Politica InternaM5S. 8 gennaio, Luigi Di Maio: «Se non dovessimo avere la maggioranza, non lasceremo il Paese nel caos: governeremo con chi ci sta». 19 gennaio, Beppe Grillo: «Una maggioranza con chi ci sta? Ma perché mi fate domande senza senso? È come dire che un giorno un panda potrà mangiare carne cruda. Noi mangiamo solo cuore di bambù. Non esistono altre forze politiche, l’unica nuova siamo noi». Se la parola «alleanze» resta un tabù, da settimane il nuovo capo politico del Movimento predica un cambio di rotta, con un’apertura a una convergenza post elettorale, senza scambi di poltrone. Prospettiva che Grillo stronca. Con Di Maio costretto a replicare che è la legge elettorale a richiedere una maggioranza per governare e che ora «il dibattito non esiste: si vedrà dopo il voto». Due punti di vista, che riflettono il nuovo assetto M5S: Grillo non è più capo politico (ora è Di Maio), non è più al centro della scena con il suo sito (ora c’è il blog delle stelle) e non è più neanche titolare del simbolo, passato dalla vecchia associazione alla nuova, in cui lui ha il ruolo di garante. Un passaggio che ha lo scopo di sfuggire al carico dei ricorsi. Ma che ha una conseguenza tutta politica: che d’ora in poi ci sarà un’ala movimentista, guidata dal fondatore, e una più istituzionale e politicista, guidata da Di Maio e Casaleggio. Ma quanto c’è di calcolato nelle parole del comico? II primo a chiederselo è proprio il giovane capo politico, mentre inerme osserva il papà nobile calamitare su di sé l’obiettivo delle telecamere e lo ascolta rivendicare la purezza delle origini, contro ogni contaminazione di palazzo.
Centrodestra. «Sono molto soddisfatto. Il centrodestra (…) di FI, Lega e Fratelli d’Italia, a cui oggi si è unito Noi con l’Italia, ha firmato un programma di governo. Uniti si vince». Dalla separazione certa alla celebrazione del matrimonio. In nemmeno ventiquattr’ore. Quando Silvio Berlusconi pubblica su Facebook il video in cui certifica l’accordo tra il centrodestra e la «quarta gamba» guidata da Fitto e Cesa, e sono le 18 di ieri, le parti — tra cui si era consumato uno strappo che pareva irreparabile — stanno già brindando. Al chiuso della riunione tra gli sherpa di tutti i partiti, l’istantanea notata da quasi tutti i partecipanti immortala Antonio Tajani e quel foglietto scarabocchiato che il presidente del Parlamento europeo — che secondo molti è il premier in pectore di Forza Italia — tiene in mano. Le chances per il centrodestra di ottenere la maggioranza alle elezioni del 4 marzo sono più concrete di quanto si possa pensare? Sì, almeno secondo gli analisti. Alla coalizione di Berlusconi, Salvini e Meloni, più i centristi della “quarta gamba”, gli ultimi sondaggi danno fino al 37%, contro il 27% circa a pari merito di centrosinistra e M5S.
Segre senatrice a vita. Liliana Segre è stata nominata senatrice a vita. La decisione del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Sopravvissuta alla Shoah, ha 87 anni. «Mi domando sempre come ha fatto quella ragazzina a salvarsi. Quando mi ha chiamato il presidente ho risposto: ma io sono una nonna». Segre e Mattarella si incontreranno giovedì prossimo al Quirinale, dove si svolgeranno le celebrazioni solenni del «Giorno della Memoria» e dove Liliana dialogherà con un gruppo di ragazzi. La nomina di Liliana Segre a senatrice a vita non è solo un’iniziativa di alto valore civile da parte del capo dello Stato. È anche la conferma dello stile presidenziale di Mattarella alla vigilia della giornata della Memoria, certo, ma pure di elezioni che si segnalano per il mediocre e spesso infimo livello del dibattito pubblico.
Politica Estera
Bilaterale all’Eliseo. Un tempo i dirigenti francesi, in piena crisi greca o per trovare risposte a quella dei migranti, volavano a Berlino. I tempi sono cambiati, perché ieri Angela Merkel, alle prese con la formazione (delicatissima) di una coalizione con i socialdemocratici, è venuta a Parigi a incontrare Emmanuel Macron, ormai molto indaffarato a livello internazionale, ansioso d’imporsi come il nuovo «uomo forte dell’Europa». Prima di discutere a porte chiuse, i due hanno fatto capire di avere bisogno inesorabilmente l’uno dell’altro. «Per agire in Europa – ha detto la cancelliera – è di capitale importanza poter contare su un governo stabile in Germania». «La Francia – l’ha incalzata il presidente – ha bisogno della Germania per riformare l’Europa». In seguito hanno discusso del «futuro dell’Unione» e in particolare su come ripensare l’eurozona, la sfida più importante che attende i due leader. Ma non sono trapelate novità al riguardo. Domani i delegati della Spd (il partito social-democratico tedesco) devono pronunciarsi sul progetto di una nuova grande coalizione con i cristiano-democratici di Merkel, e Macron ha dato l’impressione di dare una mano alla cancelliera, mostrando a tutti di considerarla sempre l’interlocutore imprescindibile in Europa nonostante non sia ancora riuscita a formare il governo dopo le elezioni di settembre.
Il Papa in America Latina. Nel cuore della foresta amazzonica, nella città peruviana di Puerto Maldonado, la capitale della biodiversità, Francesco affronta la giornata più attesa: l’incontro con le popolazioni amazzoniche: «I popoli originari di qui non sono mai stati tanto minacciati nei loro territori come lo sono ora», dice tra gli applausi dei 4mila indigeni nel Coliseo Regional Madre de Dios. È il primo storico incontro tra Francesco e l’Amazzonia. Qui i primi missionari domenicani arrivarono nel 1902, a piedi, dopo un viaggio tortuoso. Qui Jorge Mario Bergoglio, il vescovo di Roma che nel 2019 ha convocato un Sinodo Panamazzonico, ha desiderato arrivare dopo la permanenza in Cile dove nell’incontro con le vittime della pedofilia ha manifestato il suo punto di vista sulle presunte coperture del vescovo Juan Barros. Il Papa oggi ha voluto visitare l’Amazzonia peruviana e da qui gridare che mai come oggi i popoli amazzonici sono minacciati.
Economia e Finanza
Euronomine. Mentre la politica italiana si trastulla nella campagna elettorale senza certezze sul governo che verrà, nelle cancellerie d’Europa si costruiscono le alleanze che segneranno il destino del Continente. Fra un anno e mezzo scadono le due poltrone più importanti dell’Unione: quelle di Mario Draghi e di Jean-Claude Juncker. Per noi italiani un anno e mezzo è una eternità. A Parigi e Berlino, dove sono abituati a guardare più lontano, è materia dell’oggi. Difficile immaginare che Angela Merkel ed Emmanuel Macron non ne abbiano già parlato: fra appena un mese, il 20 febbraio, i ministri della moneta unica sono convocati per indicare il successore del portoghese Victor Constancio come vicepresidente della Banca centrale europea. Chi sia il candidato designato per quella poltrona è un segreto di Pulcinella: si tratta del ministro delle Finanze spagnolo Luis De Guindos. «Nomineranno lui», conferma una fonte diplomatica italiana. Le “poltrone finanziarie” in scadenza o in ballo sono otto solo in Bce, compresa quella di Draghi. Un gioco che rischia di lasciar un Paese senza: l’Italia.
Bilancio Bei 2017. C’è anche l’impegno italiano sul piano Junker alla base del record italiano nei finanziamenti Bei realizzato nel 2017. Nell’anno che si è appena chiuso, l’Italia è salita per la prima volta in cima alla classifica dei Paesi destinatari dei finanziamenti, raccogliendo 12,3 miliardi (cioè 1,1 miliardi in più rispetto all’anno prima) divisi fra 119 operazioni. Nel pacchetto, il capitolo più ricco è naturalmente quello dedicato alle imprese: nel 2017, ha assorbito 5,3 miliardi di prestiti e garanzie (il 40% del totale) rivolte a 39.700 Pmi con 542.500 posti di lavoro. Ma il ventaglio di interventi si allarga a una fitta trama di rapporti con la Pa. Il buon andamento dell’economia italiana nell’ultimo trimestre del 2017 dà anche una spinta alle statistiche sul Pil nazionale. Lo certifica Il Bollettino Economico trimestrale della Banca d’Italia che, nota, tuttavia, come Il ritmo di espansione in Italia sia ancora inferiore alla media europea, che a consuntivo sarà superiore al 2% per l’eurozona.