Politica Interna
Fine legislatura. II timing è segnato, adesso che su Camera e Senato scende il sipario della diciassettesima legislatura. L’asse Quirinale-Palazzo Chigi lo ha messo a punto in queste ore. La data cerchiata è giovedì 28 dicembre: al rientro dalla pausa natalizia, il capo dello Stato riceverà al Colle i presidenti delle due Camere, Grasso e Boldrini (e da ieri è ufficiale: entrambi targati “Liberi e Uguali”) e ascoltati loro, come prevede l’articolo 88 della Costituzione, scioglierà il Parlamento. Potrebbe avvenire lo stesso 28, al più l’indomani. Il Consiglio dei ministri che dovrà fissare la data del voto deve essere ancora convocato, si terrà comunque in quei giorni per confermare il 4 marzo le urne. Il premier Gentiloni controfirmerà lo scioglimento salirà al Colle, dove Mattarella gli chiederà di non dimettersi e restare in carica per il disbrigo degli affari correnti. Oggi l’ultimo passaggio della manovra al Senato prima dello scioglimento delle Camere.
Nomine. Il compito più difficile è certamente quello di Giovanni Nistri al vertice dell’Arma dei carabinieri. Il più delicato quello di Mario Nava alla guida della Consob. Entrambi chiamati a governare due istituzioni che negli ultimi mesi sono finite al centro di inchieste e polemiche, segnate da fratture interne che adesso dovranno essere sanate. Le nomine ratificate ieri sera dal Consiglio dei ministri confermano l’intesa raggiunta due giorni fa tra maggioranza e opposizione. Le altre nomine sono: Presidente della Cassazione – Giovanni Mammone, Procuratore della Cassazione – Riccardo Fuzio, Presidente della Corte dei Conti – Angelo Buscema e Capo di stato maggiore dell’Esercito – Salvatore Farina.
Politica Estera
La crisi spagnola. Un duello a distanza, con entrambi i protagonisti lontani dalla scena catalana. Se qualcuno sperava che, a urne chiuse, si potesse aprire una via di comunicazione tra Mariano Rajoy e Carles Puigdemont, almeno per il momento è rimasto deluso. Parla per primo, a mezzogiorno, dal suo autoesilio belga, il presidente destituito della Catalogna. Gli replica, netto e pacato come al solito, il premier spagnolo dalla Moncloa, sede del governo spagnolo a Madrid. Puigdemont, forte della posizione di leadership conquistata un po’ a sorpresa all’interno del blocco indipendentista, lo chiede ponendo «come unica condizione preliminare il riconoscimento dell’altro». Rajoy non entra nel gioco, non cede al tranello. «Confido che si apra una tappa basata sul dialogo costruttivo, aperto e realista, sempre all’interno della legge». Poi la frecciata: «Se sono disposto a parlare? Io mi dovrei sedere a parlare con chi ha vinto le elezioni, che è la signora Arrimadas», la leader di Ciudadanos. In maggioranza i catalani hanno votato col cuore, chi pensando ai leader in cella o in fuga, chi al nonno malmenato durante il referendum, chi alla bandiera (spagnola o catalana). Che l’Ibex 35 scenda (ieri dell’1,2%), che le imprese continuino ad emigrare non è importato ai 2 milioni di elettori (il 48%) che hanno scelto indipendentista. Hanno contato di più gli ideali.
Migranti. Per la prima volta, in 162 sono arrivati da Tripoli in Italia su un volo di Stato. «Questo è un momento storico – ammette il ministro dell’Interno Marco Minniti, all’aeroporto militare di Pratica di Mare -, perché per la prima volta si è creato un corridoio umanitario per strappare dalle maglie dell’illegalità migranti a cui l’Unhcr (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) ha riconosciuto lo status di profughi. E siamo orgogliosi che sia proprio l’Italia, a inaugurare questo nuovo corso in Europa in un momento peraltro prossimo alle festività natalizie». Finalmente una via sicura verso la salvezza. Si tratta del primo corridoio umanitario aperto dal governo italiano, seguendo la via tracciata dalla Comunità di Sant’Egidio con i profughi siriani rifugiati in Libano e dalla Cei nel Corno d’Africa. Proprio la Conferenza episcopale italiana, insieme all’Agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr) hanno giocato un ruolo decisivo.
Economia e Finanza
Bitcoin. La febbre dei Bitcoin — la criptovaluta basata sulla tecnologia blockchain il cui valore era cresciuto di oltre 20 volte in appena un anno, passando dai 900 dollari circa di inizio dicembre 2016 ai quasi 20 mila dello scorso lunedì — sta scendendo molto rapidamente. Ieri il Bitcoin ha perso circa il 13% del suo valore, portandosi in serata a una quotazione di circa 13 mila dollari dopo essere sceso al di sotto degli 11mila a 10.900. In una giornata ha mandato in fumo circa 121 miliardi di dollari, il doppio del valore di una azienda quotata come Tesla. Il tonfo arriva al termine di una settimana contrassegnata da problemi di cybersicurezza su due piattaforme di scambio e dall’allerta delle autorità monetarie, che hanno ripetutamente messo in guardia sui rischi delle valute digitali. Il Bitcoin precipita dopo avere toccato un massimo di quasi 20mila dollari e chiude una settimana nera con perdite complessive vicine al 39%. Il recente tracollo dei Bitcoin era fin troppo prevedibile. E tuttavia erano rari negli ultimi tempi gli appelli alla ragione, gli allarmi contro i pericoli di questa bolla speculativa legata a una “moneta che non c’è”.
Il piano di Prodi. L’Europa ha bisogno di un New Deal nel campo dimenticato delle infrastrutture sociali: salute, istruzione, edilizia. E’ il piano firmato da Romano Prodi, frutto di un anno di lavoro con una ventina di esperti radunati in una «task force di alto livello», promossa dall’associazione delle banche pubbliche europee (in Italia, la Cassa Depositi e Prestiti) e dalla Commissione Ue. Tra un mese il documento sarà presentato ufficialmente a Bruxelles con il vicepresidente della Commissione, Jyrki Katainen. La premessa del rapporto è che il modello sociale di cui l’Europa va fiera deve essere «allargato e modernizzato». Che cosa ha risposto quando le hanno proposto questo incarico? «All’inizio, no grazie. Non sono uno specialista nelle tecniche delle politiche sociali. Mi hanno poi convinto spiegandomi che si trattava di elaborare una proposta con un grande significato politico».