per l’ultimo giro di valzer diplomatico di Erdogan con il presidente russo Vladimir Putin e per l’intervento militare turco nel Nord della Siria. II nome in codice utilizzato dal killer di Capodanno a Istanbul per le operazioni terroristiche ispirate dall’Iris sarebbe “Abu Muslim Horasani”. Lo scrive II quotidiano filo-governativo turco Yeni Safak, rivelando altri dettagli dei suoi movimenti la notte della strage. Dopo essere partito dalla sua abitazione nel quartiere popolare e conservatore di Zeytinburnu, l’attentatore avrebbe cambiato complessivamente 8 taxi per cercare di non lasciare tracce dei suoi passaggi. Gli autisti sono stati interrogati dopo aver identificato le targhe dei veicoli. L’ultima immagine di una telecamera di sorveglianza colloca l’attentatore nel quartiere di Zincirlikuyu, importante snodo di passaggio della metropoli sul Bosforo. Per ora rimane solo lo stato d’emergenza, ma non si vuol dare l’immagine d’una guerra: «Dobbiamo mostrare sangue freddo – tenta di rassicurare in tv Erdogan -, vogliono che anteponiamo le emozioni alla ragione. Ma non faremo il loro gioco». E quasi a giustificarsi della campagna contro i festeggiamenti «poco islamici» del Capodanno, che proprio il suo partito aveva promosso prima della strage: mai favorito un certo clima, è la risposta, «in Turchia non è stato minacciato lo stile di vita di nessuno…».

Il soldato che divide Israele – Colpevole. Ma soltanto di omicidio colposo e «condotta riprovevole». L’incubo di una lunga condanna per omicidio volontario, s’era dissolto da tempo per Elor Azaria, il soldato israeliano di 20 anni, 19 all’epoca del fatto, messo sotto processo per aver ucciso a sangue freddo un militante palestinese che giaceva a terra, ferito, dopo aver accoltellato assieme ad un complice un altro soldato. Ma nonostante l’attesa generale sia per una condanna lieve, che sarà resa nota più avanti, il processo contro Azaria, un infermiere in servizio presso la Brigata Kfir, di stanza ad Hebron, continua a dividere Israele. Centinaia di persone hanno presenziato all’udienza finale presso il Tribunale militare di Tel Aviv, nello stesso complesso chiamato Hakiria che ospita gli stati maggiori, a due passi dalla stazione centrale e dallo svincolo per l’autostrada Ayalon, l’arteria che attraversa il Paese da Nord a Sud. E proprio verso l’autostrada, con la chiara intenzione di bloccarla, si sono diretti i dimostranti al grido di «Elor è nato libero», «Elor eroe e soldato modello». Mentre qualcuno inalberava anche un cartello in tema con i gusti della destra israeliana verso gli Stati Uniti: «Donald Trump rendi l’America di nuovo grande!».

Economia e finanza

Italia in deflazione – Il 2016 si chiude in deflazione: i consumi di cittadini e aziende sono in netto calo e la domanda di beni e servizi ha dimostrato tutta la sua sconcertante debolezza. Non succedeva dal 1959 (quando la flessione fu pari allo 0,4%) che i prezzi al consumo, secondo i dati preliminari, facessero registrare una variazione negativa dello 0,1% come media d’anno. Ma qualche segnale di ripresa c’è: a dicembre i prezzi sono saliti dello 0,6% rispetto a novembre. Ecco in sintesi il risultato dell’indagine dell’Istat che mostra numeri molto lontani da quelli dell’intera zona euro: lì, infatti, l’inflazione tocca il +1,1% su base annua. Secondo Giovanni Vecchi, professore di economia politica all’Università di Roma Tor Vergata e esperto di diseguaglianze per la Banca mondiale, non c’è alcun parallelismo con quanto accaduto nel ’59. Che Italia era quella di allora? «Un Paese che cresceva, che per caso entrò in deflazione e ne uscì benissimo, con il boom. L’Italia di oggi, se proprio vogliamo fare un confronto somiglia più a quella della prima meta degli anni Trenta». Un confronto pesante. «Eravamo un Paese povero e in deflazione, ma il fenomeno durò per anni e se ne uscì con la spesa pubblica, il colonialismo, la guerra». Due strade improbabili oggi. «Non c’è dubbio. Ma uscirne oggi sarà più difficile di allora per tanti motivi. Perché il Paese è strutturalmente debole, sono 15 anni che non cresce e dunque anche un piccolo shock deflattivo può essere pericoloso su un tessuto fragile. Non possiamo contare né su una politica di spesa pubblica né su quella monetaria, che è decisa dalla Bce. Bisogna ripartire in termini di competitività, partendo dall’istruzione in cui siamo veramente in basso rispetto agli altri Paesi avanzati».

Europa, opposizione contro le nuove regole – Da una parte le banche francesi, tedesche, olandesi e, più in generale, del Nord Europa Dall’altra i grandi colossi americani, che dalla partita di Basilea 4 hanno in pratica solo da guadagnare. Si capirà nelle prossime settimane, forse a marzo, l’esito finale dell’incontro che si sta giocando a cavallo dell’Atlantico. Martedì, intanto, è arrivato un temporaneo stop al match. Il Comitato di Basilea ha reso noto che è stata rinviata al «prossimo futuro» la definizione di quella che è conosciuta come Basilea 4, ovvero il nuovo set di regole che devono affinare l’attuale pacchetto di Basilea 3. L’avallo finale originariamente era previsto per questo week end. Ma ancorale distanze tra le parti in gioco sono troppo rilevanti. Le prossime settimane saranno decisive per la quadratura del cerchio. Un peso potrebbe averlo anche l’approccio che adotterà sul tema il nuovo inquilino della Casa Bianca. Donald Trump ha sempre promosso un ammorbidimento delle regole per il settore bancario. Perché Trump non è solo un businessman navigato o, come si direbbe in tedesco, un uomo che si è bagnato in ogni acqua. Un collega di Brookings ha verificato che da trent’anni il neo-presidente è coerente nella sua ideologia, insofferente a responsabilità e princìpi. Con il tempo il suo pragmatico opportunismo diventerà più articolato e contagioso, fino a incrinare la narrazione della “buona volontà” su cui l’Europa fonda il proprio riscatto da un passato di guerra e violenze. Trump era qualcosa di latente, non si chiamava ancora Trump, ma già pescava sul fondo delle tentazioni nazionaliste. Se accettato, soffocherà ciò che di ancora europeo rimane in Europa. Ad ogni modo, qualcuno in Europa, a fronte del rinvio maturato in settimana, confida che Trump rispetti le sue promesse. Difficile che si giunga a un congelamento “sine die” della stretta. Certo è che un minor irrigidimento finale da parte del Comitato di Basilea potrebbe comunque essere conveniente anche per le banche europee.